Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 28 ottobre 2015, n. 43419
Ritenuto in fatto
1. II GUP del Tribunale di Cosenza, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente, F.M., e di sei coimputati, con sentenza dei 22.1.2014, all’esito di giudizio abbreviato, lo giudicava per i seguenti reati:
L1) artt. 81 cpv. c.p. e 73 DPR 309/90 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, poste in essere anche in tempi diversi, in difetto dell’autorizzazione prevista dall’art. 17 dei medesimo testo di legge, illecitamente deteneva ai fini della vendita o, comunque, della successiva cessione e vendeva a Volpintesta Ivan e ad altri soggetti in corso di identificazione, sostanza stupefacente dei tipo cocaina verso un corrispettivo di denaro oscillante tra 20,00 e 50.00 euro. In Castrolibero, in data 12 maggio 2012
L2) artt. 81 cpv. c.p. e 73 DPR 309/90 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, poste in essere anche in tempi diversi, in difetto dell’autorizzazione prevista dall’art. 17 dei medesimo testo di legge, illecitamente deteneva ai fini della vendita o, comunque, della successiva cessione e vendeva a N.M., F.P. e ad.altrì soggetti in corso di identificazione sostanza stupefacente dei tipo cocaina verso un corrispettivo di denaro di circa 70 euro a grammo. In Castrolibero, dal mese di maggio 2012 con condotta perdurante
L3) artt. 81 cpv c.p. e 73 DPR 309/90 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, poste in essere anche in tempi diversi, in difetto dell’autorizzazione prevista dall’art. 17 del medesimo testo di legge, illecitamente deteneva ai fini della vendita o, comunque, della successiva cessione e vendeva a N.M., F.P. e ad altri soggetti in corso di identificazione sostanza stupefacente del tipo hashish verso un corrispettivo di denaro di circa 40-50 euro a dose. In Castrolibero, dal mese di maggio 2012 con condotta perdurante
L4) artt. 81 cpv. c.p. e 73 DPR 309/90 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, poste in essere anche in tempi diversi, in difetto dell’autorizzazione prevista dall’art. 17 dei medesimo testo di legge, illecitamente deteneva ai fini della vendita o, comunque, della successiva cessione e vendeva a N.M., F.P. e ad altri soggetti in corso di identificazione sostanza stupefacente del tipo marijuana verso un corrispettivo di denaro di circa 15-20 euro a dose. In Castrolìbero, dal mese di maggio 2012 con condotta perdurante.
Il GUP cosentino assolveva F.M. dal reato a lui ascritto al capo L1) e dai reati a lui ascritti ai capi L2), L3) ed L4) della rubrica, relativamente alle cessioni diverse da quelle a N.M., perché il fatto non sussiste.
Lo condannava, invece, per i reati ascrittigli ai capi L2), L3) ed L4) della rubrica, relativamente alle cessioni a N.M. e lo condannava, unificati i reati con il vincolo della continuazione sotto il più grave reato di cui al capo L2), riqualificato il fatto nell’ipotesi di cui all’art. 73 co. 5 Dpr. 309/90, operata la riduzione per il rito, alla pena di anni uno e mesi quattro dì reclusione ed euro 3000,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 569 cod. proc. pen, con ricorso per saltum, a mezzo dei proprio difensore di fiducia, F.M., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione all’art. 125 cod. proc. pen.
Il ricorrente deduce un evidente contrasto tra la parte motiva e la parte dispositiva dei provvedimento impugnato.
Rileva che nella motivazione, a pagina 62 della sentenza impugnata, il Tribunale ritiene che l’imputato vada assolto, relativamente agli episodi dì cessione a N.M. e, poi, al contrario di quanto motivato, lo condanna proprio per le cessioni fatte a N.M., assolvendolo da tutti gli altri capi di accusa.
Pertanto, parte motiva e parte dispositiva sarebbero completamente in contrasto, in violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. e dell’art. 111 Cost., pertanto la motivazione sarebbe “tamquam non esset”.
Sarebbe indubbio, per li ricorrente, che nel contrasto debba darsi prevalenza alla parte motiva, sia per pacifico orientamento giurisprudenziale sia perché il provvedimento impugnato svolgerebbe un’attenta e condivisibile analisi dell’imputazione a carico dei F., pervenendo alla necessità di un’assoluzìone dello stesso.
b. Violazione di legge ex art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 191 e 407 cod. proc. pen.
Le dichiarazioni di Massimo N. sarebbero state assunte in data 14.2.2013, ed in pari data sarebbe stato effettuato il riconoscimento fotografico. L’iscrizione nel Registro Notizie di reato sarebbe invece avvenuta il 20.1.2012, con termine di scadenza delle indagini preliminari al 20.7.2012 (in ricorso si legge 2013, ma trattasi evidentemente di un refuso).
