La massima

 Risponde di corruzione propria antecedente il privato interlocutore che agisce nell’ambito di una prassi illecita non chiaramente percepibile.

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione IV

sentenza del 14 settembre 2012, n. 35269

 

Motivi della decisione

1. All’esito di indagini preliminari scaturite da denunce di autotrasportatori e conducenti di mezzi pesanti i sei imputati, agenti e graduati della Polizia Stradale in servizio presso la sottosezione compartimentale di Caserta Nord, sono stati tratti a giudizio con altri cinque colleghi (p.p. c/ B.G. + 10) per rispondere del reato di associazione per delinquere (capo A della rubrica), essendosi associati tra loro per commettere reati di concussione e altri illeciti connessi all’attività d’istituto, e di una serie di reati fine di concussione e di corruzione compiuti (rutti nella prima metà del 2001) con abuso delle funzioni e dei poteri esercitati durante i servizi di controllo automontati dei tratti di strada di competenza del reparto e in particolare delle sedi delle autostrade (omissis) . Reati inseriventisi, come emerge dalle due sentenze di merito, in un contesto ambientale caratterizzato da un’estesa illegalità dei membri degli equipaggi della Polizia Stradale, largamente noto agli autotrasportatori e camionisti soliti percorrere i suddetti tratti autostradali, sì da indurli ad accettare la diffusa “prassi” di consegnare piccole somme di denaro agli agenti della Stradale, pur in assenza di loro espresse richieste, per non avere noie o non essere multati per infrazioni al codice della strada (sentenza di primo grado: “…gli agenti non scendevano dalla macchina e non redigevano verbale, ma temporeggiavano in attesa della consegna della somma”).

2. Al termine dell’articolata istruttoria dibattimentale del giudizio di primo grado il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha affermato la penale responsabilità dei sei imputati generalizzati in epigrafe, condannandoli alle pene di giustizia, in ordine al reato associativo di cui al capo A) della rubrica nonché in ordine ai reati di concussione e/o corruzione loro ascritti in riferimento ai servizi svolti in coppia quali componenti gli equipaggi di autopattuglie della Polizia Stradale.

2.1. In particolare il Tribunale ha dichiarato la colpevolezza di:

– E..C. e G..M. per il reato di corruzione propria susseguente ex art. 319 c.p. di cui al capo L), così qualificata l’originaria accusa di concussione, per avere accettato (11.4.2001) dall’autotrasportatore G..D.G. la promessa della futura consegna di due polli per non contestargli le ulteriori contravvenzioni di guida senza cintura di sicurezza e di possesso di patente illeggibile (oltre quella ritualmente contestata per intralcio alla circolazione);

– G..E. e Ra..Ce. per i reati di: concussione in danno di un camionista straniero di nome L. ((omissis)), indotto a consegnare denaro per evitare di essere multato per eccesso di ore di guida ovvero per irregolarità delle luci del suo veicolo (capo O); corruzione impropria susseguente ex art. 318 co. 2 c.p., così qualificato il fatto contestato a titolo di concussione, per avere ricevuto indebitamente dai conducenti di due automezzi con trasporti eccezionali (20.4.2001) la somma di lire 20.000 quale “ricompensa” per il servizio di scorta effettuato ai due veicoli (capo Q); corruzione propria antecedente ex art. 319 c.p., così qualificato il fatto in origine contestato come concussione, per aver ricevuto indebitamente (20.4.2001) una somma di denaro (“due biglietti”) da B..P. , gestore della ditta Fiera del Mobile di Riardo, per non formalizzare l’ingiunzione a rimuovere i pali di sostegno di un cartellone pubblicitario installati a distanza non consentita dalla sede autostradale, come da segnalazione del funzionario della società Autostrade responsabile della vigilanza autostradale sul tratto viario di (omissis) ;

– Gi..Mi. e G..N. per i reati di: corruzione propria antecedente, così definita l’accusa contestata, per aver indotto un camionista non identificato proveniente da Cuneo a consegnare loro denaro per non procedere ai rituali controlli del suo camion (capo S); concussione per avere indotto L.S. , conducente di un autocarro, a versare loro 30.000 lire per non redigere verbale di contravvenzione a suo carico per omessa detenzione della patente di guida (capo U).

2.2 Il Tribunale ha ritenuto idoneamente dimostrata la responsabilità dei sei imputati – oltre che per il reato associativo – per i singoli reati loro ascritti alla luce del compendio probatorio costituito: dalle dichiarazioni di alcune persone offese, tra cui L.S. vittima del contegno concussivo di cui al capo U) della rubrica; dagli inequivoci contenuti delle conversazioni intercorse tra coimputati e tra costoro e terzi (persone offese, non sempre potute identificate) oggetto di intercettazioni ambientali disposte all’interno di due autovetture di servizio della sottosezione di Polizia Stradale utilizzate dagli imputati per lo svolgimento dei servizi di istituto; dalla sicura identificazione degli odierni imputati (che, del resto, non negano la paternità delle conversazioni loro riferite, contestando soltanto l’interpretazione dei dialoghi captati) consentita dall’analisi dei turni e degli ordini di servizio del personale della Polstrada di Caserta Nord, in base ai quali è stata stabilita con certezza la composizione – all’atto delle captazioni ambientali – delle pattuglie operanti a bordo delle auto “intercettate”.

