Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 23 settembre 2014, n. 20003. Sulla corretta configurabilità e valutazione del lucro cessante in una causa avente ad oggetto una richiesta di risarcimento danni patiti a seguito di un incidente stradale. Il danno da lucro cessante possa essere riconosciuto allorché sussista documentazione idonea a dimostrare la riduzione concreta del guadagno futuro a prescindere dalle risultanze della CTU nello specifico non attestanti la riduzione della capacità lavorativa sotto il profilo medico-legale
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Adito da F.P. , istante per il risarcimento dei danni patiti a seguito di un incidente stradale verificatosi il 22 gennaio 2001 sull’autostrada Milano – Venezia, il Tribunale di Milano, preso atto della assenza di contestazione in ordine all’esclusiva responsabilità del conducente del veicolo proprietà della Minerva Autotrasporti, assicurata con la Winterthur s.p.a., condannò in solido la società di trasporti e la compagnia di assicurazioni al pagamento della somma di circa 237 mila Euro in favore dell’attore.
La corte di appello di Milano, investita dei gravami hinc et inde proposti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ridusse a 111 mila Euro la somma dovuta al F. , riformando integralmente il capo di sentenza che gli aveva riconosciuto, a titolo di lucro cessante per mancato guadagno futuro per postumi permanenti limitativi della sua capacità lavorativa specifica, la somma di 100.000 Euro, e parzialmente (da 40 mila a 35 mila Euro) quello relativo alla liquidazione del danno da inabilità temporanea.
La sentenza è stata impugnata da F.P. con ricorso per cassazione sorretto da due motivi.
Le parti intimate (Minerva e Winterthur) non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato limitatamente al suo primo motivo.
Con entrambi i motivi, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223, 1226, 2691, 2121, 2728, 2729 c.c. e 113 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
La prima censura attiene al mancato riconoscimento, da parte della Corte di appello, del danno da lucro cessante per riduzione della capacità lavorativa specifica.
Il motivo si conclude con la formulazione del seguente motivo di diritto:
Dica la Corte se, secondo il disposto dell’art. 2065 secondo comma c.c., il danno da lucro cessante possa essere riconosciuto allorché sussista documentazione idonea a dimostrare la riduzione concreta del guadagno futuro anche quando la CTU espletata nei precedenti gradi di giudizio non attesti la riduzione della capacità lavorativa sotto il profilo medico-legale; dica altresì la Corte se la prova della riduzione futura della capacità di guadagno possa essere dimostrata solo attraverso le dichiarazioni dei redditi riferite agli anni successivi al verificarsi del sinistro oppure anche per il tramite di altra documentazione idonea a dimostrare o far comunque presumere che il guadagno futuro sarà in concreto inferiore a quello degli anni antecedenti il sinistro.
Il motivo è fondato.
Risultano circostanze di fatto accertate e non contestate:
1) Che il ricorrente svolgesse attività di venditore televisivo di oggetti d’arte e di antiquariato;
2) Che tale attività fosse svolta in diretta, per diverse ore consecutive;
3) Che la necessità di memorizzare i dettagli relativi agli oggetti da vendere costituisse parte integrante e caratterizzante detta attività;
4) Che, all’esito dell’incidente occorsogli, il F. accusasse la persistenza di significativi sintomi invalidanti, quali vertigini, sensazione di ansia in locali stretti, deficit di concentrazione e di memoria;
5) Che, in data 1.2.2002, la società Telemarket – con la quale il F. collaborava in via esclusiva all’epoca del sinistro come libero professionista – ebbe a comunicargli con lettera la propria decisione di avvalersi della sua collaborazione per un periodo ridotto rispetto al periodo precedente l’incidente, a causa “delle non perfette condizioni fisiche, tali da impedire di utilizzare la sua professionalità e la sua nota capacità espositiva, risultando evidente che, pur a mesi di distanza dal sinistro, le sue condizioni psico-fisiche non risultavano del tutto migliorate, tanto da impedirgli di svolgere la abituale mole di lavoro”;
6) Che, conseguentemente, la società di televendita aveva deciso di utilizzare il F. per un periodo ridotto (non più di tre trasmissioni settimanali), limitando ai soli orari notturni tale impiego.
