Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 4 ottobre 2013, n. 22750
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 34044 del 2004, accogliendo la domanda proposta nei confronti della conduttrice da R.D. , da C.A. , M. , Al. e F. e da P.S. e F. (e originariamente da C.L. , An. (o An. ) e S. ), proprietari di tre distinte unità immobiliari site in (omissis) , con annessa area antistante, cedute in locazione alla società La Campagnola S.r.l. ad uso supermercato, condannava detta società alla rimozione della struttura, composta da undici “cappottine” di materiale plastico, realizzata dalla conduttrice sull’area antistante gli immobili locati, oltre al risarcimento dei danni da accertarsi in separata sede.
L’appello proposto dalla predetta società avverso la decisione di primo grado, cui resistevano i locatori, veniva rigettato dalla Corte di appello di Roma con sentenza del 30 ottobre 2007.
Riteneva la Corte di merito che, “a prescindere dagli evidenti profili di inammissibilità della eccepita estinzione del processo per il carattere di novità delle motivazioni addotte, precluso dall’art. 345 c.p.c.”, nella specie, “una volta eseguito tempestivamente il deposito del ricorso riassuntivo in cancelleria il termine perentorio di 6 mesi previsto dall’art. 305 c.p.c. non è più operativo sicché l’eventuale vizio della notifica del pregresso atto riassuntivo non si comunica al secondo imponendo al giudice che ne rilevi la nullità la sola rinnovazione della notifica, in applicazione analogica dell’art. 291 c.p.c. entro un termine necessariamente perentorio, il mancato rispetto del quale, determinerà, questa volta, la estinzione del giudizio”.
Inoltre la Corte di appello di Roma riteneva infondato il motivo di appello con cui la conduttrice aveva lamentato l’errata interpretazione del contratto e l’insussistenza del requisito della stabilità dell’opera perché facilmente rimovibile. Secondo i giudici del secondo grado, dalle fotografie prodotte e dagli interventi disposti dalla PA era evidente che le “cappottine” in questione erano stabilmente ancorate al suolo con strutture metalliche a forma di “L” delle dimensioni complessive di metri lineari 45 per metri 4 di larghezza. Rilevavano i predetti Giudici che era indiscusso che, in base dell’art. 11 del contratto del 1997 stipulato con Ci.An. (o An. ), erano assolutamente vietate innovazioni o modifiche di qualsiasi tipo ed inoltre era certo che la menzionata intelaiatura metallica — per la sua ampiezza e per il materiale utilizzato — non solo deturpava l’aspetto dell’intero complesso, ma non poteva essere rimossa senza arrecare danno alla proprietà dei concedenti, dovendosi procedere al disancoraggio delle parti metalliche dalle strutture murarie e allo smantellamento del piano di calpestio di sostegno.
Avverso la sentenza della Corte di merito la società conduttrice ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Hanno resistito con controricorso D..R. , C.M. , P.S. e F. .
Ci.Al. e F. non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
1. Va preliminarmente disattesa l’eccezione di tardività della notifica del controricorso sollevata all’udienza dal difensore della ricorrente, risultando il predetto atto consegnato per la notifica all’Ufficiale giudiziario in data 14.3.2008 (notifica perfezionata nel medesimo giorno) e quindi entro il termine di cui all’art. 370 c.p.c., tenuto conto che il ricorso risulta notificato in data 4 febbraio 2008.
2. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 83 c.p.c. e 1722, n. 4, c.c., (art. 360, primo comma, n. 3 e 4 c.p.c.).
Assume la Campagnola S.r.l. che il Tribunale e la Corte di merito hanno ignorato il vizio determinato dal fatto che il giudizio di prime cure, interrotto a seguito della morte di C.L. , era stato riassunto dall’avv. Mariano in nome e per conto di Ci.An. (o An. ) e C.S. , benché questi due fossero entrambi deceduti prima del deposito dell’atto di riassunzione. Sostiene la ricorrente di aver sollevato la questione appena avutane conoscenza, e cioè quando gli eredi dei predetti, riassumendo a loro volta il giudizio, hanno dichiarato le date dei decessi dei loro danti causa, ed aggiunge che, comunque, trattasi di questione rilevabile in ogni grado e stato del giudizio, anche d’ufficio.
Deduce la predetta società che la riassunzione del processo é stata eseguita per conto di due soggetti deceduti e, pertanto, il mandato conferito al legale era ormai venuto meno, in considerazione del decesso dei soggetti che avevano conferito la procura, e il legale doveva considerarsi privo di legittimazione processuale.
3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 303 c.p.c. (art. 360, primo comma, n. 3 e 4, c.p.c.).