L’analisi valutativa, alla cui stregua il Tribunale ha considerato le condotte degli imputati qualificabili come concussione (secondo la contestazione originaria) ovvero come corruzione, ha preso le mosse dagli elementi differenziali indicati dalla giurisprudenza di legittimità tra le condotte di concussione, anche nella loro manifestazione di concussione c.d. ambientale, e di corruzione. Elementi incentrati sulla natura del rapporto intercorrente tra il pubblico ufficiale ed il privato cittadino a seconda che il privato versi in una situazione di coartata volontà decisoria per effetto dell’abuso di potere del pubblico ufficiale (concussione) ovvero agisca in situazione di parità psicologica con il pubblico ufficiale, rendendosi partecipe di un pactum sceleris volto a perseguire i rispettivi interessi antigiuridici (corruzione).

Se la concussione c.d. ambientale è connotata da situazioni in cui – per effetto di illecite prassi stabili e diffuse in determinati settori della pubblica amministrazione – la costrizione o induzione riconducibile al pubblico ufficiale agente diviene il portato di un deviante quadro di riferimento di quel settore (e, quindi, di quella specifica sfera “ambientale”), ciò non significa che anche in contesti di illegalità diffusa venga meno l’esigenza di individuare un concreto rapporto di squilibrio tra la posizione del privato e quella del pubblico ufficiale che definisce l’area di inferenza della condotta di concussione, pure nella sua forma ambientale, non potendosi escludere casistiche in cui siano gli stessi privati a rendersi protagonisti o corresponsabili delle deviazioni dai doveri e poteri funzionali del pubblico ufficiale, giovandosi scientemente di quel determinato “sistema” di illecite pratiche esecutive per raggiungere indebiti vantaggi o benefici (sentenza, pag. 21: “Non ogni privato che si adegua ad un sistema di illegalità può esserne considerato vittima, laddove la sua condotta non sia il frutto di una rassegnata accettazione di una realtà ingiusta che si subisce, quanto piuttosto il mezzo per trarre profitto da vantaggiose occasioni di arricchimento”). A tali canoni esegetici il Tribunale ha informato le valutazioni sfociate nella diversa definizione giuridica, da concussione a corruzione, ritenuta per più accuse in origine inscritte nella concussione ambientale.

3. Adita dalle impugnazioni degli imputati, la Corte di Appello di Napoli con sentenza emessa il 25.9.2009, ha parzialmente riformato la decisione di primo grado.

Per un verso la Corte territoriale ha ritenuto non sorretta da idonei dati probatori la sussistenza della associazione per delinquere di cui al capo A) della rubrica, difettando gli elementi costitutivi della fattispecie rappresentati dalla stabilità del vincolo associativo tra i vari partecipi e dal delinearsi di un effettivo programma criminoso sorretto, in uno ad una pur sommaria suddivisione di ruoli tra i consociati, dalla consapevolezza di ciascun partecipe della finalizzazione del proprio agire in vista di un obiettivo comune. L’evenienza per cui gli imputati si siano adeguati ad un diffuso “sistema” di illegalità attuato da molti appartenenti alla sezione della Polstrada di Caserta Nord non trascende l’esistenza di un semplice accordo per commettere una pluralità di reati della stessa specie e non vale a surrogare la necessaria dimostrazione di un persistente vincolo associativo tra gli imputati, che hanno – invece – compiuto di volta in volta i singoli fatti criminosi loro contestati in un regime di indifferenziata autonomia operativa e in vista di loro personali e contingenti interessi. Tutti gli imputati sono stati, quindi, prosciolti dal reato associativo per insussistenza del fatto.

Per altro verso i giudici di appello, respinte le eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali formulate dalle difese degli imputati (già rigettate con ordinanza 5.12.2003 del Tribunale), hanno condiviso la ricostruzione dei singoli episodi criminosi e le valutazioni probatorie sviluppate dalla sentenza di primo grado, non accedendo alle invocate ulteriori “derubricazioni” (in reati di corruzione) delle due vicende di concussione di cui ai capi O) (imputati E. e Ce. ) ed U) (imputati Mi. e N. ) della rubrica. Rideterminando le pene irrogate agli imputati a seguito della loro assoluzione dal reato associativo, la Corte territoriale ha, altresì, parzialmente riformato il regime sanzionatorio definito in primo grado. A tutti gli imputati è stata riconosciuta, per ciascun episodio criminoso, l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. in considerazione della speciale tenuità del “lucro” conseguito dai prevenuti e del danno patrimoniale provocato alle vittime. Ai soli imputati C. e M. , responsabili di un unico fatto reato (capo L), sono state concesse sia le attenuanti generiche che l’attenuante speciale di cui all’art. 323 bis c.p..

Conseguentemente la Corte di Appello ha inflitto le seguenti pene:

– ad E..C. e G..M. la pena condizionalmente sospesa di un anno di reclusione ciascuno per il reato di cui al capo L) della rubrica;

– a G..E. e Ra..Ce. la pena, dichiarata interamente condonata, di due anni e undici mesi di reclusione ciascuno per i reati, unificati da continuazione, di cui ai capi O), Q) ed R) della rubrica;

– a Gi..Mi. e G..N. la pena, dichiarata interamente condonata, di due anni e dieci mesi di reclusione ciascuno per i reati, unificati da continuazione, di cui ai capi S) ed U) della rubrica.

4. Avverso la sentenza di appello i sei imputati hanno proposto, per mezzo dei rispettivi difensori, ricorsi per cassazione, con cui si deducono vizi di violazione di legge e di insufficienza, contraddittorietà e illogicità della motivazione; vizi di seguito riassunti per gli effetti di cui all’art. 173 co. 1 disp. att. c.p.p..

4.1. Ricorso di E..C. (capo L).

4.1.1. Violazione di legge (artt. 191, 268 co. 3, 271 c.p.p.) e difetto di motivazione in ordine alla dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali.

