Ai fini della liquidazione del danno patrimoniale da perdita del lavoro domestico svolto da un familiare deceduto per colpa altrui, la prova che la vittima attendesse a tale attività può essere ricavata in via presuntiva ex art. 2727 cod. civ. dalla semplice circostanza che non avesse un lavoro, mentre spetta a chi nega l’esistenza del danno dimostrare che la vittima, benché casalinga, non si occupasse del lavoro domestico.
In caso di morte di una casalinga verificatasi in conseguenza dell’altrui fatto dannoso, i congiunti conviventi hanno diritto al risarcimento del danno, quantificabile in via equitativa, subito per la perdita delle prestazioni attinenti alla cura ed all’assistenza da essa presumibilmente fornite, essendo queste prestazioni, benché non produttive di reddito, valutabili economicamente, ciò anche nell’ipotesi in cui la stessa fosse solita avvalersi di collaboratori domestici, perché comunque i suoi compiti risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d’opera dipendente
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
SENTENZA 10 gennaio 2017, n.238
Ritenuto in fatto
Ca.Gi. , in proprio e nella qualità di esercente la patria potestà sui minori c.g. e G. , ha citato in giudizio c.m. , in proprio e nella qualità di esercente la patria potestà sul minore Ce.An. , per ottenere il risarcimento dei danni patiti sia per il decesso della moglie O.C. , che per i danni riportati in proprio e dalla figlia g. a seguito di un incidente con l’autovettura guidata da Ce.Da. . Esponeva che si trovava alla guida dell’autovettura di sua proprietà, con a bordo la moglie e la figlia, quando questa venne travolta dall’autovettura guidata da Ce.Da. , che a causa dell’elevata velocità di guida, sbandando, invadeva l’opposta corsia di marcia, decedendo egli stesso a seguito dello scontro.
Si costituiva in giudizio c.m. , quale erede di Ce.Da. , in proprio e per il figlio minore Ce.An. , instando per il rigetto della domanda.
Si costituiva la società Cattolica Assicurazioni, assicuratrice dell’”autovettura del Ce. , chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale dichiarava la responsabilità esclusiva di Ce.Da. e condannava gli eredi al risarcimento dei danni liquidati nella complessiva somma di Euro 639.018,29 oltre accessori; rigettava la richiesta di danno patrimoniale sofferto dai congiunti per la perdita della moglie e madre sul rilievo della mancanza di prova. Avverso la sentenza di primo grado proponeva impugnazione C.G. , divenuto nelle more maggiorenne, e ricorso incidentale Ca.Gi. in proprio e per la figlia minore g. .
Resisteva c.m. in proprio e nella qualità e proponeva appello incidentale.
Resisteva la Società Cattolica Assicurazioni e proponeva appello incidentale.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata l’8 ottobre 2013, ha rigettato tutti gli appelli, compensando le spese del secondo grado.
Avverso questa decisione propone ricorso C.G. e ricorso incidentale Ca.Gi. in proprio e quale esercente la patria potestà sulla figlia g. .
Resiste con controricorso c.m. e presenta memoria ex art. 3787 c.p.c..
Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale la società Cattolica Assicurazioni.
Si difendono con controricorso al ricorso incidentale C.G. e Ca.Gi. , in proprio e nella qualità.
Entrambi presentano memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
Preliminare è l’esame del ricorso incidentale della società Cattolica con cui si denunzia violazione degli articoli 348, 347, 165 e 350 c.p.c. in relazione all’articolo 360 primo comma n. 3 c.p.c. e omesso esame del verbale dell’udienza di prima comparizione del giudizio di appello in relazione all’articolo 360 primo comma n. 5 c.p.c..
Sostiene la società ricorrente che l’appello era improcedibile in quanto è stato depositato l’originale dell’atto di citazione soltanto all’udienza di conclusioni del 2 ottobre 2013, dopo espressa eccezione del difensore della società assicuratrice.
Secondo il ricorrente la motivazione della Corte d’appello, che ha ritenuto la procedibilità della impugnazione, è errata nel suo presupposto materiale, costituito dall’asserita, ma mai avvenuta, produzione dell’originale dell’atto di appello nell’udienza di prima comparizione svoltasi il 19 marzo 2008.
Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha respinto l’eccezione di improcedibilità affermando che l’originale dell’atto di appello è stato esibito nella prima udienza ed ha consentito alla Corte di verificare la ritualità della costituzione dell’appellante.
