SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 9 aprile 2013, n. 8576
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMATUCCI Alfonso – Presidente –
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –
Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
Sentenza
sul ricorso 1570-2008 proposto da:
COMUNE DI COGORNO (OMISSIS), in persona del Vice Sindaco in carica e legale rappresentante pro tempore Dott.ssa ENRICA SOMMARIVA, elettivamente domiciliato in ROMA, LUNGOTEVERE DELLE NAVI 30, presso lo studio dell’avvocato SORRENTINO FEDERICO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRANARA DANIELE giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
M.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. ZANARDELLI 36, presso lo studio dell’avvocato ROMEO GIUSEPPE GIULIO, che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 280/2007 del TRIBUNALE di CHIAVARI, depositata il 17/10/2007, R.G.N. 818/07, 1132/07 e 2609/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/02/2013 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;
udito l’Avvocato GUIDO ROMANELLI per delega;
udito l’Avvocato GIUSEPPE GIULIO ROMEO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso ai sensi degli artt. 366 e 366 bis.
Svolgimento del processo
1. M.D. conseguì sentenza del tribunale di Chiavari – in data 26.5.04 col n. 663 – di condanna, nei confronti del Comune di Cogorno (GE), al risarcimento dei danni patiti per accessione invertita di un suo immobile, quantificandoli in Euro 13.817,95, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria “dal dì del dovuto al saldo”; e, sulla base di tale titolo esecutivo, il creditore agì in via esecutiva, con una terza procedura (dopo averne azionato una prima per la sorta ed altra per le spese di lite), per gli interessi legali da lui ritenuti riconosciutigli dal titolo.
Dispiegata una prima opposizione dal debitore e, contro la sospensione concessa dal g.e., altra dal creditore procedente, le relative fasi di merito erano instaurate in tempo successivo al 2.10.06 e, poi riunite, decise dal medesimo tribunale di Chiavari con sentenza n. 280 del 17.10.07, con rigetto delle doglianze del debitore, revoca della disposta sospensione, reiezione della domanda ex art. 96 cod. proc. civ. dispiegata dal creditore e condanna dell’opponente alle spese di lite.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre oggi, affidandosi a due motivi illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., il Comune di Cogorno; resiste con controricorso il M..
Motivi della decisione
2. Il ricorrente – che, nella memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., tra l’altre riferisce che, sulla sentenza di appello avverso quella azionata come titolo esecutivo oggetto della presente opposizione, pende ricorso iscritto al n. 19949/10 r.g. di questa Corte – articola due motivi, entrambi di vizio motivazionale, dolendosi:
– con il primo, del “computo degli interessi legali sulla somma capitale liquidati in favore dell’avv. M.D. nella sentenza n. 663/04 resa dal Tribunale di Chiavari in data 26.05.2004”, specificando poi la doglianza quanto alla decorrenza, da identificarsi nella data del deposito della sentenza e non da quella in cui si è verificato il fatto illecito;
– con il secondo, della “quantificazione dell’entità degli interessi legali sulla somma capitale liquidati in favore dell’avv. M. D. nella sentenza n. 663/04 resa dal Tribunale di Chiavari in data 26.05.2004”, segnatamente in ordine alla mancata specificazione dei conteggi intermedi, in relazione alla diversa entità del tasso legale via via succedutosi dal 1981 al precetto.
3. Dal canto suo, il controricorrente eccepisce l’inammissibilità di doglianze di vizio motivazionale nel ricorso straordinario per cassazione, se non per mancanza assoluta di motivazione, nonchè quella per violazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. e, comunque, della documentazione prodotta in questa sede; ed inoltre: in ordine al primo motivo, sostiene la carenza originaria, nel titolo esecutivo e negli atti del relativo processo, di una attualizzazione della condanna alla data della pronuncia, tanto da precisare di essersi limitato ad individuare il dovuto in applicazione della regola generale della decorrenza, nel risarcimento del danno da illecito, degli interessi dalla data del fatto; in ordine al secondo motivo, deduce di avere sin dal precetto precisato il periodo di calcolo degli interessi legali, il cui sviluppo aveva prodotto “nella memoria ex art. 183 c.p.c., n. 3”.