Il decreto esecutivo delle operazioni di ascolto emesso dal p.m. il 12.2.2001, come integrato il 13.2.2001, è carente di motivazione sulla reale impossibilità di installare presso la Procura della Repubblica (e non presso la locale Squadra Mobile) la postazione di ascolto delle conversazioni attuate con impianti tecnici noleggiati presso terzi e congiuntamente sulle ragioni di eccezionale urgenza legittimanti l’immediata attivazione dell’ascolto in deroga alla disciplina generale prevista dall’art. 268 c.p.p. Erroneamente la Corte di Appello, richiamando l’ordinanza del 5.12.2003 con cui il Tribunale aveva già respinto l’eccezione sollevata dal C. e da più coimputati, adduce che il disposto dell’art. 268 co. 3 c.p.p. doveva intendersi riferito alle sole intercettazioni di conversazioni telefoniche e non (anche) a quelle di tipo ambientale, che sono utilmente realizzabili solo con apparecchi mantenuti vicini alla fonte sonora e, quindi, non in disponibilità dell’ufficio di Procura.

La Corte di Appello si riporta a principi giurisprudenziali “vigenti nel lontano 2002” e superati dagli sviluppi interpretativi fatti registrare dalla giurisprudenza di legittimità, che reputa l’art. 268 co. 3 c.p.p. applicabile anche alle captazioni ambientali (Cass. S.U. 31.10.2001 n. 42792, Policastro, rv. 220093; Cass. S.U., 29.11.2005 n. 2737/11, Campenni, rv. 232605; Cass. S.U. 12.7.2007 n. 30347, Aguneche, rv. 236754). È vero che la legittimità delle intercettazioni ambientali rilevanti nei confronti del C. e dei coimputati è stata incidentalmente contestata dalla stessa S.C. con sentenza del 12.3.2002 con cui, rigettandosi i ricorsi avverso il provvedimento del riesame confermativo delle misure cautelari applicate agli imputati (allora indagati), è stata sancita la validità dei servizi di intercettazione compiuti in corso di indagini. Ma tale decisione è intervenuta prima che la stessa S.C. puntualizzasse i requisiti minimi per ritenere adempiuto l’obbligo di motivazione imposto al p.m. dall’art. 268 co. 3 c.p.p., che va assolto soltanto prima dell’esecuzione delle operazioni di intercettazione e non può essere (neanche in sede di impugnazione de libertate) emendato o integrato dal giudice. Ora nel caso di specie il decreto del p.m., integrato a posteriori solo per quanto concerne l’assenza di postazioni di ascolto in Procura, si limita a giustificare il ricorso all’uso di impianti di ditta specializzata, ma non precisa le ragioni dell’installazione delle apparecchiature presso gli uffici della Questura, né le ragioni di eccezionale urgenza sottese a siffatta modalità esecutiva degli ascolti.

4.1.2. Erronea applicazione dell’art. 319 c.p. e carenza ed illogicità della motivazione in riferimento al contestato reato di corruzione (capo L).

Incongruamente la Corte di Appello ha escluso il carattere scherzoso e innocuo, non significativo di un contegno di abuso funzionale del C. e del coimputato M. , allorché sarebbe rivolto al camionista D.G. , trovato con una patente non leggibile, l’invito a promettere “due pulcini buoni, quelli che non volano”. La sentenza non ha tenuto conto delle dichiarazioni dibattimentali del camionista che ha escluso di aver percepito la battuta dei due agenti come invito alla promessa di due polli per evitare il ritiro della patente di guida. D’altro canto, ove davvero il C. e il collega avessero inteso favorire indebitamente il D.G. , non lo avrebbero multato per intralcio alla circolazione (marcia lenta sulla corsia di sorpasso). Né può essere ignorata, tralasciando l’inoffensività del fatto, la necessità che anche nella corruzione propria susseguente – pur potendo l’adempimento della promessa essere proiettato nel futuro – il rapporto sotteso al pactum sceleris deve presentare caratteri di certezza o riconoscibilità, che mancano nell’episodio in discussione, risultando indefiniti modi, tempi e luogo di siffatta futura consegna di polli come prezzo della corruzione.

4.2. Ricorso di G..M. (capo L).

È dedotto un unico motivo per mancanza e manifesta illogicità di motivazione.

La sentenza impugnata ignora che nessun elemento probatorio consente di ritenere che il trasportatore D.G. marciasse, al momento del controllo della Stradale, senza indossare l’obbligatoria cintura di sicurezza e portando con sé una patente di guida illeggibile sì da dover essere ritirata dagli agenti della Polstrada. Con riguardo a tale secondo profilo va evidenziato che, esaminato dalla p.g. il 18.7.2001, il D.G. risulta (verbale di sommarie informazioni) identificato proprio sulla base della esibita patente di guida, di cui non è stata rilevata alcuna concreta illeggibilità (tanto che in quella sede il documento non è stato ritirato). La sentenza di appello si è astenuta, per altro, dal motivare l’ipotetica irrilevanza di un accertamento tecnico, pur invocato con l’appello contro la prima sentenza, per verificare la reale indecifrabilità o meno della patente del camionista controllato dall’imputato e dal collega C. .

4.3. Ricorsi di G..E. e Ra..Ce. (capi O-Q-R).

Sebbene sottoscritti da difensori diversi, i due separati atti di impugnazione sono affatto identici nei contenuti espositivi, differenziandosi per la sola veste grafica.

4.3.1. Inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali per violazione dell’art. 268 co. 3 c.p.p. e carenza di motivazione. È riproposto in forma sintetica il più articolato omologo motivo di censura enunciato con il ricorso dell’imputato C. , alla cui sintesi è sufficiente fare rinvio (antea, p. 4.1.1.).