Alla luce di tali emergenze processuali, apodittica ed insufficiente appare la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, formulando un’ipotesi di tipo presuntivo del tutto svincolata dalla realtà di fatto concretamente emersa nella fattispecie concreta, discorre di “possibilità, per l’attore, di prosecuzione immutata del proprio lavoro presso Telemarket ovvero per altre televisioni commerciali ovvero per clienti privati”.
Speculare insufficiente appare ancora la motivazione nella parte in cui ancora alla (sola) mancata produzione delle dichiarazioni dei redditi degli anni 2001 e 2002 la possibilità di prova della contrazione degli introiti, poiché la valutazione prognostica del pregiudizio economico proiettantesi nel futuro consente anche di avvalersi di presunzioni semplici (quali quelle poc’anzi indicate, nella specie non contrastate ovvero contraddette da prove diverse o contrarie specularmene addotte ex adverso), salva determinazione equitativa del quantum risarcitorio in assenza di prova certa offertone dalla parte istante.
Con la seconda censura si lamenta la illegittimità della riduzione del risarcimento operata dalla Corte di appello rispetto alla pronuncia di primo grado con riferimento ai danni riferibili al periodo di inabilità temporanea patita dal F. .
Il quesito di diritto che ne conclude l’esposizione è il seguente:
Dica la Corte se, ai fini della quantificazione del danno da lucro cessante da inabilità temporanea, il giudice, in applicazione dell’art. 2056 secondo comma e. e. debba previamente valutare se la particolare attività del danneggiato possa svolgersi in presenza di un residuo di inabilità o richieda invece la completa guarigione e se, al verificarsi della seconda ipotesi, il danno debba essere quantificato per ogni giorno in eguale misura prescindendo dal periodo e dal grado di inabilità.
La doglianza è infondata.
Essa si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui (ff. 9 ss. della sentenza impugnata) ha ritenuto di operare, in via presuntiva, una ricostruzione dello stato di salute del F. e della sua conseguente inabilità al lavoro con riguardo tanto al periodo di totale inattività (30 giorni) quanto a quello di attività ridotta del 75% (60 giorni), quanto ancora a quello di attività ridotta del 50% (75 giorni).
Trattasi di valutazione di merito correttamente motivata e pertanto sottratta, ipso facto, al vaglio del giudice di legittimità.
P.Q.M.
La corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia il procedimento alla Corte di appello di Milano in altra composizione. Nulla per le spese del giudizio di cassazione, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
sentenza 23 settembre 2014, n. 20003
I fatti
Adito da F.P. , istante per il risarcimento dei danni patiti a seguito di un incidente stradale verificatosi il 22 gennaio 2001 sull’autostrada Milano – Venezia, il Tribunale di Milano, preso atto della assenza di contestazione in ordine all’esclusiva responsabilità del conducente del veicolo proprietà della Minerva Autotrasporti, assicurata con la Winterthur s.p.a., condannò in solido la società di trasporti e la compagnia di assicurazioni al pagamento della somma di circa 237 mila Euro in favore dell’attore.
La corte di appello di Milano, investita dei gravami hinc et inde proposti, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ridusse a 111 mila Euro la somma dovuta al F. , riformando integralmente il capo di sentenza che gli aveva riconosciuto, a titolo di lucro cessante per mancato guadagno futuro per postumi permanenti limitativi della sua capacità lavorativa specifica, la somma di 100.000 Euro, e parzialmente (da 40 mila a 35 mila Euro) quello relativo alla liquidazione del danno da inabilità temporanea.
La sentenza è stata impugnata da F.P. con ricorso per cassazione sorretto da due motivi.
Le parti intimate (Minerva e Winterthur) non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato limitatamente al suo primo motivo.
Con entrambi i motivi, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 1223, 1226, 2691, 2121, 2728, 2729 c.c. e 113 c.p.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c..
La prima censura attiene al mancato riconoscimento, da parte della Corte di appello, del danno da lucro cessante per riduzione della capacità lavorativa specifica.
Il motivo si conclude con la formulazione del seguente motivo di diritto:
Dica la Corte se, secondo il disposto dell’art. 2065 secondo comma c.c., il danno da lucro cessante possa essere riconosciuto allorché sussista documentazione idonea a dimostrare la riduzione concreta del guadagno futuro anche quando la CTU espletata nei precedenti gradi di giudizio non attesti la riduzione della capacità lavorativa sotto il profilo medico-legale; dica altresì la Corte se la prova della riduzione futura della capacità di guadagno possa essere dimostrata solo attraverso le dichiarazioni dei redditi riferite agli anni successivi al verificarsi del sinistro oppure anche per il tramite di altra documentazione idonea a dimostrare o far comunque presumere che il guadagno futuro sarà in concreto inferiore a quello degli anni antecedenti il sinistro.