4. Esclusa l’inammissibilità delle doglianze di vizio motivazionale prospettata dal controricorrente (poichè pure al ricorso straordinario si applicano, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., u.c., disposta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2, integralmente i commi precedenti della medesima disposizione e così la previsione dell’impugnabilità per vizio motivazionale nel senso pieno disposto per i ricorsi ordinari), deve rilevarsi… che il ricorso è inammissibile, per diversi ordini di ragioni, tra loro in via autonoma concorrenti.
4.1. In primo luogo, precisata la radicale inammissibilità della produzione della documentazione relativa al merito della contestazione svolta davanti al tribunale (della quale neppure si indica in modo adeguato in ricorso – e non potendo valere nessuna sua integrazione in atti successivi, in accordo con consolidata giurisprudenza di questa Corte – la produzione in quel grado di giudizio e la specifica sede processuale in cui essa si sarebbe avuta), si osserva che, in, violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non è trascritto nel ricorso ogni passaggio testuale della sentenza costituente il titolo esecutivo o degli atti del processo presupposti, su cui fondare la tesi dell’opponente del riferimento della liquidazione all’attualità della pronuncia (tra le molte, basti un richiamo a Cass. 31 marzo 2011, n. 7448, ove ulteriori riferimenti).
L’interpretazione della sentenza, costituente titolo esecutivo, eseguita dal giudice investito dell’opposizione, è interpretazione del giudicato esterno al giudizio di opposizione (con riferimento alle contestazioni operate in sede di opposizione all’esecuzione: Cass. 24 novembre 1979, n. 4794; Cass. 2 aprile 1992, n. 3996; Cass. 23 gennaio 1995, n. 754; Cass. 22 marzo 1996, n. 2510; Cass. 3 giugno 1996, n. 5082; Cass. 25 maggio 1998, n. 5212; Cass. 4 aprile 2001, n. 4978; Cass. 21 novembre 2001, n. 14727; Cass. 23 maggio 2006 n. 12117; Cass. 6 luglio 2010, n. 15852; Cass. 31 marzo 2011, n. 7445; Cass. 20 luglio 2011, n. 15902); ed una siffatta interpretazione può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di Cassazione, con cognizione piena (Cass. 29 settembre 2005, n. 19136), sempre però nei limiti in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza dei principi ricavabili dall’art. 366 c.p.c., n. 6 (sul punto specifico, v., tra le molte: Cass. 13 dicembre 2006, n. 26627; Cass. 13 marzo 2009, n. 6184; Cass. 30 aprile 2010, n. 10537).
Infatti, se è vero che la sentenza passata in giudicato costituisce la c.d. legge del caso concreto, è anche vero che, al contrario degli atti normativi resi noti con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, atti che il giudice è tenuto a ricercare di ufficio (in applicazione del noto brocardo iura novit curia), il giudicato esterno deve essere prodotto dalla parte che intenda avvalersene e, qualora la interpretazione che ne ha dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso per cassazione deve riportare al suo interno il testo del giudicato che assume male interpretato, motivazione e dispositivo, atteso che il solo dispositivo può non essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (cfr. Cass. 27 aprile 1996 n. 3916).
Nè rileva l’indicazione della produzione, in uno al ricorso, dei documenti da cui ricostruire le tesi del ricorrente, visto che il ricorso deve potere appunto essere di per sè solo – e cioè senza l’ausilio di alcun altro atto ad esso esterno – sufficiente a consentire l’inquadramento della res controversa e soprattutto dell’ambito del limitato giudizio possibile in sede di legittimità.
E gli altri documenti pure ivi evocati non attengono alla prova dell’ammissibilità del ricorso per cassazione in sè considerato, ma dell’azione come dispiegata fin dai gradi di merito, riguardando, con tutta evidenza, la possibilità di censurare un titolo esecutivo giudiziale per circostanze che andavano fatte valere prima della sua formazione o nel corso dei giudizio in cui esso era ancora sub iudice.
