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La massima

1. La responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall’art. 2048 cod. civ., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico all’art. 147 cod. civ. e alla conseguente necessità di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti e a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito. Per sottrarsi a tale responsabilità, essi devono pertanto dimostrare di aver impartito al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini ed alla sua personalità, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la prova di circostanze (quali l’età ormai raggiunta dal minore e le esperienze lavorative da lui eventualmente avute) idonee ad escludere l’obbligo di vigilare sul minore, dal momento che tale obbligo può coesistere con quello educativo, ma può anche non sussistere, e comunque diviene rilevante soltanto una volta che sia stata ritenuta, sulla base del fatto illecito determinatosi, la sussistenza della culpa in educando.

2. I criteri in base ai quali va imputata ai genitori la responsabilità per gli atti illeciti compiuti dai figli minori consistono sia nel potere-dovere di esercitare la vigilanza sul comportamento dei figli stessi, in relazione al quale potere-dovere assume rilievo determinante il perdurare della coabitazione; sia anche e soprattutto nell’obbligo di svolgere adeguata attività formativa, impartendo ai figli l’educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari. In quest’ultimo ambito rientrano i danni provocati dalle manifestazioni di indisciplina, negligenza o irresponsabilità, nello svolgimento di attività suscettibili di arrecare danno a terzi, fra cui in particolare l’inosservanza delle norme della circolazione stradale.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE 

SENTENZA 19 febbraio 2014, n. 3964

Svolgimento del processo

La presente controversia ha per oggetto un incidente verificatosi in Roma in data 30.10.2003, allorchè E.D., all’epoca di anni sedici, attraversava il passaggio pedonale posto su piazzale Flaminio, con il semaforo rosso per i pedoni, mentre sopravveniva, con direzione Muro Torto, la moto condotta da S.B., di proprietà della s.a.s. La Vinicola Olearia di S.B. (di seguito, brevemente, “La Vinicola Olearia”).

Proposta domanda di risarcimento danni da parte di S.B. e della società La Vinicola Olearia nei confronti di E.D. e dei suoi genitori G.D. e G.A. (questi ultimi evocati in giudizio anche in proprio ex art. 2048 cod. civ.), nell’assunto che era stato il pedone a investire la moto e proposta, altresì, domanda riconvenzionale da parte di E.D. per i danni da essa subiti nell’incidente, domanda estesa nei confronti della Società Cattolica di Assicurazioni coop. a r.l., chiamata in causa da parte convenuta, quale assicuratore della moto, l’adito Tribunale di Roma, in esito all’istruttoria, con sentenza n. 23685/2005, dichiarava l’esclusiva responsabilità di E.D. nell’incidente occorso il 30.10.2003; condannava, dunque, la stessa E.D., in solido con i genitori ritenuti responsabili ex art. 2048 cod. civ., al pagamento dei danni subiti da S.B. e dalla società La Vinicola Olearia, liquidandoli, rispettivamente, nelle somme di € 19.912,28 ed € 683,40, nonché al pagamento delle spese processuali.

La decisione, gravata da impugnazione in via principale da parte di G.D., G.A. ed E.D. e in via incidentale da parte di S.B. e della società La Vinicola Olearia, era riformata dalla Corte di appello di Roma, la quale con sentenza in data 22.03.2011, accogliendo, per quanto ritenuto di ragione, l’appello principale e quello incidentale di S.B., così provvedeva: rigettava la domanda proposta da S.B. e dalla società La Vinicola Olearia nei confronti di G.D. e di G.A. a titolo di responsabilità ex art. 2048 cod. civ. e, ritenuta la colpa concorrente del motociclista e del pedone, condannava E.D. al pagamento, a titolo risarcimento danni, in favore di S.B. e della società La Vinicola Olearia, delle somme, rispettivamente, di € 13.774,305 e di € 341,70; condannava S.B., La Vinicola Olearia, nonché la soc. Cattolica Assicurazioni coop. a r.l., in solido tra loro, al pagamento, a titolo risarcimento danni, in favore di E.D. dell’importo di € 3.813,03; compensava le spese del doppio grado tra le parti.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione S.B., nonché La Vinicola Olearia, svolgendo quattro motivi.

