Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 25 febbraio 2014, n. 9203
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Potenza, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, dichiarato inammissibile l’appello del pubblico ministero, riteneva Me.Ug.Ca.Ro. e M.A. responsabili agli effetti civili dell’incidente stradale nel quale era deceduto P.R. , con il concorso della stessa persona offesa, e li condannava al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili oltre che al pagamento delle spese processuali, in accoglimento dell’appello delle medesime parti civili.
Secondo la ricostruzione dei fatti già risultante dalla sentenza di primo grado, in data (omissis) alle ore 7.20 circa, P.R. , persona anziana d’età, percorreva a piedi la (…), in direzione di (…), quando, subito dopo una curva ad “U” che immette in un rettilineo, decideva di attraversare la strada rispetto al suo senso di marcia, in un punto particolarmente pericoloso visto che quel giorno, a causa della chiusura della strada statale a scorrimento veloce, il traffico veicolare era tutto smistato sulla (…). Nella medesima direzione, sopraggiungeva il veicolo Fiat Panda condotto da Me.Ug.Ca.Ro. , con a bordo S.L. , che percorreva in discesa il tratto di strada, bagnato per la pioggia, e che, imboccata la curva sinistrorsa, avvistava il P. mentre quest’ultimo cominciava ad attraversare la strada, provvedendo a suonare il clacson e tentando di scansare il pedone; la ultima manovra non riusciva in modo compiuto al Me. , atteso che il P. non si avvedeva del pericolo e continuava nel suo attraversamento e soprattutto in considerazione del fatto che la corsia di marcia opposta era comunque occupata da altra vettura proveniente dalla opposta direzione. Per tali ragioni, il mezzo del Me. andava ad urtare il P. con lo specchietto retrovisore destro e ne determinava la caduta.
Tale circostanza diventava fatale per lo sventurato anziano, in quanto a breve distanza dall’autovettura del Me. viaggiava, ad una velocità compresa nei limiti ivi previsti, l’autovettura Ford Escort condotta da M.A.V. , che,pur percependo il pericolo e tentando di arrestare il proprio mezzo, non riusciva ad impedire di schiacciare con il proprio mezzo il malcapitato pedone, cosi causandone il decesso.
Secondo il giudice di primo grado, pur essendo certa la diretta causalità tra la condotta dei due imputati e il decesso del P. , non se ne poteva ritenere la responsabilità atteso che non era possibile affermare con certezza la loro colpa per non aver tempestivamente percepito il pericolo e apprestato manovre di emergenze, atteso che per il modo in cui si era verificato l’incidente, in curva e con veicoli che sopraggiungevano in senso inverso, non poteva escludersi che gli stessi non avessero avuto a disposizione il tempo necessario per apprestare una manovra di emergenza.
La Corte di appello andava in diverso avviso. Nonostante il comportamento imprudente del P. che attraversava la strada in un punto pericoloso, fuori delle strisce e senza prestare attenzione al traffico veicolare, i due automobilisti erano sicuramente in colpa essendosi trovati nella condizione di avvistare il P. e di scansarlo. Il Me. aveva osservato i movimenti del P. e aveva addirittura suonato il clacson per richiamarne l’attenzione; avrebbe invece dovuto o fermarsi o scansarlo sterzando opportunamente, manovre per le quali esistevano i necessari tempi tecnici. Quanto a M. la Corte osservava che egli “sopraggiunse nel punto in cui si era verificato il precedente investimento del P. , trovandosi di fronte ad un corpo inerte, riverso sulla sede stradale, e, quindi, avendo avuto la possibilità di avvistare il pedone e di evitarne l’investimento. Non può avere pregio, al riguardo, la deduzione difensiva, basata sulla deposizione del teste V. , secondo la quale l’imputato procedeva a velocità moderatissima e, non appena si avvide della presenza del corpo della vittima sulla strada, frenò, arrestandosi a ridosso del malcapitato P. . Invero, se fosse stata vera a circostanza secondo la quale il M. guidava l’autovettura a velocità particolarmente moderata, come prescrivevano le particolari condizioni di quel tratto stradale (successivo ad una curva ad U e in prossimità di un centro abitato), l’imputato si sarebbe trovato sicuramente nelle condizioni per ottemperare agli obblighi previsti dall’art. 141 commi C.d.S.”.
2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione la difesa del M.. Lamenta mancanza e difetto di motivazione e travisamento del fatto rispetto a specifici atti processuali, ignorati e dimostranti il contrario di quanto affermato; la corte ha presupposto una velocità del M. non adeguata alle condizioni dei luoghi e ha dato per scontato che l’imputato avesse tempo e spazio per arrestare il proprio veicolo senza investire il pedone sulla base di semplici congetture, smentite dalle perizie e consulenze tecniche in atti.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
La ritenuta responsabilità del ricorrente si fonda sull’assunto che il medesimo, una volta avvistato il corpo del P. steso a terra, abbia avuto la possibilità di mettere in atto una manovra di arresto del proprio veicolo così evitando l’investimento. La questione dei tempi tecnici di reazione in relazione alla concreta posizione del corpo del P. e del veicolo dell’imputato M. , affrontata dal perito e dai consulenti, è stata del tutto ignorata. La stessa doveva invece trovare adeguata considerazione atteso che la responsabilità del M. presuppone che sia dia una motivata risposta positiva al dubbio che sin dal primo grado era sorto al riguardo e che aveva condotto quel giudice ad un giudizio di assoluzione. Si imponeva dunque un compiuto e motivato accertamento circa la posizione delle parti nell’incidente e la visibilità di cui disponeva il M. attesa la conformazione a U della curva dove è avvenuto l’incidente. Di ciò la sentenza qui impugnata non si fa carico, limitandosi alla apodittica affermazione della possibilità di evitare l’evento, senza indicare a quali dati tali affermazione sia ancorata.
2. Si impone dunque l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello per nuova valutazione sulla responsabiltà.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
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