La massima
Qualora la messa in circolazione dell’autoveicolo in condizioni di insicurezza (e tale è la circolazione senza che il trasportato abbia allacciato le cinture di sicurezza), sia ricollegabile all’azione od omissione non solo del trasportato, ma anche del conducente (che prima di iniziare e proseguire la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità della normali norme di prudenza e sicurezza), fra costoro si è formato il consenso alla circolazione medesima con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell’altro ed accettazione dei relativi rischi; pertanto si verifica un’ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell’azione produttiva dell’evento (diversa da quella in cui distinti fatti colposi convergano autonomamente nella produzione dell’evento). In tale situazione, deve ritenersi risarcibile, a carico del conducente del suddetto veicolo e secondo la normativa generale degli artt. 2043, 2056, 1227 c.c., anche il pregiudizio all’integrità fisica che il trasportato abbia subito in conseguenza dell’incidente, tenuto conto che il comportamento dello stesso, nell’ambito dell’indicata cooperazione, non può valere ad interrompere il nesso causale tra la condotta del conducente ed il danno, né ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE,
SENTENZA 15 maggio 2012, n.7533
Si costituivano i convenuti deducendo che la condotta del danneggiato era stata causa esclusiva dell’accaduto, in quanto C.B. si era sporto con tutto il busto fuori dal veicolo sul quale era trasportato.
Il Tribunale rigettava la domanda attrice.
La Corte d’Appello confermava la sentenza di primo grado.
Propone ricorso per cassazione M.B., con tre motivi e presenta memoria.
Gli intimati non svolgono attività difensiva.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia «Violazione o falsa applicazione delle norme ex 360, n. 3, c.p.c. con riferimento agli artt. 2054, 1° comma, c.c. e 41 c.p.; violazione dell’ art. 360 n. 5 c.p.c. per contraddittoria motivazione. »
Secondo parte ricorrente la Corte d’ Appello, prima di valutare se l’azione omessa (il non avere arrestato il veicolo o il non aver deviato verso il centro della strada oppure, ancor prima, il non aver imposto l’uso delle cinture di sicurezza) fu effettivamente idonea ad impedire l’evento (e quindi l’urto del B. contro il palo) avrebbe dovuto chiedersi se l’azione che ci si sarebbe potuta attendere dal conducente sarebbe stata di per sé idonea ad impedire l’evento.
A questa stregua la Corte avrebbe dovuto prima valutare l’esistenza del nesso causale tra l’omissione e l’evento e poi considerare se fosse stata sussistente una idonea prova liberatoria in termini di prevedibilità ed evitabilità dell’evento stesso.
Con il secondo motivo si lamenta « Violazione o falsa applicazione delle norme ex 360, n. 3, c.p.c., con riferimento agli artt. 2054, 1° comma, c.c. e 169 c.d.s.; violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, riguardante il tempo trascorso dalla percezione del pericolo da parte del D.M. e l’evento, e dunque riguardante la possibilità di porre in essere manovre eversive; erroneo superamento della presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054, 1° comma, c.c.».
Secondo parte ricorrente la Corte ha falsamente applicato il primo comma dell’art. 2054 c.c. ed ha violato l’art. 169 del codice della strada ritenendo, in maniera del tutto erronea e con motivazione contraddittoria, superata la presunzione dello stesso art. 2054 c.c.
Con il terzo motivo si denuncia «Violazione o falsa applicazione delle norme ex 360, n. 3 c.p.c. con riferimento agli e artt. 116 c.p.c. e 2733 c.c.; violazione dell’art. 360, n. 5 c.p.c. per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, riguardante il valore probatorio della confessione resa dal convenuto D.M.»
Secondo parte ricorrente la Corte ha completamente omesso di attribuire alla confessione del D.M. il giusto valore di prova legale di prova legale valorizzando invece le testimonianze, ma omettendo completamente ogni riferimento al valore confessorio delle dichiarazioni rese dal D.M. in sede di interrogatorio formale.
I tre motivi, che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, sono fondati.
Qualora infatti la messa in circolazione dell’autoveicolo in condizioni di insicurezza (e tale è la circolazione senza che il trasportato abbia allacciato le cinture di sicurezza), sia ricollegabile all’azione od omissione non solo del trasportato, ma anche del conducente (che prima di iniziare e proseguire la marcia deve controllare che essa avvenga in conformità della normali norme di prudenza e sicurezza), fra costoro si è formato il consenso alla circolazione medesima con consapevole partecipazione di ciascuno alla condotta colposa dell’altro ed accettazione dei relativi rischi; pertanto si verifica un’ipotesi di cooperazione nel fatto colposo, cioè di cooperazione nell’azione produttiva dell’evento (diversa da quella in cui distinti fatti colposi convergano autonomamente nella produzione dell’evento). In tale situazione, deve ritenersi risarcibile, a carico del conducente del suddetto veicolo e secondo la normativa generale degli artt. 2043, 2056, 1227 c.c., anche il pregiudizio all’integrità fisica che il trasportato abbia subito in conseguenza dell’incidente, tenuto conto che il comportamento dello stesso, nell’ambito dell’indicata cooperazione, non può valere ad interrompere il nesso causale tra la condotta del conducente ed il danno, né ad integrare un valido consenso alla lesione ricevuta, vertendosi in materia di diritti indisponibili (Cass., 11 marzo 2004, n. 4993).
Nel caso in esame la Corte d’Appello, dopo aver accertato il mancato uso delle cinture di sicurezza da parte del B., non poteva escludere il nesso di causalità tra l’omissione del conducente e l’evento lesivo subito dello stesso B.
L’uso della cintura avrebbe infatti impedito a quest’ultimo di sporgersi dal finestrino e di subire il relativo danno.
La corte territoriale ha poi ritenuto che sia l’imprevedibilità e la repentinità della condotta di C.B., sia il brevissimo lasso temporale intercorso fra l’uscita dall’abitacolo e la collisione erano insufficienti a consentire al Q. di ritrarre il ragazzo all’interno dell’auto. Tale circostanza per la Corte è decisiva considerando il fatto che il conducente della vettura, una volta intimato al trasportato di rientrare nell’abitacolo poteva aspettarsi un ravvedimento dello stesso.
La motivazione non può essere condivisa in quanto illogica e contraddittoria poiché esclude la responsabilità del conducente ritenendo che egli abbia fornito la prova liberatoria di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno.
Nella fattispecie in esame invece l’ampiezza della carreggiata era tale da consentire al conducente di allontanarsi dal margine destro senza invadere l’altra corsia.
Inoltre dalla dichiarazione confessoria riportata dal convenuto D.M. risulta che egli aveva visto sporgersi dal finestrino C.B. e lo aveva richiamato; dopo, guardando la strada aveva notato il palo dell’illuminazione collocato fuori dal marciapiedi ad una distanza inferiore a 300 metri.
In questo margine di tempo era possibile sterzare a sinistra o comunque mettere in atto una manovra d’emergenza per evitare l’impatto.
In conclusione, per tutte le ragioni che precedono, il ricorso deve essere accolto con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’Appello di Venezia che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese nel giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le stese del giudizio in cassazione
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