Corte di Cassazione bis

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

sentenza 5 settembre 2014, n. 37196

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Firenze, con ordinanza in data 22.1.2014, ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP presso il Tribunale di Firenze il 18.12.2013, ordinando la restituzione di quanto in sequestro.

Ha premesso il Tribunale che i ricorrenti B.M., O.M.G., C.D.S.A., Mi.Ma., P.S., M.F., W.T.A. erano indagati per il reato di cui all’art. 659 c.p. per avere, quali titolari di esercizi pubblici ubicati in via (omissis), tenuto all’interno dei locali gli impianti di riproduzione della musica ad alto volume e le porte di accesso aperte, nonché tollerato che i clienti si spostassero nella zona antistante l’esercizio pubblico e lì si trattenessero a consumare bevande, facendo schiamazzi, urla e risate fragorose, disturbando in orario notturno il riposo delle persone abitanti nella zona.

Tanto premesso, ha ritenuto il Tribunale che, contrariamente all’assunto del GIP, non sussistesse alcuna posizione di garanzia a carico degli esercenti.

L’unica fattispecie omissiva propria, prevista dall’art. 659 c.p., riguarda la condotta di chi non impedisce strepiti degli animali. Tale condotta omissiva presuppone un potere di signoria sulla fonte del pericolo. Tale potere certamente non è configurabile nei confronti dei clienti di un esercizio commerciale in ordine ai comportamenti da costoro tenuti all’esterno dell’esercizio medesimo. Non può quindi parlarsi di una posizione di garanzia in mancanza di un potere di vigilanza sull’operato di terzi.

Quanto alla contestazione, nei confronti del solo P.S. , del reato di cui all’art. 681 c.p., ha rilevato il Tribunale che dagli accertamenti di p.g. emergeva che nel locale non erano state allestite pedane per il ballo, né altri servizi propri delle discoteche, essendovi soltanto un intrattenimento musicale che accompagnava la somministrazione di bevande, per cui non era necessaria autorizzazione di P.S.

2. Ricorre per cassazione il P.M., denunciando la violazione di legge.

Dopo aver richiamato la giurisprudenza di legittimità che ha più volte affermato che il gestore di un esercizio pubblico ha l’obbligo di impedire il disturbo, da parte degli utenti, del riposo e delle occupazioni, assume che Tribunale del riesame erroneamente abbia fatto riferimento all’esistenza di una posizione di garanzia. Il gestore di un locale risponde invero del reato di cui all’art.659 c.p. in nomine proprio per non aver adottato tutte le iniziative volte ad impedire il verificarsi della situazione antigiuridica (ad esempio somministrare bevande soltanto in recipienti non da asporto, in modo che la bevanda venga consumata all’interno del locale). Il Tribunale ha ignorato tutto ciò, richiamando la giurisprudenza in tema di strepiti di animali. Sussiste pertanto il “fumus” del reato ed anche il “periculum” (peraltro neppure posto in discussione dal Tribunale).

Errata in diritto è anche la decisione del Tribunale in relazione all’art.681 c.p., in quanto il trattenimento danzante (era stata accertata la presenza di un disk jockey e di alcuni avventori che ballavano) è soggetto ad autorizzazione ex art. 80 TULPS.

3. Con memorie, depositate in cancelleria, P.S., O.A.M.G., Mi.Ma. e M.F. chiedono dichiararsi inammissibile o, in subordine, rigettarsi il ricorso del P.M., avendo il Tribunale fatto corretta applicazione della normativa che disciplina la materia.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

2. L’elemento differenziatore tra le due autonome fattispecie configurate dal primo e secondo comma dell’art.659 c.p. è rappresentato dalla fonte del rumore prodotto, giacché, ove esso provenga dall’esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi, la condotta rientra nella previsione del secondo comma del citato articolo per il semplice fatto della esorbitanza rispetto alle disposizioni di legge o alle prescrizioni dell’autorità, presumendosi la turbativa della pubblica tranquillità. Qualora, invece, le vibrazioni sonore non siano causate dall’esercizio dell’attività lavorativa, ricorre l’ipotesi di cui al primo comma dell’art.659 cod.pen., per la quale occorre che i rumori superino la norma tollerabilità ed investano un numero indeterminato di persone, disturbando le loro occupazioni o il riposo (cfr. ex multis Cass.pen. sez. 1 n.4820 del 17.12.1998).

Perché sussista, poi, la rilevanza penale ex art.659 c.p. della condotta produttiva di rumori, censurati come fonte di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, è richiesta l’incidenza sulla tranquillità pubblica, in quanto l’interesse tutelato dal legislatore è la pubblica quiete, sicché i rumori debbono avere una tale diffusività che l’evento disturbo sia potenzialmente idoneo ad essere risentito da un numero indeterminato di persone, pur se poi concretamente solo taluna se ne possa lamentare (cfr. ex plurimis Cass. pen. sez. 1 n.47298 del 29.11.2011).

3. Nella fattispecie in esame non è in discussione che gli schiamazzi, le urla e le risate dei soggetti che stazionavano all’esterno degli esercizi pubblici, ubicati in via (omissis), fossero tali da disturbare, in orario notturno, il riposo degli abitanti nella zona e quindi ad offendere la “quiete pubblica”.

