Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 2 aprile 2014, n. 7698
Svolgimento del processo
Nel 1991 B.F. rimase coinvolto in un grave incidente stradale, mentre viaggiava trasportato a bordo della motocicletta Suzuki 600 condotta dal cugino Bi.Vi. (deceduto pochi giorni dopo l’incidente per la gravità delle ferite riportate), che si scontrava con la Fiat 131 condotta da C.S. .
Il ricorrente in un primo momento – nel 1994 – intraprendeva una causa nei confronti del solo conducente dell’altro veicolo coinvolto nello scontro, il C. , quindi nel 2000 iniziava una seconda causa — quella in esame – dinanzi al Tribunale di S. Maria Capua Vetere, convenendo in giudizio gli eredi del defunto conducente del motoveicolo e chiedendo il risarcimento dei danni subiti. Gli eredi Bi. rimanevano contumaci e il tribunale adito nel 2006 rigettava la domanda del B. accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalla intervenuta Winthertur Ass.ni s.p.a..
Il B. proponeva appello e all’udienza di precisazione delle conclusioni produceva in giudizio la sentenza n. 3078 del 2010 emessa dalla Corte d’Appello di Napoli nel giudizio nei confronti del C. , conducente dell’autovettura coinvolta nello scontro, che accertava il concorso di colpa dei due soggetti coinvolti nello scontro, quantificava i danni complessivamente riportati dal B. per danno biologico, indennità temporanea totale e parziale, nonché per spese mediche documentate, e condannava il convenuto a pagarne la metà, pari ad Euro 23.600,00.
La Corte di Appello di Napoli, con sentenza n. 1004 del 2011, in parziale accoglimento dell’appello dell’odierno ricorrente, riteneva infondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalla compagnia di assicurazioni, ritenendo che la prescrizione fosse stata idoneamente interrotta dall’odierno ricorrente; sull’an, riteneva che la sentenza n. 3078 del 2010 della stessa corte non potesse spiegare efficacia di giudicato nei confronti della compagnia di assicurazioni, che non era stata parte del giudizio, ma che tuttavia essa dovesse essere valutata alla stregua di una prova documentale sull’an debeatur, in relazione alla quantificazione del danno recepiva le conclusioni del ctu, accertando che il B. aveva riportato un danno biologico nella misura del 7% (inferiore rispetto al 12% ritenuto nell’altro giudizio) nonché un danno per inabilità temporanea totale e parziale (anch’esso inferiore all’importo riconosciuto nell’altro giudizio), e, calcolato il danno complessivo, condannava la compagnia assicurativa del motoveicolo su cui viaggiava il ricorrente unitamente agli altri appellati a pagare in favore del B. l’importo residuo di Euro 1.525,00 (pari alla differenza tra quanto erano stati condannati a pagare il C. e la sua compagnia di assicurazioni nel primo giudizio e quanto veniva liquidato ai valori attualizzati in favore del B. nel secondo giudizio).
Propone ricorso per cassazione il B. nei confronti di B.L. , Bi.Sa. , Ca. , Pe. , Al. , Ma. , nonché nei confronti di Unipol Ass.ni, già Aurora Ass.ni s.p.a. e prima ancora Winthertur Ass.ni s.r.l., incorporante la Veneta Ass.ni s.p.a., articolato in tre motivi.
La Unipol Ass.ni s.p.a. ha depositato controricorso contenente un motivo di ricorso incidentale.
B.L. nonché gli altri eredi Bi. , benché regolarmente intimati, non si sono costituiti.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Preliminarmente i due ricorsi proposti avverso la stessa sentenza vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo di ricorso il B. deduce “la violazione e o falsa applicazione e/o interpretazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli articoli seguenti e/o connessi, nonché omessa, contraddittoria e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
Il ricorrente segnala il fatto che la corte d’appello ha preliminarmente evidenziato di aver già deciso sul medesimo fatto, nell’altra causa iniziata dallo stesso B. e da tutti gli eredi Bi. nel 1994 e conclusasi con sentenza n. 3078 del 2010 ed ha riconosciuto a detta sentenza una precisa valenza probatoria, affermando che essa “deve essere valutata alla stregua di una prova documentale”, ritenendo in conseguenza di ciò già accertata, in conformità di quanto risulta dalla prima sentenza, la responsabilità sull’an dell’incidente, in particolare la responsabilità concorrente e paritaria tra il conducente della moto e il conducente dell’auto.