Hanno resistito G.D., G.A. ed E.D., depositando controricorso.

Nessuna attività difensiva è stata svolta dalla soc. Cattolica Assicurazioni coop. a r.l.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso, formulata dai resistenti nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., sul presupposto che le istanze di correzione di errore materiale della sentenza di appello, depositate da entrambe le parti, abbiano comportato la decorrenza del termine breve di impugnazione avverso la stessa sentenza, ancorchè la stessa – come è pacifico – non sia stata notificata.

L’eccezione è manifestamente infondata, alla luce del principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, in forza del quale ai fini della decorrenza del termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione, la notificazione della sentenza, cui fa riferimento l’art. 326 cod. proc. civ., non può essere sostituita da forme di conoscenza legale equipollenti quali la proposizione dell’istanza di correzione di errore materiale, trattandosi di un’attività compiuta per un fine specifico, incompatibile con l’impugnazione (Cass. 9 agosto 2011, n. 17122; Cass. 23 giugno 2000, n. 8596; Cass. 28 maggio 1996, n. 4945 e, sia pure indirettamente, anche Cass. 11 settembre 2009, n. 19668).

2. I motivi di ricorso si incentrano su due punti della decisione di appello e, segnatamente, sull’accertamento della colpa concorrente delle parti interessate nell’incidente e sulla statuizione di rigetto della domanda di responsabilità per fatto proprio, ex art. 2048 cod. civ. nei confronti dei genitori di E.D., minorenne all’epoca del fatto.

Relativamente all’accertamento della responsabilità del sinistro la Corte territoriale ha osservato che la circostanza che la minorenne avesse intrapreso l’attraversamento delle strisce pedonali con il semaforo rosso per i pedoni non esauriva la prova liberatoria ex art. 2054 co. 1 cod. civ. e che neppure era sufficiente, a tal fine, il fatto che l’attraversamento della strada fosse stato repentino, occorrendo anche valutare il comportamento del conducente; ha, quindi, evidenziato che dagli accertamenti effettuati nell’immediatezza dell’incidente dalla Polizia municipale emergevano alcune significative circostanze – la posizione statica del veicolo, la distanza dal corpo della ragazza, la violenta reazione del mezzo finito, dopo una rotazione di 180 gradi, al di sopra dello spartitraffico rialzato, posto al centro della strada, a 18 metri di distanza dalla fine dell’attraversamento pedonale – dalle quali si desumeva agevolmente che la velocità del motoveicolo non era adeguata alle condizioni della strada, in pieno centro, in una zona di attraversamento pedonale, particolarmente in una giornata piovosa.

Sotto l’altro profilo, tuttora controverso, della responsabilità dei genitori, la Corte territoriale ha dichiarato di non condividere il rilievo del primo Giudice, secondo cui – non essendo stato fornito dai genitori alcun elemento in ordine all’idoneità dell’educazione impartita alla minore, per essersi gli stessi limitati a depositare unicamente il certificato di iscrizione scolastica della figlia – andava affermata la colpa presunta ai sensi dell’art. 2048 cod. civ.. A parere dei giudici di appello occorreva considerare che, nella specie, l’età della minore (di anni 16 all’epoca del fatto) presupponeva una consapevolezza più che adeguata di circolare da sola, mentre il comportamento tenuto nell’occasione, consistito nella violazione della norma che vieta di attraversare con il rosso, rientrava in quelle violazioni delle regole del vivere civile che non possono assumere di per sé un indice di pericolosità o comunque di inadeguatezza tale da poter imputare ai genitori manchevolezze oggettive nel processo educativo della figlia. In particolare, considerato che il comportamento della ragazza poteva essere stato determinato da un momento di difficoltà occasionale (come la pioggia, il ritardo a scuola o altro, che non era riuscita a controllare), la Corte di appello ha ritenuto che il fatto non dimostrasse una educazione inadeguata; chè altrimenti si sarebbe chiesta ai genitori una probativo diabolica.