La particolarità della fattispecie è però rappresentata dal fatto che il fumus del reato di cui all’art.659 c.p. non è stato ritenuto configurabile nei confronti dei soggetti “autori” degli schiamazzi e dei rumori, ma a carico dei gestori degli esercizi pubblici esistenti in via (omissis).

3.1. La giurisprudenza di questa Corte ha reiteratamente affermato che il gestore di un esercizio commerciale è responsabile del reato di cui all’art. 659 comma 1 c.p. per i continui schiamazzi e rumori provocati dagli avventori dello stesso, con disturbo delle persone. Infatti la qualità di titolare della gestione dell’esercizio pubblico comporta l’assunzione dell’obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza (cf. Cass. sez. 1 n. 16886 del 28.2.2003; Cass. sez. 1 n.17779 del 27.3.2008; Cass. sez. 1 n. 40004 del 30.9.2009). Perché, però, l’evento possa essere addebitato al gestore dell’esercizio commerciale è necessario che esso sia riconducibile al mancato esercizio del potere di controllo e sia quindi collegato da nesso di causalità con tale omissione.

Laddove gli schiamazzi o i rumori avvengano all’interno dell’esercizio non c’è dubbio che il gestore abbia la possibilità di assolvere l’obbligo di controllo degli avventori, impedendo loro comportamenti che si pongano in contrasto con le norme di polizia di sicurezza, ricorrendo, ove necessario, al c.d. ius excludendi.

Si è così ritenuto che risponda del reato di cui all’art. 659 c.p. il gestore di un locale pubblico che ometta di ricorrere “ai vari mezzi offerti dall’ordinamento come l’attuazione dello ius excludendi e il ricorso all’autorità” ad evitare “che la frequenza del locale da parte degli utenti non sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica” (Cass. pen. Sez. 1 n. 48122 del 3.12.2008; Cass. Pen. Sez. 6 n. 7980 del 24.5.1993). Se, invece, il disturbo del riposo e delle occupazioni da parte degli avventori dell’esercizio pubblico avvenga all’esterno del locale, per poter configurare la responsabilità del gestore è necessario provare, rigorosamente, che egli non abbia esercitato il potere di controllo e che a tale omissione sia riconducibile la verificazione dell’evento.

3.2. Come ha evidenziato il Tribunale, dagli atti non emerge neppure il “fumus” del reato ipotizzato, essendo stato soltanto accertato che, all’esterno dei locali, stazionavano numerosi giovani che si trattenevano a consumare bevande, dando luogo a “schiamazzi, urla e risate” (pag.6 ordinanza). Ed ha sottolineato il Tribunale che i gestori non avevano alcun potere per impedire siffatti schiamazzi sulla pubblica via o almeno a persuadere i soggetti “a tenere un tono di voce più moderato”, essendo essi “sforniti di qualsiasi potere coercitivo in caso di rifiuto”.

Neanche con il ricorso vengono prospettati elementi che possano ricondurre l’evento alla omissione dei controlli da parte dei gestori. Il P.M., dopo aver ricordato che rientrano tra i doveri dei predetti quello di “adottare tutte le iniziative per lui possibili (ad impossibilia nemo tenetur) per evitare l’insorgere della situazione antigiuridica”, si limita ad affermare che una condotta, rientrante nei poteri dei gestori, che “avrebbe potuto avere effetti risolutivi” era rappresentata dalla somministrazione delle bevande in bicchieri di vetro, vale a dire in recipienti non da asporto (pag. 4 ricorso).

A parte il fatto che trattasi di circostanza fattuale non emergente dagli atti, non risultando accertato se e a quali avventori e da parte di quali gestori sia avvenuta la somministrazione in bicchieri da asporto, del tutto apoditticamente si assume il carattere risolutivo di tale comportamento (peraltro lo stesso ricorrente fa ricorso al “condizionale”).

Inoltre, come evidenziano i ricorrenti nelle memorie depositate, neppure si poteva addebitare ai gestori di non aver fatto ricorso all’Autorità di P.S. per far cessare le condotte poste in essere dagli avventori (peraltro all’esterno del locale), avendo la Polizia municipale di Firenze effettuato numerosi sopralluoghi e verifiche, senza però impedire il perpetuarsi di quelle condotte o quanto meno sanzionarle.

4. In ordine a reato di cui all’art.681 c.p., ipotizzato a carico del solo P., il Tribunale ha accertato, con motivazione adeguata, che, non essendo state allestite nel locale pedane per il ballo, guardaroba o altri servizi peculiari di discoteche, non essendo previsti pagamenti aggiuntivi, né effettuate forme di pubblicità, ci si trovava in presenza di “una modalità per allietare le clientele ed accompagnare la prevalente attività di somministrazione “, per cui non era richiesta l’autorizzazione di cui all’art.68 TULPS, prevista solo se l’attività di intrattenimento all’interno dell’esercizio rivesta il carattere dell’imprenditorialità (pag. 4, 5 ord.).

Il ricorrente, sostanzialmente, censura siffatta motivazione e richiede una rilettura delle emergenze fattuali.

A norma dell’art.325 c.p.p., però, il ricorso per cassazione può essere proposto soltanto per violazione di legge.

Secondo le sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 5876 del 28.1.2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv.226710), nella nozione concetto di “violazione di legge” rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l’art.125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso dall’art. 606 lett. e) c.p.p.

Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza n. 25932 del 29.5.2008 – Ivanov, Rv. 25932, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso di P.M.

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