Sarebbe evidente, quindi, lo sforamento dei termini di durata delle indagini preliminari e detto sforamento sarebbe stato implicitamente confermato dal GUP, che nel rigettare l’eccezione afferma che gli atti di indagine sono utilizzabili anche se concepiti fuori termine.
Lo stesso GUP, poi, allorquando rivestiva il ruolo di GIP, segnalava al Tribunale di Catanzaro che nei fascicolo in esame non era stata mai richiesta né messa alcuna richiesta di proroga delle indagini.
La difesa di F.M. avrebbe sollevato la questione nei motivi di riesame presentati all’udienza dei 30.4.2013, riproponendola nel ricorso per Cassazione depositato il 16.5.2013.
Sul punto la S.C. considerò rilevanti le omissioni rinviando al Tribunale della Libertà per un nuovo esame che venne effettuato dopo l’emissione della sentenza oggi impugnata.
Inoltre l’assunto del GUP, se ritenuto plausibile, determinerebbe l’inoperatività assoluta dell’art 407 cod. proc. pen. e del suo 3° comma.
Infatti, secondo la teoria dei giudice, lo sforamento dei termini di durata delle indagini preliminari, non potrebbe mai essere rilevato, sotto il profilo della inutilizzabilità, in sede di celebrazione di rito abbreviato, mentre in sede dibattimentale, lo sforamento sarebbe comunque sanato escutendo i testi in dibattimento.
Nel caso di specie, la difesa avrebbe, in data 23.10.2013, formulato richiesta di definizione con rito abbreviato condizionato alla escussione di N.M..
II GUP di Cosenza avrebbe rigettato la richiesta, procedendo, nelle forme dei rito abbreviato così detto “secco”.
II GUP avrebbe, poi, sostenuto che definendo il procedimento con rito abbreviato l’imputato avrebbe accettato lo stato dei fascicolo rinunciando a formulare eccezioni.
Inoltre, continua il ricorrente, la giurisprudenza richiamata dallo stesso GUP sarebbe riportata in sentenza solo parzialmente, mentre quella stessa giurisprudenza esprimerebbe un orientamento diverso da quello recepito dal GUP.
Il ricorrente ribadisce di aver sollevato la questione di inutilizzabilità degli atti in sede di istanza di revoca di misura cautelare, di riesame, e di ricorso per Cassazione in fase cautelare, oltre che implicitamente in udienza, allorquando si chiedeva l’escussione del N..
Inoltre, la S.C. aveva aderito alle doglianze, pur trattandosi di notifica della richiesta di proroga delle indagini preliminari.
Pertanto l’averlo eccepito già in fase cautelare, senza che fosse maturato un giudicato in quella sede, non può certamente far attribuire all’eccezione di inutilizzabilità l’aggettivo di intempestiva.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con conseguente statuizione di legge.
Considerato in diritto
1. II motivo sub a. è fondato ed assorbente rispetto agli altri proposti, imponendosi conseguentemente l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro per nuovo esame.
2. Trattasi di ricorso per saltum in relazione al quale ritiene il Collegio che, essendo la motivazione in punto di affermazione di penale responsabilità totalmente assente, il ricorso diretto per Cassazione, contemplato dal comma 1 dell’art. 569 C.p.p., è consentito, per espressa previsione legislativa (art. 569.3 c.p.p.), trovandoci di fronte ad una nullità radicale, cioè ad un vizio che può essere fatto rientrare nell’ipotesi di cui all’art. 606 co. 1 lett. b) cod. proc. pen.
Ha ragione il ricorrente nel dolersi che nella motivazione, a pagina 62 della sentenza impugnata, il Tribunale ritiene che l’imputato vada assolto, relativamente agli episodi di cessione a N.M. e, poi, al contrario di quanto motivato, lo condanna proprio per le cessioni fatte a N.M., assolvendolo da tutti gli altri capi di accusa.
In realtà, dunque, per la condanna di cui in dispositivo difetta ogni motivazione.
Probabilmente il GUP nel redigere la motivazione della sentenza ha indicato un nome errato, confondendo i nominativi di N.M. e F.P.. L’intercettazione cui fa riferimento la sentenza per motivare la colpevolezza dell’imputato è relativa a N.M..
La motivazione della sentenza, nel complesso, è assai sintetica, in quanto, in gran parte, il giudice si è limitato a fare un’operazione di “taglia e incolla” delle intercettazioni.
La sentenza impugnata, dapprima, a pagina 49 motiva il profilo di F.M. rinvenendo la certa identificazione dei F., nell’attività di spaccio, nella captazione n.2428 che riporta integralmente, poi, come detto, a pagina 62 motiva sulla necessità di assolvere l’imputato in relazione ai capi L)1 e relativamente alle cessioni a N.M. ai capi L)2, L)3 e L)4, in quanto vi sarebbe il serio dubbio della compartecipazione del N. alle condotte del F., richiamando proprio l’intercettazione n.2428 prima indicata come fonte della certa identificazione (nell’intercettazione il nominativo di Manuel F. viene fatto espressamente)
Successivamente nel dispositivo della sentenza, il Tribunale condanna l’imputato per i capi L)2, L)3 e L)4, nei quali erano contestate le cessioni a N.M., F.P. ed altri.