4.3.2. Erronea applicazione degli artt. 317, 318 e 319 c.p. e carenza ed illogicità della motivazione in riferimento alla confermata responsabilità dell’imputato per ognuno dei tre contestati reati, come qualificati dal Tribunale.

L’azione induttiva e concussiva attribuita ai due coimputati svolta nei confronti del camionista straniero L. (capo O) è stata desunta unicamente dalla frase con cui il Ce. avrebbe rassicurato il collega E. , dicendogli di “essersi tirato nella rete” il camionista, cioè di averlo persuaso a versare del denaro per non essere sottoposto a contravvenzione. La motivazione della sentenza di appello è, su tali basi, apparente, poiché trascura il rilevante dato che – a norma dell’art. 207 c.d.s. – il conducente straniero, in caso di infrazioni al codice della strada, è ammesso ad effettuare “immediatamente” il pagamento in misura ridotta della contravvenzione (pena pecuniaria) nelle mani dell’agente accertatore all’atto stesso del rilevamento della violazione. Il dato è suscettibile di dare ingresso ad “una lettura alternativa” dei fatti, ben potendo ricondursi il contegno del Ce. al legittimo esercizio del potere di elevare una contravvenzione al cittadino straniero, poi non elevata per varie ragioni, che possono integrare una omissione di atti di ufficio ma non la concussione. In ogni caso non di concussione dovrebbe discutersi, ma di corruzione, dal momento che dalla stessa lettura della sentenza di appello il rapporto intercorso tra i ricorrenti e il L. appare nel suo complesso articolato in termini di paritario accordo corruttivo e non in un quadro di reale coercizione della volontà del trasportatore straniero.

La confermata corruzione impropria susseguente ritenuta integrare la condotta descritta al capo Q) della rubrica non è sorretta da congrua motivazione, nessun elemento avvalorando la tesi di un preesistente accordo illecito a monte della dazione, ad avvenuto servizio di scorta dei camion con trasporti eccezionali da parte del Ce. e dell’E. , della modesta somma di 20.000 lire da parte dei conducenti dei mezzi.

Analoga carenza di prova, non dissolta dalla motivazione della Corte partenopea, deve segnalarsi per il fatto di corruzione di cui al capo R) della rubrica. Gli operanti E. e Ce. si sono limitati a constatare l’avvenuta esecuzione di due fori in un fondo prospiciente la sede autostradale su segnalazione del funzionario addetto alla vigilanza, non rilevando l’effettivo alloggiamento di un cartellone pubblicitario, e l’assunto secondo il quale i “due biglietti” ricevuti equivarrebbero a denaro costituente il prezzo della corruzione (per l’omessa contravvenzione) corrisposto da tale B..P. è frutto di semplici illazioni che non provano l’effettiva commissione del contestato reato. Reato che comunque avrebbe al più potuto essere ricondotto allo schema della corruzione impropria ex art. 318 c.p..

4.3.3. Violazione degli artt. 62 bis e 323 bis c.p. e difetto di motivazione.

La sentenza impugnata si attesta su mere formule di stile nel sostenere la mancata concessione ai due imputati delle circostanze attenuanti generiche e dell’attenuante speciale della tenuità del fatto per i tre reati loro ascritti.

Gli illustrati motivi di doglianza sono ripresi in una memoria difensiva depositata nell’interesse dell’imputato E. con peculiare riguardo alla addotta violazione dell’art. 268 c.p.p..

4.4. Ricorso di Gi..Mi. (capi S-U).

4.4.1. Violazione di legge (artt. 191, 268 co. 3, 271 c.p.p.) e difetto di motivazione in ordine alla dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali. Il motivo, redatto dallo stesso difensore (avv. Renato Jappelli) è perfettamente identico al primo motivo del ricorso C. , alla cui esposizione è d’uopo richiamarsi (antea, p. 4.1.1.).

4.4.2. Violazione dell’art. 319 c.p. e difetto di motivazione per il reato sub S).

A tacere della mancata identificazione dell’autotrasportatore di Cuneo resosi partecipe dell’ipotizzato episodio corruttivo (dazione di denaro per evitare il controllo del mezzo ed eventuali multe), la scarna e frammentaria intercettazione ambientale considerata fonte di prova dai giudici di merito impedisce la compiuta ricostruzione storica della vicenda. In particolare non è individuato l’atto contrario ai doveri di ufficio che il Mi. e il coimputato N. avrebbero omesso di compiere in cambio di denaro. Dalla conversazione captata emerge soltanto che gli agenti mostrano l’intenzione di procedere ad un controllo del camion, dopo di che la conversazione diviene incomprensibile ed è seguita dall’indecifrabile passaggio in cui il trasportatore è “invitato a non farsi vedere” dagli automobilisti in transito o da altri.

4.4.3. Violazione dell’art. 317 c.p. e difetto di motivazione per il reato sub U).

La ricomposizione dell’episodio contestato a titolo di concussione rende evidente che la presunta persona offesa L.S. (consegna 30.000 lire agli operanti per sventare la contravvenzione per omesso possesso della patente di guida) non versava in alcuno stato di metus publicae potestatis. Nel corso del dibattimento, infatti, il L. ha ammesso essergli ben nota l’illegale prassi attuata dagli agenti della polizia stradale nel tratto di autostrada da lui percorso. Di tal che l’aver accettato il pagamento di una modesta somma, il cui importo è stato deciso dallo stesso L. , esclude un suo effettivo stato di soggezione ed implica una sua “volontaria adesione a quel sistema” deviato. Con l’ovvia conseguenza che i fatti vanno ricondotti nell’ambito della corruzione propria e non della concussione.

