Suprema Corte di Cassazione
sezione III
Sentenza n. 25754 del 4 luglio 2012
1. Con sentenza del 19 settembre 2011, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Alessandria ha applicato la pena concordata con il Pm, nella misura di anni due di reclusione convertita in anni quattro di libertà controllata, a T. F., imputato, nella qualità di tenutario delle scritture contabili di diverse società, in concorso con altri soggetti, per una serie di reati tributari (art. 81 cpv c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 2, 8 e 9), fatti accertati in (omissis).
2. L’imputato, tramite il proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione per l’annullamento della sentenza emessa ex art. 444 c.p.p., per i seguenti motivi: a) violazione di legge non avendo il giudice pronunciato sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., e violazione di legge per contraddittorietà processuale della motivazione, dovendosi tenere contro delle valutazioni espresse dal giudice nella sentenza di proscioglimento dei coimputati C. e P., emessa lo stesso giorno all’esito dell’udienza preliminare, atteso che le stesse ragioni avrebbero dovuto condurre ad una decisione assolutoria anche per il T.; b) Mancanza ed illogicità della motivazione e violazione di legge anche in riferimento al D.Lgs.
C., che ha condotto al proscioglimento dello stesso, sia la violazione di legge in relazione alla dosimetria sanzionatoria.
3. In data 16 febbraio 2012 il difensore ha depositato memoria con la quale vengono ribadite sia la assenza di prova in ordine alle illiceità delle fatture utilizzate dal C., che ha condotto al proscioglimento dello stesso, sia la violazione di legge in relazione alla dosimetria sanzionatoria.
Motivi della decisione
1. Osserva la Corte che il ricorso risulta manifestamente infondato.
E’ principio pacifico in giurisprudenza (per tutte, Sez. III, n. 1693 del 1/6/2000, Rv. 216583) che nel giudizio definito ai sensi dell’art. 444 c.p.p., è inammissibile, per genericità, l’impugnazione nella quale sia stata lamentata la mancata verifica o comunque l’omissione di motivazione in ordine alla sussistenza di cause di non punibilità, quando la censura non sia accompagnata dalla indicazione specifica della sussistenza in atti degli elementi che avrebbero dovuto imporre al giudice l’assoluzione o il proscioglimento ex art. 129 c.p.p..
Infatti, nell’ipotesi di impugnazione di una decisione assunta in conformità alla richiesta formulata dalla parte secondo lo schema procedimentale previsto dall’art. 444 c.p.p., l’esigenza di specificità delle censure deve ritenersi più pregnante rispetto ad ipotesi di diversa conclusione del giudizio, dato che la censura sui provvedimento che abbia accolto la richiesta dell’impugnante deve impegnarsi a demolire, prima di tutto, proprio quanto richiesto dalla stessa parte (Sez. Unite, n. 11493 del 24/6/1998, Rv. 211468).
2. Orbene, il ricorrente non ha indicato specificamente le risultanze delle indagini preliminari dalle quali emergerebbe l’assoluta inidoneità degli elementi di accusa a suo carico e la sussistenza, invece, di elementi dimostrativi dell’estraneità dell’imputato ai fatti contestati, ma si è limitato a riproporre una diversa lettura del quadro probatorio, sollecitando una valutazione di merito, inammissibile nella presente sede di legittimità, giudizio che peraltro dovrebbe addirittura tenere conto dell’esito del diverso procedimento penale nei confronti di uno dei coimputati, celebrato con rito abbreviato, condizionato all’audizione di testimoni.
Del pari manifestamente infondato risulta essere il terzo motivo di ricorso, atteso che dalla parte motiva dell’impugnata decisione si evince con chiarezza che il patteggiamento è stato concordato quale continuazione con fatti già giudicati in altra sentenza, nella quantificazione di tale continuazione in un anno di reclusione, per un totale di pena di due anni, convertita in quattro anni di libertà controllata.
4. Per quanto attiene invece al secondo motivo, diversamente da quanto rilevato dal Procuratore generale di questa Corte, si deve evidenziare che la giurisprudenza ha precisato, sin dal primo momento, che in tema di emissione di fatture per operazioni inesistenti, il regime derogatorio previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 9, esclude la possibilità di concorso reciproco fra i reati previsti dagli artt. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), senza però introdurre per questa seconda ipotesi delittuosa alcuna deroga ai principi generali in tema di concorso di persone nel reato fissati dall’art. 110 c.p. (così Sez. 3, n. 28341 dell’1/6/2001, dep. 12/7/2001, Torturo, Rv. 219679, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva configurato il concorso ex art. 110 c.p. tra il commercialista e l’emittente delle fatture). Infatti tale disposizione ha per scopo di evitare la doppia criminalizzazione di un medesimo comportamento illecito, non già di esonerare il professionista “istigatore di una serie di operazioni fittizie”.
D’altra parte, la tesi sostenuta dal ricorrente potrebbe assumere dignità solo laddove le fatture indicate nei capi di imputazione quali oggetto dell’emissione, corrispondessero con quelle indicate, invece, nei capi di imputazione laddove il T. si vede contestato il concorso nella utilizzazione di una serie di fatture.
Ma così non risulta, come evidenziabile a seguito di un semplice esame dei capi di imputazione. Peraltro sarebbe stato onere del ricorrente indicare specificamente – ed al giudice di merito prima che al giudice di legittimità – quali fatture per operazioni inesistenti gli fossero state addebitate in due distinte imputazioni, sia in concorso con la società emittente, sia in concorso con la società o le società utilizzatrici.
L’assoluta genericità della censura ne conferma pertanto la sua manifesta infondatezza, per cui il presente ricorso va dichiarato, in conclusione, inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del giudizio e della somma di Euro mille e cinquecento in favore dalla Cassa delle ammende.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di millecinquecento Euro in favore della Cassa delle Ammende
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