4.2. In secondo luogo, il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366-bis cod. proc. civ., visto che, essendo la sentenza impugnata stata pubblicata, tra il 2.3.06 ed il 4.7.09, alla fattispecie essa continua ad applicarsi, nonostante la sua abrogazione (ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5), in uno alla rigorosa interpretazione elaborata da questa Corte (Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194; Cass. 24 luglio 2012, n. 12887; Cass. 8 febbraio 2013, n. 3079); sicchè:
– i motivi riconducibili all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4 devono essere, a pena di inammissibilità, corredati da quesiti che devono compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (tra le molte, v.: Cass. Sez. Un., ord. 5 febbraio 2008, n. 2658; Cass., ord. 17 luglio 2008, n. 19769, Cass. 25 marzo 2009, n. 7197; Cass., ord. 8 novembre 2010, n. 227.04);
– invece, i momenti di sintesi o di riepilogo a corredo dei motivi di vizio motivazionale devono consistere in uno specifico e separato passaggio espositivo del ricorso, il quale indichi in modo sintetico, evidente ed autonomo rispetto al tenore testuale del motivo chiaramente il fatto controverso in. riferimento al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, come pure, le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (Cass. 18 luglio 2007, ord. n. 16002; Cass, Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass. 30 dicembre 2009, ord. n. 27680);
– inoltre, i quesiti debbono porre questioni pertinenti alla ratio decidendi, perchè, in contrario, essi difetterebbero di decisività (sulla indispensabilità della pertinenza del quesito., per tutte, v.: Cass, Sez. Un. 18 novembre 2008, n. 21341; Cass., ord. 19 febbraio 2009, n. 4044; Cass. 28 settembre 2011, n. 19792; Cass. 21 dicembre 2011, n. 27901);
– in applicazione di tali principi alla fattispecie, nessuno dei due motivi di vizio motivazionale sono corredati dai prescritti separati momenti di riepilogo o di sintesi.
4.3. Ancora, non è riportato in ricorso (e non potendo, come detto, le sue lacune essere colmate con atti successivi), in violazione del principio di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, il tenore testuale delle contestazioni sulle modalità di calcolo del totale degli interessi, nè della reazione alla specificazione delle medesime addotte dal controricorrente come operate nello sviluppo di una delle opposizioni esecutive sulla questione; eppure, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 2 aprile 2004, n. 6542; Cass. 10 maggio 2005, n. 9765; Cass. 12 luglio 2005, n. 14599; Cass. 11 gennaio 2006, n. 230; Cass. 20 ottobre 2006, n. 22540; Cass. 27 maggio. 2010, n. 12992; Cass. 25 maggio 2011, n. 11471; Cass. 11 maggio 2012, n. 7295; Cass. 5 giugno 2012, n. 8992).
4.4. E tutto questo senza che risulti mai espressamente contestata, in tali esatti termini, l’evidente incongruità della formula di condanna, riferita agli accessori “dal dì del dovuto”, senza indicarli e senza altra specificazione od anche solo univoca menzione o spiegazione della decorrenza neppure nel corpo della motivazione.
Infatti, un titolo esecutivo che, nel dispositivo, si limiti a condannare al pagamento di accessori “dal di del dovuto”, senza altra specificazione e senza espressa o implicita menzione di tale decorrenza nel corpo della motivazione, sarebbe tautologico ed irrimediabilmente illegittimo per indeterminabilità dell’oggetto, venendo esso meno, con tale formula, alla sua funzione di identificazione compiuta e fruibile – cioè specifica o determinata, ovvero almeno idoneamente determinabile del dovuto, altro non chiedendo dalla giustizia la parte vittoriosa di un processo – dell’esatta ragione del beneficiario della condanna e dell’oggetto di questa.
5. Pertanto, il ricorso va dichiarato inammissibile.
6. Quanto alle spese del giudizio di legittimità, peraltro, costituisce, ad avviso del Collegio, un giusto motivo di integrale compensazione la circostanza che il creditore abbia inteso azionare, in base ad un titolo esecutivo in origine indiscutibilmente unitario, ben tre distinti processi esecutivi: uno per la sorta capitale, uno per gli accessori ed altro per le spese.
La fattispecie è, infatti, intrinsecamente diversa dalla normale facoltà del creditore di azionare più volte il medesimo titolo esecutivo, fino al completo soddisfacimento del credito da esso recato e con il solo limite del divieto di indebito cumulo, di cui all’art. 483 cod. proc. civ.:
– in tale differente ipotesi, infatti, i plurimi processi esecutivi hanno sempre ad oggetto il credito nella sua interezza e totalità, come recato dall’unitario titolo esecutivo;
– la pluralità e la compresenza di processi si giustifica in base alla diversa fruttuosità di una piuttosto che di altra delle tipologie di processo esecutivo;
– al contrario, la contemporanea pendenza si arresta con la particolare. procedura prevista dal richiamato art. 483 cod. proc. civ., rimettendosi al giudice di individuare, per limitare, il disagio del debitore, i mezzi di espropriazione a quelli più idonei – e cioè più fruttuosi – in relazione alla peculiarità della fattispecie concreta.