Il ricorrente non contesta questo aspetto, ma piuttosto rileva che la corte nella sentenza qui impugnata avrebbe dovuto attribuire identico valore di prova documentale alla sentenza n. 3078 del 2010 anche laddove aveva quantificato la misura dei danni riportati e l’ammontare del risarcimento dovutogli; ne fa derivare che il recepimento degli accertamenti compiuti nel primo giudizio avrebbe dovuto portare a ritenere fissati e quantificati nello stesso modo i danni da lui riportati nell’incidente, ovvero una indennità temporanea totale di 70 giorni pari ad Euro 5.600,00, una indennità temporanea parziale di quaranta giorni, pari ad Euro 1.600,00 e un danno biologico nella misura del 12 %, liquidato in Euro 39.000,00. Invece, lamenta il ricorrente che la corte d’appello nella sentenza impugnata non avrebbe attribuito all’altra sua sentenza analogo valore di prova documentale sul punto del quantum ed avrebbe rideterminato autonomamente il risarcimento dovuto al B. giungendo a liquidargli un importo minore, recependo senza adeguata motivazione le risultanze della c.t.u. disposta nel corso del giudizio di primo grado, i cui esiti erano stati tempestivamente contestati dall’odierno ricorrente, senza neppure una adeguata motivazione.
Anche il controricorso della Unipol Ass.ni s.p.a., contenente anche ricorso incidentale, si indirizza, censurandolo da opposto punto di vista, al passo della sentenza impugnata in cui il giudice d’appello ha ritenuto che l’altra decisione resa dalla stessa corte in relazione al medesimo incidente, però con parti non perfettamente coincidenti, dovesse essere valutata alla stregua di una prova documentale sull’an debeatur, e, segnatamente, sulla dinamica del fatto. La ricorrente incidentale segnala l’illegittimità della sentenza impugnata osservando che, ai fini della utilizzabilità come prova documentale di una sentenza resa in un diverso processo, questa deve essere passata in cosa giudicata, cosa che nel caso di specie non era avvenuta, per cui ad avviso della Unipol essa non era neppure utilizzabile come fonte di prova.
Entrambi i motivi di ricorso, sia il principale che l’incidentale, sono infondati.
La sentenza impugnata sotto il profilo contestato va esente dalle simmetriche critiche mossele da entrambe le parti.
Essa infatti prende atto del precedente accertamento compiuto da altra sezione della stessa Corte d’Appello di Napoli sulla dinamica dello stesso incidente stradale, e lo utilizza non come prova avente una efficacia qualificata, ma come documento da lei liberamente apprezzabile ed utilizzabile, facendo corretto uso del principio di diritto già più volte affermato da questa Corte, secondo il quale il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse parti o tra altre parti, delle quali la sentenza che in detto giudizio sia stata pronunciata costituisce documentazione (Cass. n. 21115 del 2005). Utilizza anche i documenti in quella sede acquisiti (il rapporto redatto dai CC di Maddaloni) e, liberamente apprezzandoli nell’ambito della formazione del proprio libero convincimento, condivide la ricostruzione della dinamica dell’incidente in quella sede effettuata dalla stessa corte d’appello: v. pag. 5 della sentenza impugnata.
Non essendo vincolante l’accertamento contenuto nella prima sentenza sull’an, per i motivi esposti, non lo è neppure quello sul quantum, tanto più che, lo si ripete, i due giudizi non si sono svolti tra le stesse parti (si ricorda che la prima causa si è svolta tra eredi del conducente e trasportato della moto, da una parte, e conducente e proprietario dell’auto, dall’altra, mentre questa causa vede contrapporti gli eredi del conducente e il trasportato). In definitiva è lo stesso B. , che in entrambi i giudizi, in quanto danneggiato, era l’attore, che ha scelto di intraprendere due giudizi diversi (probabilmente per non coinvolgere in un primo momento anche in una causa civile i propri parenti già gravati dalla perdita del conducente del motoveicolo, che era suo parente) e in tal modo ha assunto il rischio che l’esito delle due cause potesse essere differente, del che oggi si duole. Nella seconda causa la corte ha legittimamente deciso di utilizzare al fine di pervenire alla quantificazione del danno, gli esiti della consulenza svolta tra le stesse parti nel corso del giudizio di primo grado, con rispetto del contraddittorio. Il suo operato è pertanto sotto questo profilo del tutto legittimo.
Per quanto concerne la doglianza formulata con il ricorso incidentale, anch’essa è infondata. È la stessa corte d’appello, a pag. 5 della sentenza, che chiarisce di non aver recepito l’accertamento contenuto nella sentenza n. 3078 del 2010 come accertamento facente stato tra le parti del secondo giudizio (né avrebbe potuto farlo, non essendo la sentenza passata in giudicato ed essendo stata resa tra parti non integralmente coincidenti). La corte territoriale, come si è avuto già modo di osservare, ha fatto corretto uso del principio della libera uulizzabilità delle prove raccolte in un altro processo, a prescindere dal giudicato (Cass. n. 7767 del 2007: “Il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto ed in virtù del principio dell’unità della giurisdizione, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o anche altre parti, e da esse desumere elementi che – al di fuori dei casi di opponibilità dell’accertamento derivante dal giudicato – devono, peraltro, costituire oggetto di autonoma valutazione (e non essere, perciò, solo acriticamente recepite) dei fatti sottoposti alla sua cognizione; tuttavia, occorre che dette prove gli siano state indicate e di esse, ove se ne lamenti l’omesso esame in sede di legittimità, siano riprodotti il tenore letterale degli atti e dei documenti in cui si sostanziano”).