4.5. Ricorso di G..N. (capi S-U).

4.5.1. Violazione degli artt. 319 c.p. e 192 c.p.p. e difetto di motivazione in ordine al reato sub S).

La motivazione della Corte di Appello non supera l’assenza di convincente prova che davvero il N. abbia, unitamente al Mi. , omesso un atto del suo ufficio ovvero compiuto un atto contrario ai suoi doveri istituzionali. L’assunto, fatto proprio dalla sentenza impugnata, che gli agenti non abbiano effettuato alcun controllo nei confronti dell’automezzo guidato dal camionista proveniente da XXXXX, ricevendone una mercede della cui modesta entità si sarebbero poi lamentati, è una mera ipotesi investigativa basata su congetture non riscontrate. Per altro, al di là dei dati desumibili dai turni di servizio che attestano soltanto la presenza in servizio del N. ma non la sua reale presenza all’episodio contestato, non è mai stato provato (né con testimoni, né con perizia fonica) che le voci registrate in concomitanza dell’episodio appartengano anche alla persona del ricorrente. Ciò tanto più quando si osservi che – in margine al connesso reato sub U) – la persona offesa L. non ha riconosciuto, né in dibattimento né soprattutto in fase di indagini a poco più di un mese dall’episodio, il N. come partecipe della ipotizzata condotta concussiva.

4.5.2. Violazione degli artt. 317 c.p. e 192 c.p.p. e difetto di motivazione in ordine al reato sub U).

Erroneamente i giudici di secondo grado non hanno ritenuto di derubricare la contestata concussione in danno del camionista L.S. in corruzione. Il camionista conosce la prassi illegale instaurata dagli agenti della Stradale nelle sedi autostradali del (OMISSIS), grazie alla quale “si poteva evitare il verbale”, ed ha ammesso di aver in precedenza già vissuto simili esperienze. Lo stesso dialogo intercettato con i due coimputati dimostra che costoro non hanno assunto nei confronti del L. alcun contegno costrittivo o induttivo e che il rapporto si è sviluppato in modo paritario nel solco, eventualmente, della fattispecie di cui all’art. 319 c.p..

4.5.3. Ingiustificato diniego delle attenuanti di cui agli artt. 62 bis e 323 bis c.p.. La mancata concessione delle due attenuanti è argomentata dalla Corte di Appello in modo sommario e contraddittorio, facendo leva sulla ripetitività dei contegni illeciti dell’imputato. Elemento che, in astratto idoneo per il diniego delle attenuanti generiche, è improprio per il diniego dell’attenuante della particolare tenuità dei fatti che è immanente nelle stesse modalità con cui essi si sono manifestati.

5. Alla luce della congiunta lettura delle due decisioni di merito, conformi nel valutare il peso probatorio attribuibile ai dati concernenti gli specifici reati di concussione e di corruzione ascritti ai sei imputati, e dei motivi di impugnazione articolati dai ricorrenti, ritiene la Corte decidente che meritano parziale accoglimento le censure formulate dagli imputati E.G. , Ra..Ce. , Gi..Mi. e N.G. in riferimento ai reati di concussione loro rispettivamente contestati con i capi O) ed U) della rubrica sotto il profilo del titolo dei reati integranti le due regiudicande. In entrambi i casi le condotte delle due coppie di imputati appaiono, infatti, più correttamente inquadrabili nella fattispecie della corruzione propria antecedente, piuttosto che in quella della concussione, per gli stessi motivi differenziali, appresso chiariti, per i quali lo stesso giudice di primo grado ha ritenuto di qualificare altri fatti in origine ascritti agli imputati sotto il titolo della concussione.

5.1. Il primo immediato effetto di questo esito valutativo è la constatazione che i due reati di cui ai capi O) ed U) e tutti e quattro i restanti reati contestati ai menzionati imputati nonché al C. ed al M. sono attinti da causa estintiva, per decorso dei corrispondenti termini massimi di prescrizione, sopravvenuta alla pronuncia della impugnata sentenza di secondo grado (25.9.2009).

Per tutti i reati, giuridicamente definiti ai sensi dell’art. 319 c.p. ovvero dell’art. 318 c.p. (reato di cui al capo Q contestato ad E. e Ce. ) i termini di prescrizione, prorogati a norma dell’art. 161 co. 2 c.p., sono equivalenti a sette anni e sei mesi. A tale arco di tempo vanno cumulati i periodi di sospensione del corso della prescrizione fatti registrare dal giudizio di primo grado (quattro mesi e ventotto giorni) e dal giudizio di secondo grado (otto mesi e ventotto giorni) per un periodo globale di un anno, un mese e ventisei giorni, sicché il termine finale di prescrizione diviene per ciascun reato pari ad otto anni, sette mesi e ventisei giorni. L’ultimo dei sette contestati reati (quello di corruzione propria di cui al capo U, come sopra ridefinito) è stato commesso in data 1.6.2001. Di tal che tutti i reati per cui è processo risultano raggiunti dalla prescrizione alla data del 27.2.2010.

5.2. L’ulteriore significativo corollario sul piano giuridico processuale è costituito dal rilievo che, in palese assenza per ognuno dei sei ricorrenti di situazioni probatorie sussumibili nella previsione di cui all’art. 129 co. 2 c.p.p. con conseguente necessario annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza per prescrizione dei reati, diviene sostanzialmente ultroneo in questa sede indugiare in dettaglio sui singoli motivi di impugnazione proposti da ciascun ricorrente sui farti reato diversi da quelli “derubricati” di cui ai capi O) ed U) per evidenziarne l’infondatezza o la parziale indeducibilità.