Assume la Campagnola S.r.l. che l’atto di riassunzione doveva essere posto in essere solo ed esclusivamente dalle parti che avevano partecipato al giudizio sino al momento della sua interruzione; pertanto, nel caso di specie, entro il termine semestrale di cui all’art. 303 c.p.c. solo la ricorrente ovvero gli eredi del defunto avrebbero potuto validamente riassumere il giudizio interrotto, evitando l’estinzione del giudizio. L’atto di riassunzione depositato il 28 maggio 2002 non poteva considerarsi validamente effettuato ai fini dell’interruzione del decorso del termine semestrale e, quindi, il giudizio doveva considerarsi estinto alla data del 30 maggio 2002.
L’eccezione, contrariamente a quanto affermato dalla Corte di merito, non può essere considerata tardiva, potendo essere proposta in ogni grado e fase del giudizio e anche autonomamente d’ufficio.
Inoltre, essendo il giudizio ormai estinto, ad avviso della ricorrente, non può ritenersi valida la successiva riassunzione effettuata dagli eredi dei defunti Ci.An. (o An. ), S. e L. con atto depositato il 7 novembre 2003.
4. I motivi, che essendo strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono entrambi fondati.
5. Va anzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità della censura, dedotta dai controricorrenti, avendo l’attuale ricorrente sostanzialmente riproposto anche in sede di appello la questione.
6. È pacifico tra le parti quanto segue.
All’udienza del 30 novembre 2001 il legale della parte ricorrente dichiarava la morte di C.L. (avvenuta il (OMISSIS) ) e il GI dichiarava l’interruzione del giudizio.
In data 16 ottobre 2001 – prima quindi dell’interruzione del processo – era deceduto anche Ci.An. (o An. ) ma di tanto non veniva fatta dichiarazione in sede processuale.
In data 1 aprile 2002 moriva anche C.S. .
In data 28 maggio 2002 veniva depositato un ricorso in riassunzione del processo interrotto per conto dei defunti Ci.An. (o An. ) e S. .
Il G.I. fissava l’udienza del 26 settembre 2002, dando termine per la notificazione del ricorso entro il 10 luglio 2002.
Il ricorso veniva notificato solo alla società conduttrice e non anche agli eredi della C.L. .
Il GI, all’udienza del 26 settembre 2002, in assenza delle parti, cancellava la causa dal ruolo.
In data 10 novembre 2003 R.D. , C.M. e C.A. , quali eredi di Ci.An. (o A. ), P.S. e P.F. , quali eredi di C.L. , e Ci.Al. e C.F. , quali eredi di C.S. , depositavano ricorso per riassunzione.
7. Osserva la Corte che, sulla questione ora all’esame, si rinviene nella giurisprudenza di legittimità un precedente specifico secondo cui la fattispecie, alla quale l’art. 300 c.p.c. ricollega l’effetto interruttivo del processo, consta di due elementi essenziali, rispettivamente costituiti dall’evento previsto come causa di interruzione e dalla relativa comunicazione formale ad opera del procuratore, in difetto della quale, il rapporto processuale continua a svolgersi come se l’evento non si fosse verificato; pertanto, il procuratore della parte colpita dall’evento interruttivo non dichiarato è legittimato a provvedere, in base alla procura originariamente rilasciatagli, alla riassunzione del processo che sia stato interrotto per analogo evento riguardante un’altra parte e formalmente dichiarato (Cass. 15 gennaio 1991, n. 318). Tale orientamento non può tuttavia condividersi alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità che tende a che il processo si svolga tra i soggetti reali del rapporto.
Sul punto si richiamano, in particolare, l’ordinanza del 5 luglio 1996 n. 558 – con cui la Prima Sezione di questa Corte, nel sollevare d’ufficio la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 300 e 330 c.p.c., ha rilevato che le profonde modificazioni intervenute sia nell’organizzazione della famiglia, sia in quella della professione forense, sia nel funzionamento stesso del processo, rendono non convincente la tesi secondo cui il meccanismo della stabilizzazione della parte e dell’ultrattività della procura costituisca un contemperamento degli interessi in gioco sufficientemente rispettoso del diritto di difesa – e le decisioni emesse dalle Sezioni Unite di questa Corte, sia pure con riferimento specifico all’atto di impugnazione e alla notifica dello stesso alla parte deceduta (v. Cass. sez. un., 28 giugno 1996 n. 11394) nonché in relazione alla validità dell’impugnazione proposta nei confronti di soggetto minore, divenuto maggiorenne nelle more del giudizio (Cass., sez. un., 28 luglio 2005, n. 15783). Nella sentenza più recente tra quelle appena ricordate è stato evidenziato in particolare che “il tenore letterale di detto art. 300 c.p.c. – il quale si limita a fissare un limite oltre il quale il potere di scelta del procuratore non può più esercitarsi, salva l’ipotesi di riapertura della istruzione, e si disinteressa delle vicende successive alla emanazione della sentenza – sembra orientare l’interprete nei senso che l’irrilevanza dell’evento non dichiarato né notificato operi solo in relazione alla fase in cui esso si verifica.
