Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza n. 35840 del 2 settembre 2013
Ritenuto in fatto
-1- Con sentenza dell’8 novembre 2010, il giudice monocratico del Tribunale di Cremona ha dichiarato R.P.S. colpevole del reato di lesioni colpose gravissime commesse, con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, in pregiudizio di M.A.. All’affermazione di responsabilità è seguita la condanna dell’imputata, riconosciute le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza sulle aggravanti contestate, alla pena di tre mesi di reclusione, con sospensione della patente di guida per sei mesi, nonché, riconosciuto il concorso di colpa della persona offesa nella misura del 30%, al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, in favore delle parti civili, alle quali ha assegnato provvisionali di vario importo.
È accaduto che, nel percorrere la via (omissis) alla guida della propria auto, la R. , giunta in prossimità dell’intersezione di detta arteria con la via (omissis), nel superare una bicicletta che procedeva nella stessa direzione di marcia, è entrata in collisione con il velocipede. In particolare, è stato accertato che l’urto è avvenuto tra il manubrio della bicicletta e la fiancata destra dell’auto, a seguito del quale la ciclista è caduta riportando varie lesioni.
Il punto d’urto è stato individuato, sebbene con qualche approssimazione, essendo stati i veicoli coinvolti spostati dalla loro posizione iniziale, verso il centro della carreggiata, nella corsia opposta rispetto a quella di provenienza dei due veicoli che, al momento della collisione, viaggiavano paralleli tra loro, occupando l’auto parte dell’opposta corsia.
Il tribunale ha affermato la responsabilità dell’imputata, poiché la stessa, nel sorpassare la bicicletta, aveva eseguito una manovra vietata dal codice della strada – art. 148 co. 12 lett. c)- che consente il sorpasso di veicoli a due ruote non a motore, in prossimità di intersezioni, soltanto se ciò non comporta lo spostamento nella semicarreggiata destinata all’opposto senso di marcia. Alla produzione dell’evento, ha aggiunto lo stesso tribunale, ha concorso anche la vittima (nella misura del 30%), che si era spostata sulla propria sinistra senza avere preventivamente controllato che un veicolo, sia pure in modo irregolare, la stava sorpassando. Ha poi escluso lo stesso giudice del merito la tesi, pur avanzata, che l’urto tra i due veicoli fosse stato causato da un improvviso malore della ciclista che, perso il controllo del mezzo, sarebbe andata ad impattare con l’auto in fase di sorpasso.
-2- Su appello proposto dalla R. , la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza del 7 ottobre 2011, in riforma della sentenza impugnata, ha assolto l’imputata perché il fatto non costituisce reato.
-3- Avverso detta decisione propone ricorso per cassazione, con atti separati ma di identico contenuto, e ai soli effetti della responsabilità civile, D.M. – in proprio, in quanto marito di M.A. , e nella qualità di amministratore di sostegno della moglie – il quale deduce:
a) Inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 148 co. 12 (lett. c) del codice della strada, in relazione all’art. 590 del codice penale. Sostiene la PC ricorrente che la R. ha certamente violato la norma del codice stradale, avendo invaso, nella fase di sorpasso, l’opposta corsia di marcia, di guisa che la stessa deve ritenersi responsabile dell’incidente;
b) Vizio di motivazione della sentenza impugnata, laddove l’argomentare del giudice del gravame -secondo il quale la R. avrebbe violato la predetta norma del c.d.s. per mantenere un’adeguata distanza tra l’auto e la bicicletta- finirebbe per giustificare la violazione della predetta norma;
c) Violazione dell’art. 597 co. 1 cod. proc. pen. per avere la corte territoriale travalicato i motivi di gravame proposti dalla R. che, nell’atto di appello, non aveva contestato il rapporto tra la violazione della regola cautelare dettata dall’art. 148 co. 12 del codice stradale e la riferibilità dell’evento colposo all’inosservanza di detta regola.
Considerato in diritto
I ricorsi sono infondati, ai limiti dell’inammissibilità.
-1- La corte territoriale, dopo attento esame degli atti, della sentenza di primo grado, dei motivi di appello e delle osservazioni svolte dalle parti, ha sostanzialmente ritenuto, motivando in termini del tutto coerenti sul piano logico e con rispetto della normativa di riferimento, che la responsabilità dell’incidente dovesse essere attribuita a M.A. che aveva eseguito la manovra di svolta a sinistra senza preventivamente accertarsi della prevedibile presenza, alle sue spalle, di veicoli in fase di sorpasso.
In particolare, la stessa corte è pervenuta alla decisione assolutoria partendo da due considerazioni concernenti: la prima, la dinamica dell’incidente, la seconda, il rapporto tra la contestata violazione della regola cautelare, come individuata dall’accusa, e la riferibilità dell’evento colposo all’inosservanza di detta regola.
