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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza n. 8596 del 9 aprile 2013

Svolgimento del processo

Con citazione notificata in data 1.3.1994 Intertrade Srl conveniva in giudizio T.S. esponendo che aveva stipulato con il predetto il 20.2.1992 un contratto di locazione ad uso non abitativo per il canone annuo di L. 13.200.000; che i locali a ragione del notevole incremento dei suoi affari si erano rivelati insufficienti; che aveva comunicato al locatore l’intenzione di recedere dal contratto con apposita raccomandata del 18.5.1993 e con consegna delle chiavi senza però ottenere che il locatore accettasse di riceverle. Ciò premesso chiedeva dichiararsi la validità del recesso. In esito al giudizio, in cui si costituiva il locatore chiedendo che la conduttrice offrisse la prova della sussistenza dei gravi motivi di recesso, il Tribunale adito accoglieva la domanda. Avverso tale decisione il T. proponeva appello ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Firenze con sentenza depositata in data 23 novembre 2006, in riforma della sentenza impugnata, respingeva le domande proposte dalla società Interdrate, che condannava al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio. Avverso la detta sentenza la società attualmente in liquidazione ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.

Resiste con controricorso il T. , il quale eccepisce preliminarmente che la società Interdrate è stata cancellata dal registro delle imprese già dal 23.12.2004, nelle more del giudizio di appello. La Interdrate ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Preliminarmente, occorre portare l’attenzione sull’eccezione di nullità del ricorso, sollevata introduttivamente dal controricorrente, sulla base del rilievo che Interdrate srl non sarebbe più in liquidazione, essendo stato depositato il bilancio finale di liquidazione all’11.10.2004 con assegnazione ai soci delle attività e passività della società, e sarebbe stata quindi cancellata dal registro delle imprese in data 23.12.2004. Da ciò, consegue – così conclude il T. – che il liquidatore e legale rappresentante di Interdrate in liquidazione, non essendo più tale,difetterebbe di capacità processuale ex art.75 cpc a proporre il ricorso per cassazione e difetterebbe altresì la legittimazione processuale della ricorrente.
L’eccezione merita attenzione. Invero, premesso che dall’esame della documentazione allegata al controricorso dal T. (copia bilancio finale liquidazione Interdrate s.r.l. e atti relativi: doc. 4; copia verbale pignoramento mobiliare 9.3.2007: doc. 5) risulta la fondatezza delle circostanze di fatto addotte dal controricorrente, mette conto di sottolineare che, a riguardo, sono intervenute, di recente, le Sezioni Unite le quali hanno statuito che in tema di società di capitali, quale è la Interdrate Srl, la cancellazione dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, nel caso in cui tale adempimento, così come è accaduto nel caso di specie, abbia avuto luogo in data successiva all’entrata in vigore dell’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, che, modificando l’art. 2495, secondo comma, cod. civ., ha attribuito efficacia costitutiva alla cancellazione: a tale disposizione, infatti, non può attribuirsi natura interpretativa della disciplina previgente, in mancanza di un’espressa previsione di legge, con la conseguenza che, non avendo essa efficacia retroattiva e dovendo tutelarsi l’affidamento dei cittadini in ordine agli effetti della cancellazione in rapporto all’epoca in cui essa ha avuto luogo, per le società cancellate in epoca anteriore al 1 gennaio 2004 l’estinzione opera solo a partire dalla predetta data. Peraltro, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ., come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali, impone un ripensamento della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento, contestualmente alla pubblicità nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 6 del 2003, e con decorrenza dal 1 gennaio 2004 nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore. (Sez. Un. 4060/2010).
Successivamente, la S.C. ha statuito che la cancellazione dal registro delle imprese determina l’estinzione del soggetto giuridico e la perdita della sua capacità processuale. Ne consegue che, nei processi in corso, anche se essi non siano interrotti per mancata dichiarazione dell’evento interruttivo da parte del difensore, la legittimazione sostanziale e processuale, attiva e passiva, si trasferisce automaticamente, ex art. 110 cod. proc. civ., ai soci, che, per effetto della vicenda estintiva, divengono partecipi della comunione in ordine ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione, e, se ritualmente evocati in giudizio, parti di questo, pur se estranei ai precedenti gradi del processo, (v. Cass. n. 9110/2012).
Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, si deve pertanto dichiarare l’inammissibilità del ricorso in esame. Consegue a tale pronuncia la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, alla stregua dei parametri di cui al D.M. n.140/2012 sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 4.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, ed Euro 200,00 per esborsi.

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