Né ancora appare utilmente invocabile il principio di ultrattività del mandato, sovente richiamato dalla giurisprudenza che tende a riconoscere la persistente legittimazione del procuratore della parte originaria: va al riguardo considerato che, in assenza di specifica regolamentazione del mandato ad litem, deve trovare applicazione la normativa codicistica sulla rappresentanza e sul mandato, avente carattere generale rispetto a quella processualistica, e quindi il principio dettato dall’art. 1722 n. 4 c.c., secondo il quale la morte del mandante (e gli altri eventi assimilati, come la perdita della capacità processuale del genitore) estingue il mandato. La disciplina dettata dall’art. 300, comma 1 e 2, c.p.c., che attribuisce al procuratore la possibilità di continuare a rappresentare in giudizio la parte che gli abbia conferito il mandato, anche se sia nel frattempo deceduta o divenuta incapace, in quanto costituisce deroga a quel principio, va pertanto contenuta entro il rigoroso ambito ivi previsto, ossia nei limiti di quella fase del processo in cui si è verificato l’evento non dichiarato né notificato concernente il mandante, e non può espandersi nella successiva fase di quiescenza e di riattivazione del rapporto processuale (v. in tal senso Cass. 2002 n. 11759; 2000 n. 8380)”. (Sul punto v. anche Cass. 19 marzo 2009, n. 6701).
Il percorso argomentativo della decisione richiamata va ulteriormente sviluppato e precisato, ai fini della definizione della questione all’esame, osservando che per fase del processo non deve intendersi solo quella costituita da un grado di esso ma anche quella che si chiude con la sua interruzione, sicché il procuratore della parte colpita dall’evento interruttivo (nella specie morte) non dichiarato non é legittimato a provvede, in base alla procura originariamente rilasciatagli, alla riassunzione del processo che sia stato interrotto per analogo evento riguardante un’altra parte e formalmente dichiarato.
Tale conclusione viene avvalorata dal rilievo che, nella fase successiva alla riassunzione per morte della parte, si verifica una modificazione negli elementi del processo, proseguendo il giudizio tra soggetti diversi da quelli iniziali, atteso che, ai sensi dell’art. 110 c.p.c. “quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo é proseguito dal successore universale o in suo confronto”.
Inoltre, a conforto della soluzione adottata, si evidenzia pure che l’ultimo comma dell’art. 303 c.p.c. prevede espressamente che, in caso di riassunzione, se la parte che ha ricevuto la notificazione non compare all’udienza, si procede in sua contumacia, benché costituita nella fase precedente del giudizio (Cass. 9 aprile 1988, n. 2815), pur se da ciò non consegue che le domande dalla stessa parte proposte con l’atto di citazione o in via riconvenzionale debbano ritenersi rinunciate o abbandonate, in quanto tali domande sono relative ad un giudizio che prosegue nella nuova fase, dotata di tutti gli effetti processuali e sostanziali dell’originario rapporto (Cass. 30 luglio 1996, n. 6867; Cass. 18 aprile 1998, n. 3963; Cass. 30 settembre 2008, n. 24331). Risulta, infatti, evidente che la necessità di tale costituzione si spiega proprio in base al rilievo che si è in presenza di una nuova fase del giudizio.
8. Essendo al procuratore della parte defunta preclusa la riassunzione, in quanto non vale al riguardo, in virtù delle argomentazioni che precedono, il principio dell’ultrattività della rappresentanza, deve ritenersi che il giudizio non è stato validamente riassunto con l’atto depositato in data 28 maggio 2002 dall’avv. Renato Mariani in nome e per conto di Ci.An. (o An. ) e C.S. all’epoca già defunti, con conseguente estinzione del giudizio alla data del 30 maggio 2002.
Né, peraltro, l’atto di riassunzione depositato il 10 novembre 2003 dagli eredi di Ci.An. (o An. ), S. e L. poteva, in ogni caso valere, a riassumere un giudizio ormai estinto, come puntualmente eccepito dal ricorrente appena avuto contezza dei fatti.
9. L’accoglimento dei primi due motivi del ricorso assorbe l’esame del terzo mezzo con il quale la società ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. (art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.).
10. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, va dichiarato estinto il processo.
11. Tenuto conto della peculiarità della vicenda e delle questioni esaminate, vanno compensare, per intero, tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità e dei gradi di merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata; decidendo nel merito, dichiara estinto il processo; compensa per intero tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità e dei gradi di merito.
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