Il principio di immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità sancito dall’art. 129 co. 1 c.p.p. impone, infatti, che nel giudizio di legittimità, quando ricorrano congiuntamente una causa estintiva del reato ed una nullità processuale assoluta ed insanabile, sia data prevalenza alla prima, a meno che l’operatività della causa estintiva non richieda specifici accertamenti e valutazioni riservati al giudice di merito, nel qual caso acquista pregiudiziale rilevanza la nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio di merito (Cass. S.U., 27.2.2002 n. 17179, Conti, rv. 221403; Cass. Sez. 6, 26.3.2008 n. 21459, Pedrazzini, rv. 240066; Cass. Sez. 3,1.12.2010 n. 1550/11, P.G. in proc. Gazzerotti, rv. 249428).

Il rilievo assume particolare importanza in riferimento al motivo di ricorso, enunciato con ampiezza argomentativa nel ricorso dell’imputato C. , ma comune anche ad altri ricorrenti, imperniato sulla dedotta inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali per ipotizzata violazione del disposto dell’art. 268 co. 3 c.p.p., ravvisabile nei provvedimenti esecutivi delle operazioni di ascolto adottati dal procedente pubblico ministero. Non vi è dubbio – infatti – che, in parziale dissonanza con l’incidentale diversa considerazione enunciata sul punto dalla Corte di Appello, le effettuate captazioni ambientali rappresentano, come osservano i ricorrenti che hanno prospettato la problematica di cui all’art. 268 c.p.p., la struttura portante del paradigma accusatorio e la fonte di prova principale in rapporto ad ognuno dei reati integranti la complessiva imputazione. È evidente che, in nome dei surricordati principi giurisprudenziali, quand’anche si ipotizzasse assistita da fondamento la tesi della nullità e inutilizzabilità delle intercettazioni la stessa non varrebbe, di per sé sola, a far velo alla necessaria declaratoria di estinzione dei reati per prescrizione.

5.3. Tutto ciò premesso, appare nondimeno opportuno osservare che i motivi di censura concernenti la pretesa violazione dell’art. 268 co. 3 c.p.p. (ricorsi C. , E. , Ce. , M. ) sono infondati.

Anche mettendo da canto la ricordata decisione incidentale con cui questa stessa S.C. ha considerato nella fase cautelare delle indagini legittimamente espletate le attività di captazione fonica (respingendo le omologhe censure anche in quella sede avanzate dalle difese degli imputati C. e Mi. ), la lettura del decreto esecutivo delle intercettazioni a bordo delle autovetture di servizio della Polizia Stradale emesso dal pubblico ministero il 12.2.2001, come integrato appena il giorno successivo e prima dell’avvio delle operazioni di ascolto (in relazione alla indisponibilità di postazioni di ascolto presso la Procura della Repubblica di Santa Maria C.V.), appare sorretto da adeguata motivazione. Sia con riguardo alla inidoneità tecnica degli impianti della Procura per eseguire i previsti servizi di “ripresa visiva” e di intercettazione ambientale, da apprezzarsi – per altro – anche sotto l’aspetto funzionale, cioè in rapporto al tipo di indagine in corso di svolgimento e agli specifici reati oggetto di accertamento (Cass. Sez. 6,14.4.2010 n. 17231, Hosa, rv. 247010; Cass. Sez. 6,27.5.2010 n. 25383, Galluzzi, rv. 247824). Sia in rapporto alla enunciazione delle eccezionali ragioni di urgenza giustificanti l’immediata attivazione delle operazioni di ascolto e la loro esecuzione con installazione presso la Squadra Mobile degli impianti tecnici noleggiati, in termini aderenti alla giurisprudenza di legittimità sul tema (ex plurimis: Cass. Sez. 5,17.7.2008 n. 37699, Vottari, 241949; Cass. Sez. 4, 22.10.2008 n. 45700, Sinopoli, rv. 242001). Ed è utile aggiungere come la congruenza di motivazione riconoscibile ai due decreti esecutivi del p.m. (in realtà un unitario decreto in data 12-13/2/2001) rinvenga postumo credito nella stessa iniziale contestazione del reato di associazione per delinquere (reato di cui in primo grado gli imputati erano stati ritenuti colpevoli), sì da rendere pertinente il rilievo espresso dal Tribunale di Santa Maria C.V. con l’ordinanza 5.12.2003 reiettiva delle eccezioni difensive di inutilizzabilità delle captazioni (richiamata dalla sentenza di appello) con il rimarcare – sotto il profilo della funzionalità operativa delle captazioni- che l’originaria denuncia della vittima di un episodio di concussione da cui hanno preso avvio le indagini (denuncia espositiva della illegale “prassi” invalsa nei controlli della Polizia Stradale di Caserta Nord) prefigurava indizi di colpevolezza nei confronti di “una quantità indeterminata” di componenti della Polstrada adusi ad attuare gli incriminati illeciti contegni (cfr.: Cass. Sez. 6, 11.12.2007 n. 15396/08, Sitzia, rv. 239633; Cass. Sez. 2, 17.12.2009 n. 5103/10, Cannizzaro, rv. 246435).

5.4. Sono assistiti da fondamento, come anticipato, i rilievi espressi con i ricorsi degli imputati G..E. (secondo motivo) e Ra..Ce. (secondo motivo) limitatamente alla qualificazione della condotta illecita degli imputati considerata dal capo O) della rubrica, che deve essere definita a norma dell’art. 319 c.p., quale condotta di corruzione propria antecedente e non di concussione come da accusa contestata.

