Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 25 febbraio 2014, n. 9194
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 14 giugno 2012 la Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza del Tribunale di Monza dei 20 settembre 2011, appellata da M.S., dichiarava non doversi procedere nei confronti dello stesso perché l’azione penale non poteva essere iniziata per tardività della querela.
2. Il M., in qualità di medico curante del minore R.C., nato il 18 luglio 2003, era stato tratto a giudizio per il reato di lesioni colpose in danno del medesimo in relazione alla ritardata diagnosi di sordità. La Corte territoriale in particolare riteneva che la querela presentata dai genitori dei minore in data 29 ottobre 2007 era da ritenersi tardiva in quanto i medesimi erano venuti a piena conoscenza del difetto genetico del loro figlio sin dal giugno-luglio dei 2006.
3. Avverso tale decisione propone ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano.
Il PG lamenta la violazione dell’art. 124 c.p. e la manifesta illogicità della motivazione.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è fondato e deve conseguentemente essere accolto. Va anzitutto premesso che l’accertamento svolto dal giudice di merito sulla tempestività, o tardività, della querela involge anche un accertamento di fatto che, se condotto con corretti criteri logico giuridici, si sottrae al controllo di legittimità. Nel caso in esame l’accertamento di fatto condotto dal giudice di merito non è posto in discussione; con il ricorso si contesta invece la correttezza dei criteri utilizzati dal giudice di merito per individuare il momento iniziale del decorso del termine per la proposizione della querela che, per giurisprudenza costante, coincide con quello in cui il titolare del diritto di querela viene a completa conoscenza del fatto reato nei suoi elementi costitutivi di natura oggettiva e soggettiva.
Questa conoscenza non può essere limitata, come sostanzialmente ritiene la sentenza impugnata, alla sola consapevolezza dell’esistenza di conseguenze della patologia che ha riguardato la persona ma deve quanto meno estendersi alla possibilità che, su questa patologia, abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei medici che hanno seguito il caso. Diversamente difetterebbe la consapevolezza dell’astratta esistenza di un’ipotesi di reato che non si realizza solo con il verificarsi di un evento materiale ma richiede che la persona offesa abbia coscienza, sia pure sommaria, della violazione di regole cautelari nel trattamento della patologia e dell’influenza causale di questa violazione sull’evento dannoso verificatosi. In questo senso va interpreta la giurisprudenza di legittimità (compresa quella richiamata nella sentenza impugnata) dalla quale si evince che il termine inizia a decorrere quando la persona offesa abbia la piena cognizione di tutti gli elementi di natura oggettiva e soggettiva che consentono la valutazione dell’esistenza del reato (v. in questo senso, Cass., Sez. IV, 7 aprile 2010, n. 17592 del 07/04/2010, Rv. 247096; Cass., sez. IV, 30 gennaio 2008, n. 13938; Cass., sez. 3, 19 dicembre 2005 n. 3943, Decurione, Rv. 233483; sez. 5, 19 dicembre 2005 n. 5944, Ambrogio, Rv. 233846; 6 febbraio 2003 n. 11781, Blangero, Rv. 223909; sez. 2, 24 luglio 2002 n. 29923, Battistuzzi, Rv. 222083; sez. 5, 20 gennaio 2000 n. 3315, Prando, Rv. 215580).
Orbene non è possibile, nel caso di lesioni colpose astrattamente riconducibili a responsabilità medica, che la mera conoscenza delle conseguenze subite in esito al trattamento terapeutico costituisca consapevolezza dell’esistenza del reato perché difetta ancora, nella persona offesa, la consapevolezza della circostanza che il medico ha violato le regole dell’arte medica cagionando le lesioni.
Nel caso in esame la Corte territoriale si è limitata all’accertamento della consapevolezza dell’esistenza degli esiti della malattia senza indagare funditus se i querelanti fossero a conoscenza degli errori diagnostici e terapeutici ipotizzati e senza verificare se questa conoscenza sia intervenuta solo dopo l’espletamento della consulenza medico legale di parte.
5. Consegue alle considerazioni svolte l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata alla Corte d’appello di Milano (per nuovo esame) cui è rimesso anche il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano per nuovo esame e rimette alla medesima Corte il regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio.
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