3. Sul punto dell’accertamento della responsabilità nella produzione dell’incidente si incentrano il primo e il terzo motivo, che si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logica, fattuale e giuridica.

3.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2054 cod. civ., nonché degli artt.115, 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia affermato la colpa concorrente delle parti interessate, senza ravvisare l’effettiva natura dell’incidente, atteso che si tratterebbe, non già di un “investimento pedonale”, ma dell’esatto contrario. In particolare la Corte di appello sarebbe incorsa in un duplice errore: innanzitutto avrebbe compiuto un’erronea ricognizione della fattispecie contemplata dall’art. 2054 cod. civ., richiedendo a carico del conducente una probatio diabolica; quindi, avrebbe commesso un’ulteriore violazione e/o falsa applicazione delle norme in materia di apprezzamento della prova e del relativo onere, affidando l’affermazione di corresponsabilità ad «esili elementi».

3.2. Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente denuncia l’insufficiente e, comunque, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in tema di attribuzione della responsabilità anche in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.), segnatamente lamentando che i giudici di appello siano pervenuti, con modalità del tutto atecniche, a ritenere che il conducente viaggiasse a velocità non adeguata.

3.3. In via di principio costituisce ius receptum (ex plurimis cfr: Cass. 3 maggio 2011, n. 9683; Cass. 29 settembre 2006, n. 21249 Cass. 16 giugno 2003, n. 9620) che, in caso di investimento di pedone, la responsabilità del conducente prevista dall’art. 2054 cod. civ. è esclusa quando risulti provato che non vi era, da parte di quest’ultimo, alcuna possibilità di prevenire l’evento; tale situazione ricorre allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti. Tanto si verifica quando il pedone appare all’improvviso sulla traiettoria del veicolo che procede regolarmente sulla strada, rispettando tutte le norme della circolazione stradale e quelle di comune prudenza e diligenza incidenti con nesso di causalità sul sinistro. Pertanto, anche nel caso in cui il conducente impegni un incrocio regolato da semaforo con “luce verde” in suo favore, permane a suo carico un obbligo di diligenza nella condotta di guida che, pur non potendo essere richiesta nel massimo, stante la situazione di affidamento generata dal semaforo, deve tuttavia tradursi nella necessaria cautela richiesta dalla comune prudenza e dalle concrete condizioni esistenti nell’incrocio. Ciò non è altro che l’applicazione particolare del più generale principio, secondo cui il solo fatto che un conducente goda del diritto di precedenza non lo esonera dall’obbligo previsto dall’art. 102 cod. strada abrogato (ed, attualmente, dagli art. 140. 141, comma 3, 145, comma 1, del nuovo cod. strada d.lg. 30 aprile 1992 n. 285), consistente nell’usare la dovuta attenzione nell’attraversamento di un incrocio, anche in relazione a pericoli derivanti da eventuali comportamenti illeciti o imprudenti di altri utenti della strada, che non si attengano al segnale di arresto o di precedenza (Cass. 27 giugno 2000, n. 8744).

Orbene la Corte territoriale si è attenuta ai principi sopraesposti, allorchè ha ritenuto che la circostanza che la ragazza avesse attraversato la strada improvvisamente, con semaforo rosso, non consentisse di ritenere superata la presunzione di colpa di cui all’art. 2054 cod. civ.; sicchè correttamente ha proceduto a verificare se la condotta del conducente fosse stata adeguata a quella richiesta nella concreta situazione della circolazione. Invero anche la circostanza che il pedone abbia repentinamente attraversato la strada non vale ad escludere la responsabilità dell’automobilista, ove tale condotta anomala del pedone sia, per le circostanze di tempo e di luogo, ragionevolmente prevedibile (Cass. 12 gennaio 2011, n. 524); e tale prevedibilità deve, in particolare, ritenersi sussistente con riferimento a una situazione di tempo e di luogo come quella descritta nella sentenza impugnata (in pieno centro, in una zona di attraversamento pedonale, in una giornata piovosa).