Il frazionamento del credito originariamente unitario e l’attivazione di separati processi esecutivi per singole sue voci o frammenti sono, ben al contrario, cosa del tutto diversa, perchè con essi si scinde un credito unitario e la pluralità di processi è artificiosamente creata con la scomposizione del credito e la moltiplicazione delle facoltà di agire esecutivamente beninteso, ove non si colgano – come non sì, colgono nella specie, alla stregua degli atti legittimamente esaminabili in questa sede particolari elementi che giustifichino tale scelta del creditore in relazione alla straordinaria difficoltà di agire per l’intero.
6.1. Al riguardo ben può estendersi anche al processo esecutivo il principio del divieto di frazionamento del credito originariamente unitario in più parti, ove tanto comporti un’indebita maggiorazione dell’aggravio per il debitore, in quanto non giustificata da particolari esigenze di effettiva tutela del credito.
E’ infatti evidente l’identità di ratio in ordine all’applicazione, pure in ambito processuale e nel contesto dei canoni costituzionalizzati del giusto processo, del principio di buona fede, allo stato già affermato per il processo di cognizione (cfr. Cass. Sez. Un., 15 novembre 2007, n. 23726, seguita poi, tra le altre, da: Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. Sez. Un., 22 dicembre 2009, n. 26961; Cass. 18 marzo 2010, n. 6597; Cass. 22 dicembre 2011, n. 28286).
La giurisprudenza di questa Corte ha rilevato la costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e di correttezza, quale estrinsecazione del dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., siccome tendente a comprendere nella funzione del rapporto obbligatorio pure la tutela della controparte, nel perseguimento di un giusto equilibrio tra gli opposti interessi. E dall’operatività del principio di buona fede sul piano negoziale, ove ad esso sono riconosciuti effetti modificativi od integrativi dell’autoregolamentazione delle parti, si è fatta derivare la sua estensione o proiezione anche nel campo processuale, nel quale i diritti stessi devono trovare tutela nella patologica evenienza della loro contestazione o mancata spontanea applicazione.
Così, l’esigenza di un tale originario equilibrio nel rapporto obbligatorio va mantenuta ferma in ogni successiva fase, sicchè quell’equilibrio non può essere alterato in danno del debitore ad iniziativa unilaterale del creditore, se non a prezzo di un autentico abuso del processo; nozione che presuppone l’esercizio del potere da parte di chi ne è pur sempre titolare legittimo, ma per scopi diversi da quelli per i quali quel potere è riconosciuto dalla legge: scopi ulteriori e deviati, in genere extraprocessuali, rispetto a quelli tipici ed usuali, tanto che l’abuso si caratterizza nel “fine esterno” dell’iniziativa processuale, cioè nella non corrispondenza tra il mezzo processuale ed il suo fine.
Fine del processo esecutivo è certo il soddisfacimento del credito consacrato nei titolo esecutivo in favore del creditore ed in danno del debitore, ma evidenti esigenze sistematiche di equità, economicità e proficuità del processo, impongono che tanto avvenga con il minor possibile sacrificio delle contrapposte ragioni di entrambi i soggetti vale a dire, il creditore ha diritto ad ottenere nè più nè meno di quanto gli compete in forza del titolo (sia pure, se necessario, avendo la facoltà di azionarlo più volte o con più procedure, comunque non oltre l’integrale soddisfacimento del credito e con il limite del divieto del cumulo…ai sensi dell’art. 483 c.p.c.), ma va correlativamente tutelata anche l’aspettativa del debitore a non vedere diminuito il suo patrimonio in misura eccedente quanto sia strettamente necessario per la realizzazione del diritto del creditore.
6.2. Una condotta tendente a far conseguire al creditore più di quanto gli compete, come l’ingiustificato azionamento frazionato del credito in origine unitario recato dal titolo implica un’indebita prevaricazione del creditore sulla controparte, sia per l’assoggettamento del debitore ai dispendi originati dall’ingiustificata moltiplicazione dei processi esecutivi, sia per la carenza di causa dell’eventuale locupletazione conseguibile dal creditore, ad esempio per maggiori rimborsi di spese o compensi.
Tale condotta del creditore, che può quindi qualificarsi abusiva, giustifica conclusivamente la compensazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 14 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2013.
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