Se privi di pregio si palesano i rilievi dei ricorrenti in ordine a supposti dubbi sulla effettiva dazione di denaro o altra utilità da parte del non meglio identificato camionista L. agli agenti E. e Ce. che lo hanno fermato per controllo (l’affermazione del Ce. di aver tirato “nella rete” il conducente straniero non lascia margini di incertezza sul fatto, come osserva la sentenza di appello), deve convenirsi che la ricostruzione della vicenda, quale consentita dai dialoghi captati, non offre tranquillante prova di un atteggiamento di natura concussiva ambientale attribuibile ai due agenti, tanto più che lo straniero L. non ha verosimile contezza della illecita “prassi” locupletoria introdotta dagli agenti della Polizia Stradale casertana.

In vero dal testo dei dialoghi intercettati attraverso la microscopia collocata nella vettura d’istituto degli operanti, emerge – da un lato – che effettivamente gli imputati hanno rilevato censurabili contegni del trasportatore suscettibili di dar luogo ad un verbale di contravvenzione, quali l’eccessivo numero di ore di guida senza pause e la non visibilità di alcune luci dell’autoarticolato (il controllo del mezzo è avvenuto in ora notturna) e – da un altro lato – che il L. , che sembra ben comprendere la lingua italiana, non tenta di accampare giustificazioni di sorta, nella palese consapevolezza delle commesse infrazioni. Dato che induce ad escludere, diversamente da quanto adduce la sentenza impugnata, che le eventuali infrazioni contestabili rappresentate al L. siano state utilizzate come strumentale “spauracchio” per indurlo a pagare il silenzio degli imputati e l’omissione di doverosi atti del loro ufficio.

Ne discende che, alla luce dei dati valutativi offerti dalla stessa decisione di appello (e da quella di primo grado), al comportamento di abuso delle funzioni e di violazione dei doveri tenuto dai due imputati si coniuga specularmente un contegno del camionista che di buon grado si determina, in autonomia decisoria, a pagare gli agenti per riprendere la marcia indenne da contravvenzioni per infrazioni al codice stradale che egli sa di aver in tutto o in parte realmente compiute. Di tal che egli agisce in vista di un personale vantaggio di segno anche economico ed in assenza di una riconoscibile condizione di sottomissione all’azione degli agenti di polizia e tale evenienza riconduce l’accertato episodio nell’ambito della corruzione propria antecedente e non della ipotizzata concussione.

5.5. Non dissimili osservazioni vanno svolte anche con riferimento al reato di cui al capo U) della rubrica contestato agli imputati Gi..Mi. e G..N. , che con i rispettivi ricorsi, fondati su tale specifico punto, invocano la “derubricazione” del fatto da concussione a corruzione.

Premesso che le doglianze del N. sulla sua non provata partecipazione all’episodio sono inconsistenti (vuoi perché tale partecipazione è documentalmente accreditata dalla tabella dei turni di servizio, vuoi perché il coimputato Mi. non ha mai messo in discussione di essere stato in servizio di pattuglia insieme al N. ), va rilevato che secondo l’ipotesi accusatoria il trasportatore S..L. sarebbe rimasto vittima di concussione ambientale, essendo stato indotto dai due imputati a versare loro una somma di denaro per evitare la contravvenzione per mancata esibizione della patente, dimenticata prima di porsi alla guida.

Ora la sintetica motivazione della sentenza di appello, sulla scia della decisione di primo grado che definisce enfaticamente il L. in “completa balia degli agenti”, radica la sussistenza della condotta concussiva degli imputati sul congiunto rilievo che essi, indugiando a lungo, insistono più volte perché il trasportatore – con un eufemismo – dica loro cosa fare (finché non capisce che deve pagare per non essere multato in misura più onerosa) e che il L. non comprende subito le ragioni del capzioso indugiare degli agenti, non adeguandosi alla consueta illegale “prassi” evolutiva dei controlli della Polizia Stradale.

Senonché palese appare la contraddizione valutativa emergente, come evidenziano i due ricorrenti, dalle dichiarazioni dibattimentali dello stesso L. , che ha ammesso di essere stato al corrente della diffusa e risalente “prassi” remunerativa degli agenti della Stradale. In guisa che non può essergli sfuggita la ragione delle tergiversazioni dei due imputati (la decisione di primo grado indica nel contegno di indugio degli operanti l’inequivoco “segnale” per far comprendere al camionista che può evitare di essere multato, pagando una somma). Con l’ulteriore sequenziale rilievo che il L. non si è affatto trovato in stato di impossibilità di agire diversamente dal pagare (con la modesta somma di 30.000 lire) gli operanti, da cui non ha subito alcuna coercizione o pressione (“…S. , vedi tu, quello che vuoi fare quello fai…”) e che il rapporto (illecito) con gli imputati si è sviluppato su un piano di sostanziale parità “contrattuale” che riconduce l’episodio nell’area di inferenza della corruzione propria, così dovendosi riqualificare l’iniziale accusa di concussione.

In proposito non sono inutili alcune rapide puntualizzazioni.

Come noto, il decisivo elemento differenziatore tra la fattispecie della concussione e quella della corruzione propria è offerto dal ricostruibile atteggiamento delle volontà del pubblico ufficiale agente e del suo interlocutore privato e, quindi, del tipo di rapporto che si stabilisce tra i due soggetti. Se nella corruzione le loro rispettive volontà si incrociano su un piano sostanzialmente paritario (ognuno dei due avendo di mira, in forma deviata ma libera, un risultato di personale vantaggio o interesse), nella concussione, ex adverso, il pubblico ufficiale sfrutta la propria autorità e il proprio potere funzionali per coartare o condizionare la volontà del soggetto, facendogli capire che non dispone di alternative ad un’arrendevole adesione alle sue ingiuste richieste, così che lo stato volitivo del soggetto privato è scandito dalla sensazione di essere sottomesso alla predominante (o come tale percepita) volontà del pubblico ufficiale.