3.4. Diventa poi una questione di merito, stabilire se il conducente, nell’occasione, adottò quella diligenza e prudenza nella guida che – pur tenuto conto della negligenza del pedone – gli avrebbe consentito di prevenire l’evento. Invero il concreto accertamento e la valutazione dei rispettivi comportamenti rientrano nella competenza esclusiva del giudice del merito, la cui motivazione congrua e logica resiste al sindacato di legittimità.

Nella fattispecie, la Corte di appello ha utilizzato una serie di elementi indiziari (rotazione della moto; posizione post-sinistro del veicolo al di sopra dello spartitraffico rialzato, distanza dal luogo di impatto) per ritenere, con motivazione immune da censure rilevabili in questa sede, che sussista il concorso di colpa dell’odierno ricorrente nella produzione dell’evento, per non avere tenuto una velocità adeguata alle condizioni di tempo e di luogo in cui si verificò l’incidente, coerentemente escludendo che lo stesso si sia trovato in una situazione in cui non avesse alcuna possibilità di prevenire l’evento.

Gli argomenti di segno contrario svolti in ricorso – e, segnatamente, quelli, secondo cui l’assenza di strisce di frenata sarebbe ascrivibile all’asfalto bagnato, mentre la distanza del veicolo dal luogo dell’impatto sarebbe conseguente alla forza dell’urto della ragazza e, comunque, denuncerebbe una velocità non superiore ai 45 Kmh – per un verso, si rivelano meramente alternativi e non esclusivi delle diverse argomentazioni della Corte territoriale, per altro verso, non smentiscono affatto l’addebito di imprudenza generica con riferimento alle indicate condizioni di circolazione.

Entrambi i motivi all’esame vanno, in definitiva, rigettati.

4. Il secondo e il quarto motivo si incentrano sull’accertamento negativo della responsabilità dei genitori ex art. 2048 cod. civ.; anche detti motivi possono, dunque, essere esaminati congiuntamente per le evidenti ragioni di connessione.

4.1. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 2048 cod. civ., nonché violazione degli artt. 115, 116 cod. proc. civ. e art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) per avere la Corte territoriale di fatto esonerato i genitori della minore dall’onere della prova di cui all’art. 2048 cod. civ., sul presupposto che la prova su essi incombente fosse altrimenti “diabolica”, trattandosi al contrario dell’ordinaria dimostrazione dell’assolvimento del compito di cui all’art. 147 cod. civ.

4.2. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia l’insufficiente e, comunque, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in tema di responsabilità dei genitori ex art. 2048 cod. civ. anche in relazione agli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.). In particolare parte ricorrente rileva che, trattandosi come si legge in sentenza, di una «violazione delle regole del vivere civile», la Corte di appello ha motivato in maniera incongrua allorché ha escluso la responsabilità dei genitori, cui spetta, per l’appunto, insegnare dette regole.

4.3. In via di principio si rammenta che la responsabilità dei genitori per i fatti illeciti commessi dal minore con loro convivente, prevista dall’art. 2048 cod. civ., è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico all’art. 147 cod. civ. e alla conseguente necessità di una costante opera educativa, finalizzata a correggere comportamenti non corretti e a realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria ed altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito. Per sottrarsi a tale responsabilità, essi devono pertanto dimostrare di aver impartito al figlio un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente, alle sue abitudini ed alla sua personalità, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la prova di circostanze (quali l’età ormai raggiunta dal minore e le esperienze lavorative da lui eventualmente avute) idonee ad escludere l’obbligo di vigilare sul minore, dal momento che tale obbligo può coesistere con quello educativo, ma può anche non sussistere, e comunque diviene rilevante soltanto una volta che sia stata ritenuta, sulla base del fatto illecito determinatosi, la sussistenza della culpa in educando (Cass. 22 aprile 2009, n. 9556).