Dalla lettura della sentenza si evince chiaramente inoltre che la corte d’appello non si è pedissequamente allineata alla conclusione sull’an tratta nella precedente sentenza, né l’ha ritenuta una fonte di prova qualificata atta a fare stato in questo giudizio sia pure solo sull’accertamento della responsabilità, ma, richiamati gli elementi anche documentali, quali i rilievi degli agenti intervenuti sui quali la corte nel primo caso aveva formato il proprio convincimento sulla responsabilità concorsuale dei due soggetti coinvolti nel sinistro, li ha condivisi e fatti propri legittimamente in questo giudizio.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza per non aver la corte accolto le critiche mosse dal ricorrente alla ctu e per non aver neppure dato conto, nella motivazione, delle ragioni per le quali riteneva di disattenderle.
Questo motivo di ricorso va accolto.
Il ricorrente aveva espressamente contestato, nel proprio atto di appello, la quantificazione del danno eseguita dal c.t.u. in primo grado, con circostanziati rilievi che, in ossequio al principio di autosufficienza, ha riportato alle pag. da 21 a 24 del ricorso per cassazione. Nel suo motivo di appello chiedeva che nella quantificazione del danno biologico si tenesse conto sia delle conseguenze limitative della mobilità sotto il profilo ortopedico, che delle conseguenze neurologiche derivanti dal trauma cranico subito, valutate troppo superficialmente dal c.t.u., e consistenti in sindrome vertiginosa e cefalgica con insonnia, stato ansioso, difficoltà di concentrazione, e chiedeva che si tenesse conto di tutti i fattori: il suo stato di salute ottimale precedente al sinistro, la sua giovane età al momento dell’incidente, le conseguenze limitative sulla sua vita di relazione e la necessità di cambiare lavoro non essendo compatibile il lavoro precedentemente svolto (manovale muratore) con le vertigini alle quali andava continuamente soggetto a seguito dell’incidente e con la perdita di forza prensile nelle mani e nel polso. Alla luce di tutte queste considerazioni, più analiticamente sviluppate nell’atto di appello, riteneva che il ctu avesse sottovalutato la gravità complessiva degli esiti permanenti, giungendo ad una illogica e sproporzionatamente riduttiva determinazione della percentuale di invalidità permanente, riconosciuta dal c.t.u. in primo grado nella misura del 6/7%. Alle valutazioni del consulente contrapponeva una stima della propria invalidità non inferiore al 17/18 %., più una inabilità temporanea assoluta e parziale di più lunga durata rispetto a quanto ritenuto dal ctu.
È da notare che le critiche del B. sono correttamente indirizzate nei confronti della c.t.u. di primo grado, e non della sentenza di primo grado, in quanto in primo grado il tribunale aveva accolto l’eccezione di prescrizione e non aveva di conseguenza esaminato la fondatezza o meno delle domande dell’attore né aveva affrontato la questione della misura del risarcimento.
A fronte di queste critiche puntuali alla consulenza (la cui fondatezza o meno non è compito di questa corte esaminare, essendo un giudizio di fatto riservato al giudice di merito), rilevanti ai fini della decisione la motivazione della corte d’appello è la seguente: “Sul quantum debeatur, la Corte ritiene di aderire alle conclusioni del ctu P. nominato nel giudizio di primo grado, solo genericamente contestate dal B. “.
Deve ritenersi che la sentenza impugnata sia incorsa nel vizio di insufficienza della motivazione, in quanto la sentenza di merito non può limitarsi a richiamare e fare proprie le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u. allorché le stesse siano state sottoposte a puntuali critiche da parte dei soggetti coinvolti, ma è invece necessario che, nel recepire le conclusioni di una consulenza tecnica oggetto di puntuale contestazione, la sentenza si faccia carico di richiamare, seppur sinteticamente, le critiche mosse alla consulenza e, nel recepirla, spieghi perché ritenga dette critiche superabili o infondate o comunque non tali da inficiare i risultati cui è pervenuto il c.t.u..
Poiché per quanto sopra esposto, le critiche mosse dal B. non si possono ritenere generiche, la motivazione è carente non avendo ad esse minimamente replicato e quindi non avendo dato conto della ragionevolezza e persuasività delle conclusioni cui è pervenuto il consulente, atte a superare le critiche della parte.
Il motivo di ricorso va accolto e la causa rimessa alla Corte d’Appello di Napoli in altra composizione.
Con il terzo motivo di ricorso, il B. lamenta l’erronea applicazione da parte della corte territoriale degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonché la contraddittorietà della motivazione, che ha scelto di compensare entrambi i gradi di giudizio tra le parti, motivando nel senso che il comportamento processuale assunto dall’esponente sarebbe caratterizzato da contraddizioni ed appesantimenti. Il motivo è assorbito, in quanto il giudice del rinvio deciderà anche sulle spese.
P.Q.M.
Pronunciando sui ricorsi riuniti, rigetta il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo, assorbito il terzo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al secondo motivo di ricorso e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione anche sulle spese. Rigetta il ricorso incidentale.
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