Sotto il primo profilo, premesso che è stato contestato all’imputatadi avere eseguito il sorpasso in violazione dell’art. 148 co. 12 lett. c) del codice della strada e senza tenersi ad un’adeguata distanza dalla bicicletta, hanno rilevato i giudici del gravame, richiamando i pareri espressi dal consulente del PM: a) che la R. , nell’eseguire il sorpasso della bicicletta della M. aveva mantenuto la vettura ad un’adeguata distanza dal velocipede; b) che la manovra di spostamento a sinistra della bici aveva avuto inizio solo dopo che l’auto dell’imputata aveva iniziato il sorpasso; ed ancora, c) che all’epoca del fatto la carreggiata teatro dell’incidente era priva di segnaletica orizzontale a causa di lavori in corso; d) che la velocità dell’auto si aggirava sui 30, 40 km orari; e) che era stato il velocipede a colpire la fiancata destra dell’auto.
Sotto il secondo profilo, hanno osservato gli stessi giudici che l’incidente non rappresentava la “concretizzazione” del pericolo che la regola cautelare violata: art. 148 co. 12 lett. c) c.d.s. (che vieta di eseguire, in prossimità di un’intersezione stradale, il sorpasso di un veicolo a due ruote non a motore allorché la manovra comporti lo spostamento del veicolo in sorpasso nell’opposta corsia di marcia) tende a scongiurare. Invero, la ratio cautelare e preventiva di detta norma non può essere individuata nell’esigenza di evitare o attenuare il rischio di collisioni con il mezzo sorpassato, alla quale è dedicata la norma di cui al comma terzo dello stesso articolo 148 (che impone al conducente che sorpassa di tenersi ad un’adeguata distanza laterale dal mezzo sorpassato), che risulta osservata dalla R. , bensì in quella di evitare turbative ai mezzi provenienti nell’opposto senso di marcia.
E dunque, secondo la corte territoriale, avendo la R. rispettato la regola cautelare di riferimento, lo spostamento dell’auto sulla corsia di marcia opposta, proprio per mantenere quella distanza, non aveva avuto alcun rapporto con l’incidente; ciò perché l’accertata violazione dell’art. 148 co. 12 lett. c) c.d.s. poteva comportare il rischio di collisioni con i veicoli procedenti in senso contrario, non certo con il velocipede sorpassato.
L’urto, invero, secondo la stessa corte, era stato causato dalla condotta imprudente della vittima, che aveva effettuato la manovra di deviazione a sinistra senza controllare che non sopraggiungessero altri mezzi alle sue spalle, in particolare, senza avvedersi della presenza dell’auto dell’imputata che si trovava in fase di sorpasso.
Di qui la sentenza assolutoria.
-2- Orbene, a fronte delle coerenti considerazioni e valutazioni svolte dal giudice del gravame, il ricorrente, nella sua doppia qualità, articola, nei primi due motivi di ricorso, doglianze per nulla coerenti rispetto a quelle considerazioni e valutazioni.
In realtà, la corte territoriale non ha mai sostenuto che il sorpasso eseguito dalla R. fosse stato, in sé, rispettoso del richiamato disposto dell’art. 148 co. 12 lett. c) del codice della strada, bensì che l’evento determinatosi era stato del tutto diverso rispetto a quello che detta norma mira ad evitare; cioè l’impatto del veicolo in fase di sorpasso con altro veicolo proveniente nell’opposto denso di marcia, causato dall’invasione, da parte del primo veicolo, della corsia di pertinenza del secondo.
Nel caso di specie, ha legittimamente ritenuto la stessa corte, la R. , nell’eseguire il sorpasso della bicicletta, aveva rispettato la regola cautelare di riferimento (art. 148 co. 3 c.s.), che impone al conducente di mantenere un’adeguata distanza laterale dal mezzo sorpassato, per cui, sotto tale profilo, e con riguardo alla posizione della ciclista, la condotta dell’imputata era stata corretta. Mentre l’incidente era stato determinato, non dall’avere la R. invaso l’opposta corsia di marcia, ma per avere la stessa persona offesa posto in essere la manovra di svolta a sinistra proprio mentre l’auto dell’imputata si trovava in fase di sorpasso e senza preventivamente accertarsi del sopraggiungere della stessa alle sua spalle.
E dunque, l’argomento principale che il ricorrente avrebbe dovuto affrontare non era quello concernente la violazione – mai smentita dal giudice d’appello – dell’art. 148 co. 12 lett. c) CS, né quello relativo ad una inesistente “giustificazione” della violazione di tale norma da parte della corte del merito, bensì l’incidenza di detta violazione nella determinazione dell’incidente -negata dal medesimo giudice- e l’attribuzione dello stesso alla condotta della persona offesa.
Su tali questioni, nulla è stato concretamente osservato nei ricorsi, che si presentano, quindi, nei due primi motivi di censura, del tutto aspecifici.
-3- Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.
Sembra evidente, infatti, che la R. , condannata in primo grado, con i motivi d’appello ha chiaramente contestato detta decisione; ha, cioè, negato di avere contribuito, con la propria condotta, alla determinazione dell’evento, dalla stessa attribuito solo all’imprudente condotta della M. , forse dovuta ad un malessere.
L’impugnazione proposta ha quindi rimesso in discussione tutte questioni concernenti la colpa e la responsabilità ed ha giustamente comportato una revisione critica di tutto l’apparato accusatorio e di quello motivazionale svolto dal giudice di primo grado.
-4- In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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