Il motivo è fondato.
Risultano circostanze di fatto accertate e non contestate:
1) Che il ricorrente svolgesse attività di venditore televisivo di oggetti d’arte e di antiquariato;
2) Che tale attività fosse svolta in diretta, per diverse ore consecutive;
3) Che la necessità di memorizzare i dettagli relativi agli oggetti da vendere costituisse parte integrante e caratterizzante detta attività;
4) Che, all’esito dell’incidente occorsogli, il F. accusasse la persistenza di significativi sintomi invalidanti, quali vertigini, sensazione di ansia in locali stretti, deficit di concentrazione e di memoria;
5) Che, in data 1.2.2002, la società Telemarket – con la quale il F. collaborava in via esclusiva all’epoca del sinistro come libero professionista – ebbe a comunicargli con lettera la propria decisione di avvalersi della sua collaborazione per un periodo ridotto rispetto al periodo precedente l’incidente, a causa “delle non perfette condizioni fisiche, tali da impedire di utilizzare la sua professionalità e la sua nota capacità espositiva, risultando evidente che, pur a mesi di distanza dal sinistro, le sue condizioni psico-fisiche non risultavano del tutto migliorate, tanto da impedirgli di svolgere la abituale mole di lavoro”;
6) Che, conseguentemente, la società di televendita aveva deciso di utilizzare il F. per un periodo ridotto (non più di tre trasmissioni settimanali), limitando ai soli orari notturni tale impiego.
Alla luce di tali emergenze processuali, apodittica ed insufficiente appare la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, formulando un’ipotesi di tipo presuntivo del tutto svincolata dalla realtà di fatto concretamente emersa nella fattispecie concreta, discorre di “possibilità, per l’attore, di prosecuzione immutata del proprio lavoro presso Telemarket ovvero per altre televisioni commerciali ovvero per clienti privati”.
Speculare insufficiente appare ancora la motivazione nella parte in cui ancora alla (sola) mancata produzione delle dichiarazioni dei redditi degli anni 2001 e 2002 la possibilità di prova della contrazione degli introiti, poiché la valutazione prognostica del pregiudizio economico proiettantesi nel futuro consente anche di avvalersi di presunzioni semplici (quali quelle poc’anzi indicate, nella specie non contrastate ovvero contraddette da prove diverse o contrarie specularmene addotte ex adverso), salva determinazione equitativa del quantum risarcitorio in assenza di prova certa offertone dalla parte istante.
Con la seconda censura si lamenta la illegittimità della riduzione del risarcimento operata dalla Corte di appello rispetto alla pronuncia di primo grado con riferimento ai danni riferibili al periodo di inabilità temporanea patita dal F. .
Il quesito di diritto che ne conclude l’esposizione è il seguente:
Dica la Corte se, ai fini della quantificazione del danno da lucro cessante da inabilità temporanea, il giudice, in applicazione dell’art. 2056 secondo comma e. e. debba previamente valutare se la particolare attività del danneggiato possa svolgersi in presenza di un residuo di inabilità o richieda invece la completa guarigione e se, al verificarsi della seconda ipotesi, il danno debba essere quantificato per ogni giorno in eguale misura prescindendo dal periodo e dal grado di inabilità.
La doglianza è infondata.
Essa si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui (ff. 9 ss. della sentenza impugnata) ha ritenuto di operare, in via presuntiva, una ricostruzione dello stato di salute del F. e della sua conseguente inabilità al lavoro con riguardo tanto al periodo di totale inattività (30 giorni) quanto a quello di attività ridotta del 75% (60 giorni), quanto ancora a quello di attività ridotta del 50% (75 giorni).
Trattasi di valutazione di merito correttamente motivata e pertanto sottratta, ipso facto, al vaglio del giudice di legittimità.
P.Q.M.
La corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia il procedimento alla Corte di appello di Milano in altra composizione. Nulla per le spese del giudizio di cassazione, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.