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SUprema Corte di Cassazione

Sezione III
Sentenza 5 febbraio 2014, n. 5684

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo – Presidente
Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 9283/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del 19/06/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/12/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. D’Ambrosio Vito, che ha concluso per annullamento senza rinvio perche’ il fatto non sussiste;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS) di Frosinone.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 giugno 2012 la Corte d’appello di Roma, a seguito di rinvio operato dalla sentenza 23 settembre 2009 della Quarta Sezione Penale di questa Suprema Corte, in riforma di sentenza del 21 gennaio 2004 con cui il Tribunale di Frosinone aveva assolto per non avere commesso il fatto (OMISSIS) dal reato di cui agli articoli 113 e 590 c.p., dichiarava non doversi procedere per prescrizione, ritenendo inapplicabile l’articolo 129 c.p.p., comma 2.
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo due motivi. Il primo denuncia vizio motivazionale e violazione dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 546 c.p.p., comma 3. La corte avrebbe offerto una motivazione apparente che non tiene conto del caso concreto e della giurisprudenza sviluppatasi in ordine alla responsabilita’ per tale reato. Il secondo motivo denuncia violazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, e articolo 533 c.p.p., comma 1, per aver la corte apoditticamente affermato la responsabilita’ dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ fondato.
I due motivi possono essere vagliati congiuntamente, in quanto entrambi censurano la manchevolezza della motivazione con cui la corte territoriale supporta la mancata applicazione dell’articolo 129 c.p.p., comma 2.
Nel caso di specie, all’imputato era stato contestato il reato di cui agli articoli 113 e 590 c.p., per avere partecipato a due interventi chirurgici effettuati dal primario del suo reparto (OMISSIS) a un paziente che aveva subito il (OMISSIS) presso l’ospedale civile di (OMISSIS) una appendicectomia da cui era sorta una emorragia post-operatoria. In particolare, il (OMISSIS) al paziente, (OMISSIS), il primario eseguiva un intervento con l’assistenza in qualita’ di aiuto dell’imputato; persistendo l’emorragia, lo stesso giorno fu eseguito un altro intervento sempre dal primario, avendo come aiuto un altro medico e come assistente l’imputato. Il primo intervento del primario aveva leso la milza, per cui il secondo era consistito nell’asportazione di questa, cagionandosi cosi’, inoltre, laparocele al paziente.
Il Tribunale aveva assolto l’imputato per non avere commesso il fatto, ritenendo che nella sua qualita’ non gli era addebitabile alcun comportamento colposo che avesse contribuito alla causazione delle lesioni; dichiarava invece colpevole il primario. Con sentenza del 19 settembre 2006 la Corte d’appello di Roma aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti di tutti gli imputati per essersi il reato loro ascritto estinto per intervenuta prescrizione; di qui il ricorso per cassazione alla Quarta Sezione Penale, che annullava con rinvio. La corte territoriale ha ritenuto il reato estinto per intervenuta prescrizione reputando, per quanto riguarda la posizione dell’attuale ricorrente, l’inapplicabilita’ dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, perche’ “nella sua veste di aiuto aveva il dovere di dissociarsi dalla conduzione della operazione facendo rilevare il suo dissenso sul diario clinico”. In tal senso richiamava un arresto giurisprudenziale (Cass. sez. 4, 5 ottobre 2000 n. 13212) in base al quale deve ritenersi che “se primario, aiuto ed assistente condividono le scelte terapeutiche, tutti insieme ne assumano la responsabilita’. Quando invece l’assistente o l’aiuto non condividano le scelte terapeutiche del primario (il quale non abbia peraltro esercitato il suo potere di avocazione), possono andare esenti da responsabilita’ solo se abbiano provveduto a segnalare allo stesso primario la ritenuta inidoneita’ o rischiosita’ delle scelte anzidette”. La motivazione della corte territoriale si limita alla citazione della suddetta sentenza, che, peraltro, dalla semplice lettura di quanto riportato nella sentenza impugnata, non attiene affatto alla posizione dell’imputato. Invero, tale pronuncia concerne non un intervento chirurgico, bensi’ “scelte terapeutiche”, rispetto alle quali, tra l’altro, viene prospettato anche l’esercizio del potere di avocazione del primario. E in questo senso e’ logico fare riferimento a un “diario clinico”, trattandosi quindi di un documento in cui vengono registrate le terapie e descritte le loro conseguenze sul paziente. Nel caso in esame, invece, si e’ trattato, appunto, di un intervento chirurgico praticato direttamente dal primario, per cui del tutto incongruo e’ il riferimento a un potere di avocazione dello stesso; parimenti incongruo e’ affermare che l’assistente o l’aiuto possono andare esenti da responsabilita’ solo se segnalano al primario la inidoneita’ e la rischiosita’ delle scelte. Infatti, si trattava – per quanto emerge dalla motivazione, soprattutto laddove richiama gli esiti delle perizie – di un’attivita’ manuale espletata dal primo operatore, cioe’ dal primario, ed a questo attribuibile, non potendo i suoi assistenti interferire in modo efficace su quanto egli compiva. Non si e’, in vero, in presenza di un diario clinico da compilare dopo aver verificato l’effetto delle terapie al paziente; ne’ certamente, poi, e’ prospettabile un dissenso “a tempo reale” manifestato mediante l’abbandono della sala operatoria. Quello che avrebbe dovuto essere identificato come fonte di responsabilita’ dell’imputato era configurabile in una sua specifica mansione cui non avrebbe provveduto con la dovuta diligenza e la dovuta perizia (cfr., a proposito della responsabilita’ dei componenti di una equipe medica, Cass. sez. 4, 9 aprile 2009 n. 19755, che collega la responsabilita’ penale, appunto, alla valutazione delle concrete mansioni di ciascun componente; sulla violazione dei canoni di diligenza e perizia connessi alle specifiche ed effettive mansioni svolte quale presupposto della responsabilita’ in un contesto operativo in cui si muove una pluralita’ di chirurghi, cfr. Cass. sez. 4, 26 ottobre 2011 n. 46824; Cass. sez. 4, 11 ottobre 2007 n. 41317; Cass. sez. 4, 12 luglio 2006 n. 33619). A cio’ invece non fa riferimento la corte territoriale, che, come si e’ visto, imposta la responsabilita’ in modo apodittico e generico, facendola discendere, in sostanza, dalla presenza dell’imputato durante le operazioni. Non emergendo dagli atti, allora, elementi nel senso che l’imputato abbia contravvenuto ad alcun suo specifico obbligo di diligenza e di perizia nell’esercizio delle sue mansioni di aiuto o di assistente, il ricorso e’ fondato nel senso dell’applicabilita’ dell’articolo 129 c.p.p., comma 2, che ovviamente prevale sulla dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, sussistendo al contrario i presupposti per dichiarare il proscioglimento nel merito in quanto non risulta che l’imputato abbia commesso il fatto. Ne consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ l’imputato non ha commesso il fatto.

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