Quest’ultimo schema o modulo ricompositivo è senz’alto ravvisabile anche nella c.d. concussione ambientale, cioè in una situazione connotata dall’esistenza di una convenzionale intesa tacitamente riconosciuta da entrambe le parti, fatta valere dal pubblico ufficiale e subita dal privato, nel quadro di una rappresentazione di ruolo o di ruoli, semplificata nella sostanza e nelle forme esecutive proprio perché evocatrice di condotte antigiuridiche già, per così dire, definite e codificate (prassi ambientale contra legem). Ciò non significa, tuttavia, che per ritenersi integrata tale peculiare tipologia di concussione, non sia pur sempre necessario il manifestarsi di siffatta rappresentazione della preponderante volontà decisionale del pubblico ufficiale, giacché il privato non sarebbe altrimenti in grado di percepire e riconoscere il richiamo a prassi illecite diffusamente seguite in un determinato ambito situazionale e locale e, per ciò stesso, di subirne il condizionamento nel decidere sulle proprie opzioni comportamentali.

È chiaro, allora, che quando i margini della rappresentazione concussoria risultano sfumati o labili, come nei casi oggetto dei contestati reati di cui ai capi O) ed U) della rubrica, non è ravvisabile l’ipotesi della concussione ambientale, se il privato inscrive il suo personale contegno nell’ambito di un “sistema” in cui il mercimonio delle funzioni pubbliche e la “prassi” di remunerazioni tangentizie siano costanti. In simili situazioni manca e si dissolve lo stato di soggezione del privato, che dal canto suo mira a garantirsi vantaggi illeciti, giovandosi dei meccanismi criminosi dettati dalla prassi deviata e rendendosi a sua volta protagonista del “sistema” illegale, di cui diventa beneficiario al pari del pubblico ufficiale infedele (cfr.: Cass. Sez. 6,12.4,2011 n. 16335, Kecira, rv. 250045; Cass. Sez. 6,11.1.2011 n. 25694, De Laura, rv. 250467).

6. Destituiti di fondamento, ai limiti della indeducibilità siccome basati su doglianze afferenti al merito fattuale dei reati estranee al giudizio di legittimità, vanno valutati i rilievi censori dei ricorrenti sugli altri episodi di corruzione.

6.1. È il caso delle censure dei ricorrenti C. e M. relative alla corruzione propria susseguente di cui al capo L) integrata dall’accettata promessa della consegna di due polli loro rivolta dal camionista D.G. per evitare la redazione a suo carico di verbali di infrazioni al codice stradale rilevate dagli imputati. La ricostruzione dell’episodio sviluppata dalle due sentenze di merito lascia escludere ogni preteso carattere giocoso dell’allusione degli imputati alla ricezione dei due polli.

Ineccepibile è la notazione della sentenza impugnata che, richiamando la giurisprudenza di questa S.C., ha rimarcato che i piccoli donativi d’uso possono valere ad escludere la configurabilità del solo reato di corruzione per il compimento di atti di ufficio di cui all’art. 318 c.p., ma mai quello di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio previsto dall’art. 319 c.p., soltanto nel primo caso essendo possibile ritenere che il minimo donativo di cortesia non abbia avuto influenza nella formazione dell’atto del pubblico ufficiale destinatario (Cass. Sez. 6,22.4.2009 n. 23776, Pagano, rv. 244361).

6.2. A non diverse conclusioni conducono i motivi di ricorso formulati dagli imputati E. e Ce. in relazione ai reati di corruzione impropria susseguente di cui al capo Q) e di corruzione propria antecedente di cui al capo R) loro ascritti.

L’indebita percezione di una somma di denaro per l’espletato servizio di scorta stradale di due autoarticolati con trasporti eccezionali è attestato dal captato icastico commento con cui gli imputati si dolgono della pochezza della percepita “ricompensa”.

L’illecita condotta degli imputati, elusiva di doverosi atti di ufficio (quanto meno diffida a sospendere i lavori in corso) dietro compenso del soggetto interessato all’installazione di un cartellone pubblicitario a distanza irregolare dalla sede autostradale è dimostrata in maniera univoca. Il funzionario della società Autostrade addetto alla vigilanza autostradale ha riferito dell’avanzato stato di installazione dei pali di sostegno del cartellone, come da lui stesso rilevato all’atto della segnalazione alla centrale operativa della Polizia Stradale. Circostanza confermata altresì dalla testimonianza del proprietario del fondo sede della installazione del cartellone, che ha assistito all’intervento dei due imputati.

6.3. Analoghe considerazioni valgono, infine, per i rilievi espressi dai ricorrenti imputati Mi. e N. in riferimento all’episodio di corruzione coinvolgente un ignoto camionista di XXXXX, oggetto del reato di cui al capo S) della rubrica. Come con logici argomenti, dettati dalla lettura delle chiare captazioni foniche, osserva la sentenza impugnata, la sicura illiceità dell’azione del camionista (su sua iniziativa) accompagnata dalla raccomandazione di uno degli imputati di non farsi vedere da altri, l’altrettanto sicura omissione di qualsiasi controllo (pur larvatamente adombrato dagli agenti) e la successiva delusione degli agenti per la modestia della dazione ricevuta sono, tutti, elementi che non lasciano margini di dubbio sulla avvenuta consegna di denaro agli agenti da parte del camionista quale corrispettivo degli omessi controlli del suo veicolo.

Ogni altra residua censura dei ricorrenti è assorbita dagli specifici esiti decisori, estintivi di tutti i reati, dell’odierno giudizio nei termini enunciati in dispositivo.

P.Q.M.

 

Qualificati i reati di cui ai capi O) e U) ai sensi dell’art. 319 c.p., annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per prescrizione.

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