3. II contrasto tra motivazione e dispositivo è lampante.
Ebbene, va rilevato che il principio a lungo affermato di una prevalenza dei dispositivo sulla motivazione subisce delle deroghe nel caso in cui la motivazione consenta di ricostruire la reale volontà dei giudicante (cfr. ex plurímís sez. 2, n. 3186 del 28/11/2013 dep. 23/01/2014 , Fu Fenglou, rv. 258533; conf. sez. 5, n. 7427 del 26.9.2013 dep. 17.2.2014, Rallo ed altri, rv. 259029).
Perciò, in caso di contrasto tra dispositivo e motivazione non contestuali, il carattere unitario della sentenza, in conformità al quale l’uno e l’altra, quali sue parti, si integrano naturalmente a vicenda, non sempre determina l’applicazione dei principio generale della prevalenza del primo in funzione della sua natura di immediata espressione della volontà decisoria dei giudice; invero, laddove nel dispositivo ricorra un errore materiale obiettivamente riconoscibile, il contrasto con la motivazione è meramente apparente, con la conseguenza che è consentito fare riferimento a quest’ultima per determinare l’effettiva portata dei dispositivo, individuare l’errore che lo affligge ed eliminarne gli effetti, giacché essa, permettendo di ricostruire chiaramente ed inequivocabilmente la volontà dei giudice, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni fondanti la decisione (cfr. sez. feriale n, 47576 dei 9.9.2014, Savini, rv. 261402 relativamente ad una fattispecie relativa alla mancata menzione nel dispositivo dell’assoluzione dell’imputato ìn relazione ad un segmento della condotta nonostante che la motivazione evidenziasse la chiara ed univoca volontà dei giudici di ritenerlo colpevole solo in relazione ad altra parte addebitatagli nell’ambito di un’unitaria contestazione di calunnia).
Pertanto, il Collegio ritiene di aderire a quell’orientamento ormai consolidatosi -che va qui riaffermato- secondo cui l’eventuale divergenza tra dispositivo e motivazione della sentenza non può essere sempre risolta ricorrendo al criterio della prevalenza dei primo sulla seconda, atteso che la motivazione conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni per cui il giudice è pervenuto alla decisione e pertanto ben può contenere elementi certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso. (così questa sez. 4, n. 40796 dei 18.9.2008, Marchetti ed altri, rv. 241472, in un caso relativo alla mancata menzione nel dispositivo dell’avvenuta pronunzia da parte del giudice di merito sul concorso di colpa della vittima di un omicidio colposo del quale la motivazione dava invece conto come presupposto per la concessione delle attenuanti generiche).
4. Relativamente al caso che ci occupa, ritiene tuttavia il Collegio che non si possa percorrere la via – pure, ad esempio, praticata da sez. 5 nella citata sen-
tenza 7427/2014 che provvide alla correzione del dispositivo letto in udienza, il quale disponeva l’annullamento con rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, senza precisare che esso concerneva solamente due delle posizioni ricorrenti – come risultante anche dai motivi di ricorso – e non le altre, aggiungendo l’inciso “per Rossi e Bianchi”- della correzione diretta ex art. 619 cod. proc. pen.
Nel caso che ci occupa, infatti, la difformità tra motivazione e dispositivo non è di natura esclusivamente formale, ma presenta profili di merito che non possono essere valutati in sede di legittimità.
Se deve, pertanto, pervenire all’analoga conclusione cui era pervenuta altra recente pronuncia di questa Corte che aveva affermato il principio che il dispositivo di una sentenza che sia completamente difforme dalla reale decisione adottata, non può essere corretto facendo riferimento alla motivazione in cui il giudice riconosca l’errore commesso (sez. 6, n. 29348 dei 13.6.2013, Bignone, rv. 257212 che, nell’affermare il principio indicato, ha annullato con rinvio la sentenza in cui il giudice d’appello aveva in dispositivo dichiarato estinto per prescrizione il reato e in motivazione aveva invece spiegato che i motivi di appello erano infondati, che la sentenza impugnata doveva essere confermata e che il dispositivo era errato perché era stata data lettura di un dispositivo relativo ad un processo diverso).
5. II giudice del rinvio, che ai sensi dell’art. 569 co. 4 cod. proc. pen. dovrà essere la corte di appello, sarà chiamato a pronunciarsi anche sulla questione proposta sub b. dal ricorrente e dovrà tenere conto, in termini di sanzione, della nuova e più favorevole previsione legislativa relativa al V comma dell’art. 73 Dpr. 309/90.
P.Q.M.
Annulla l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro
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