I criteri in base ai quali va imputata ai genitori la responsabilità per gli atti illeciti compiuti dai figli minori consistono, dunque, sia nel potere-dovere di esercitare la vigilanza sul comportamento dei figli stessi, in relazione al quale potere-dovere assume rilievo determinante il perdurare della coabitazione; sia anche e soprattutto nell’obbligo di svolgere adeguata attività formativa, impartendo ai figli l’educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari. In quest’ultimo ambito rientrano i danni provocati dalle manifestazioni di indisciplina, negligenza o irresponsabilità, nello svolgimento di attività suscettibili di arrecare danno a terzi, fra cui in particolare l’inosservanza delle norme della circolazione stradale (Cass. 14 marzo 2008, n. 7050).

4.4. Il Collegio – nel dare continuità a siffatti principi, pur nella consapevolezza del rigore con cui si viene a valutare la responsabilità dei genitori in relazione al fatto illecito del figlio, soprattutto se prossimo alla maggiore età – condivide l’argomento svolto al riguardo da Cass. 20 marzo 2012, n. 4395, secondo cui questo rigore è giustificato, considerato che esso, per un verso, ingenera il possibile interesse anche economico dei genitori ad impartire ai figli un’educazione che li induca a percepire il disvalore sociale dei comportamenti pericolosi per gli altri, mentre, per altro verso, è in sè idoneo a sollecitare la precauzione dei minori allo stesso fine, anche per il timore della possibile reazione dei genitori che fossero chiamati a rispondere delle conseguenze dei loro atti illeciti in danno dei terzi.

Non si vuole con ciò predicare un’interpretazione dei compiti gravanti sui genitori avulsa dall’attuale dinamica dei rapporti sociali e generazionali (come sembra paventare parte resistente), ma si intende, piuttosto, evitare di sovrapporre e confondere due piani distinti della medesima questione: una cosa è l’oggetto dell’onere probatorio – e cioè il “contenuto” dell’insegnamento da impartire dai genitori e le “modalità”, con cui va assolto l’obbligo di sorvegliare e vigilare sui figli minori, nella cui individuazione l’interprete non può prescindere dal contesto famigliare, sociale e, in ultima analisi, anche storico in cui tali compiti vengono svolti – e altra è la stessa sussistenza di tale onere, il cui rigore risponde, per quanto appena detto, ad una precisa volontà legislativa, assolvendo esigenze indubbiamente ancora attuali.

D’altra parte se è vero che oggi è sempre più anticipato il momento in cui i minori si allontanano dalla sorveglianza diretta dei genitori, vanno a scuola da soli e se (come rileva parte resistente) un quattordicenne può anche girare in motorino, è pur vero che l’obbligo di vigilanza dei genitori non è stato certo annullato, ma assume, piuttosto, contorni diversi; mentre il compito di impartire insegnamenti adeguati e sufficienti ad affrontare correttamente la vita di relazione deve essere assolto, se del caso, anche con maggiore rigore proprio in ragione dei tempi in cui avviene l’emancipazione dal controllo diretto dei genitori. In altri termini, se l’ordinamento autorizza i minori (previo ottenimento di un “patentino”) a circolare in motorino o anche in un’auto elettrica, non per questo lo stesso ordinamento ha esonerato gli esercenti la potestà dalla responsabilità per i danni derivanti dall’inosservanza dalle regole di circolazione da parte dei figli minori, né tantomeno presume – ma, anzi, esige – che i genitori abbiano impartito al figlio quegli insegnamenti necessari e sufficienti alla piena consapevolezza dei pericoli che derivano dalla circolazione e all’osservanza delle regole della strada.

