Il testo integrale
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 4 ottobre 2011, n. 35895
Svolgimento del processo
La (…) è stato condannato con sentenza del 29.2.08 dal tribunale di Roma alla pena di giustizia per i reati di cui agli articolo 81 capoverso 37 L. 689/81 in relazione alla omesse denunce all’Inps dalle quali derivava il mancato versamento di contributi e premi per il periodo dicembre 2002 dicembre 2003.
La corte di appello di Roma, riformando la decisione di primo grado, dichiarava estinti per prescrizione i reati commessi fino all’aprile 2003 e, per quanto concerne il reato di cui all’articolo 81 capoverso 37 L. 689/81, assolveva l’imputato perché il fatto non sussiste per i fatti commessi dal maggio al dicembre 2003. Di conseguenza riduceva la pena inflitta in relazione al primo reato in relazione al periodo maggio-dicembre 2003.
Propone in questa sede ricorso l’imputato deducendo per il tramite del proprio difensore l’erronea applicazione della legge penale e la mancanza o illogicità della motivazione in relazione alla configurabilità del reato di cui all’articolo 2 D.lgs. 463/83. Si assume al riguardo mancare ogni motivazione in ordine alla prova della penale responsabilità dell’imputato per il periodo compreso tra il maggio dicembre 2003 e che non vale richiamare in proposito le dichiarazioni dell’ispettore del lavoro sia in quanto quest’ultimo si è limitato ad effettuare controlli telematici della sede Inps e sia in quanto i verbali redatti dal pubblico ufficiale fanno prova fino a querela di falso unicamente dei fatti che il pubblico ufficiale essere attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti ma non hanno alcun valore probatorio precostituito neanche di presunzione semplice riguardo alle altre circostanze in esso contenute. In più essendo l’attività ispettiva posta in essere esclusivamente sulla base della documentazione inviata dalla parte non si può nemmeno parlare di una vera e propria attività di indagine a fine della prova penale non costituendo tale attività accertamento in senso tecnico. Infine, secondo il ricorrente, non è possibile nemmeno ricavare la prova del reato dal tardivo versamento delle somme escludendo ciò, invece, l’elemento soggettivo del reato stesso.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
In sentenza per la prova del reato si citano la testimonianza dell’ispettore del lavoro che ha verificato l’omesso versamento in termini e la presentazione da parte dell’imputato di una domanda di sanatoria, seppure tardiva.
Ciò posto va anzitutto premesso che, come già chiarito in numerose occasioni, per la sussistenza del reato rilevano il pagamento della retribuzione e la scadenza del termine previsto per il versamento all’Inps.
Nella specie non constano contestazioni sul primo aspetto nei motivi di ricorso.
Quanto all’omesso versamento delle ritenute si deve ritenere correttamente motivata la decisione di appello.
Al riguardo va preliminarmente osservato che è certamente ammissibile la testimonianza resa dall’ispettore del lavoro concernendo la stessa attività di accertamento espletata direttamente. Né rilevano evidentemente le modalità dell’accertamento stesso, non contestandosene in questa sede la regolarità.
Per il resto occorre ricordare che il processo penale è regolato dai principi di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice il quale, può senz’altro trarre elementi di convincimento in ordine alla omissione del versamento anche dalla successiva domanda di sanatoria. Né tale scelta è sindacabile sul piano logico conseguendo normalmente l’istanza alla volontà di regolarizzare la precedente omissione.
Quanto all’elemento psicologico, questa Corte ha già chiarito che il reato di omesso o intempestivo versamento di ritenute previdenziali e assistenziali, di cui alla legge 11 novembre 1983, n. 638, (conversione in legge del decreto legge n. 463/1983 n.d.r.) non richiede il dolo specifico, esaurendosi con la coscienza e volontà della omissione o della tardività del versamento delle ritenute e che, pertanto, è sufficiente il dolo generico e questo non viene meno e non è comunque intaccato dalla tardività del versamento (Sez. 3 sent. 07044 del 06/04/1987 rv 176098).
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, fissata in via equitativa, nella misura di euro 1000.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di euro 1000.
Depositata in Cancelleria il 04.10.2011
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