4.5. Orbene, nel caso di specie, la valutazione del positivo assolvimento dell’onere probatorio di cui all’art. 2048 cod. civ. si articola, nella decisione impugnata, in tre passaggi motivazionali, sopra meglio illustrati – e, cioè: la premessa della non condivisione delle valutazioni espresse dal primo giudice, laddove aveva stigmatizzato la carenza di attività assertiva e probatoria dei genitori convenuti in giudizio; la considerazione dell’età della minore all’epoca sedicenne, che lasciava “presupporre” la consapevolezza dei comportamenti da tenere in strada; infine il rilievo delle modalità del fatto, siccome ritenuto non sintomatico di “pericolosità” – in ognuno dei quali si rinviene traccia del doppio vizio motivazionale e logico ascritto da parte ricorrente.

Invero la Corte di appello non mette in discussione l’esattezza di quanto affermato dal primo giudice – e cioè che l’unica prova fornita dagli odierni resistenti era rappresentata da un certificato di iscrizione a scuola – e neppure si cura di smentire il rilievo del Tribunale in ordine all’inidoneità di siffatta allegazione probatoria ai fini dell’assolvimento dell’onere probatorio ex art. 2048 cod. civ., ritenendo a tali effetti, invece, sufficienti due elementi, quali l’età e la natura del fatto, che, lungi dal fornire un positivo riscontro dell’assolvimento dell’onere della prova liberatoria incombente sui genitori, costituiscono gli stessi presupposti della responsabilità ai sensi della norma cit..

Valga considerare che l’art. 2048 cod. civ. si riferisce al figlio comunque minorenne, postulando la necessità di una costante opera educativa onde realizzare una personalità equilibrata, consapevole della relazionalità della propria esistenza e della protezione della propria e altrui persona da ogni accadimento consapevolmente illecito. E se l’illecito comportamento del figlio è riconducibile, non già all’omissione della contingente e quotidiana sorveglianza sul comportamento di lui (non esigibile, in genere, nei confronti di un sedicenne), bensì alle carenze educative, ha poco senso discettare sull’età del minore, per desumerne tout court che tali carenze devono presumersi inesistenti. D’altra parte l’assenza dì culpa in vigilando non giova ai genitori convenuti con l’azione di risarcimento se vi è stata culpa in educando (e viceversa).

Inoltre la norma postula un fatto illecito, prescindendo dalla sua gravità, nella considerazione che la contravvenzione alle regole del vivere sociale da parte del minore sia ascrivibile, salvo prova contraria, all’inosservanza dei compiti educativi e/o di sorveglianza gravanti sui genitori. E se è vero che l’inadeguatezza del grado di educazione del figlio minore ben può desumersi dalle stesse modalità del fatto illecito, nel senso che è dato ravvisare culpa in educando non solo quando i genitori non dimostrino di aver impartito al minore l’educazione e l’istruzione consone alle proprie condizioni sociali e familiari, ma anche quando dalle stesse modalità del fatto si evinca una educazione di per sé carente (Cass. 20 marzo 2012, n. 4395), non è vero il contrario, nel senso, cioè, che non è dato escludere la colpa dei genitori sulla base della mera considerazione delle modalità del fatto, in sè non particolarmente grave, perché un’opzione di tal genere condizionerebbe la sussistenza dell’onere della prova liberatoria alla gravità del fatto; il che è estraneo alla lettera e alla ratio legis.

Si tratta di evidenti errori di prospettiva, che si traducono in errori logico-motivazionali, ma anche in un errore di diritto, giacchè, nella considerazione che una prova diversa e ulteriore sarebbe “diabolica”, la Corte di appello ha, di fatto, esonerato i genitori dall’onere ad essi incombente.

In definitiva vanno rigettati il primo e il terzo motivo; vanno, invece, accolti il secondo e il quarto; ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e il rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione, perché, attenendosi ai principi sopra esposti, verifichi se nello specifico è stata assolta da G.D. e da G.A. la prova liberatoria, su di essi incombente ex art. 2048 cod. civ. in relazione al fatto ascritto alla colpa (concorrente) della figlia minore.

Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il terzo motivo di ricorso; accoglie il secondo e il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

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