Tale motivazione è conforme anche ai principi di cui da ultimo affermati dalla sentenza Cass. S.U. n. 16598 del 5-8-2016 in base ai quali la tempestiva costituzione dell’appellante con la copia dell’atto di citazione (cd. velina) in luogo dell’originale non determina l’improcedibilità del gravame ai sensi dell’art. 348, comma 1, c.p.c., ma integra una nullità per inosservanza delle forme indicate dall’art. 165 c.p.c., sanabile, anche su rilievo del giudice, entro l’udienza di comparizione di cui all’art. 350, comma 2, c.p.c. mediante deposito dell’originale da parte dell’appellante. Occorre, i dunque, affermare che, dopo una costituzione tempestiva, ma carente sotto il profilo dell’osservanza delle forme, l’appellante può compiere, di sua iniziativa, le attività che servano ad integrarle successivamente (ad esempio mediante attività di deposito ulteriore) e fino all’udienza di cui al secondo comma dell’art. 350 c.p.c.. Queste attività realizzano una sanatoria spontanea dei vizi formali, delle nullità, che la sua – pur tempestiva – costituzione presentava.
3.La ricorrente denunzia che la corte d’appello ha ritenuto la regolare costituzione dell’appellante sull’erroneo presupposto materiale costituito dall’asserita ma mai avvenuta produzione dell’originale nell’udienza di prima comparizione.
Tale motivazione prospetta un vizio di natura revocatoria inammissibile in questa sede.
Con il motivo rubricato con la lettera A del ricorso principale C.G. denunzia violazione dell’art. 342 c.p.c e degli artt. 2043, 2054, 2058, 2059, 1223, 1226 c.c., degli artt. 3 e 32 Cost., violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c..
Oggetto dell’impugnazione sono i punti 3.8 e 3.8.1 della sentenza impugnata con i quali il giudice d’appello ha dichiarato inammissibile, perché privo di specificità, il motivo di impugnazione avente ad oggetto l’entità della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di congiunto.
Con il motivo rubricato con la lettera B il ricorrente impugna il punto 3.9 e 3.9.1 della sentenza relativi al rigetto della domanda di danno da perdita dell’integrità familiare.
6.1 due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico- giuridica che li lega ed il primo(A) è fondato, mentre il secondo(B)deve essere rigettato.
Il giudice d’appello ha ritenuto non specifico il motivo di impugnazione relativo all’entità del danno da perdita di congiunto perché il ricorrente, nel far riferimento alla liquidazione di cui alle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma, aveva omesso l’indicazione degli specifici parametri – quali convivenza, grado di parentela, età al momento della perdita ed altro – che il giudice di primo grado avrebbe omesso di considerare nel caso di specie.
In ordine al punto 3.9 – 3.9.1 la Corte d’appello ha ritenuto infondato il motivo di impugnazione in quanto la domanda di danno da perdita dell’integrità familiare risultava assorbita dalla liquidazione del danno extrapatrimoniale da perdita di rapporto parentale.
Sostiene il ricorrente che il giudice d’appello erroneamente aveva dichiarato inammissibile per difetto di specificità il motivo avente ad oggetto l’entità della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di congiunto, avendo egli specificamente contestato che la liquidazione effettuata dal primo giudice nella misura di Euro 150.000 per ciascuno dei figli al momento della decisione era riduttiva; non avendo il primo giudice considerato che al momento del decesso la madre aveva 38 anni e la figlia g. solo 5 anni e il figlio G. 12; che in applicazione delle tabelle del 2007 del Tribunale di Roma, le quali potevano costituire un valido punto di riferimento, ai figli minori conviventi con la madre al tempo del decesso spettata per ciascuno la somma di Euro 216.000; che si doveva tenere conto del rapporto di filiazione, dell’età dei soggetti coinvolti, della convivenza, della violenza e repentinità dell’accaduto, delle esigenze dei superstiti rimaste definitivamente compromesse.
Il ricorrente afferma che comunque, anche a voler considerare unitariamente il danno non patrimoniale da perdita di rapporto parentale, la liquidazione sarebbe ugualmente non corretta e non satisfattiva del danno subito.
Questa Corte ritiene che è necessario ribadire l’unitarietà della nozione di danno non patrimoniale di cui alla nota sentenza Cass. Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26972,che ha affermato che la perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo, ma rappresenta un aspetto – del quale tenere conto, unitamente a tutte le altre conseguenze, nella liquidazione unitaria ed omnicomprensiva – del danno non patrimoniale. Ne consegue che è inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione, al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito costituente reato, del risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, del danno morale (inteso quale sofferenza soggettiva), ma che in realtà non costituisce che un aspetto del più generale danno non patrimoniale.
L’unitarietà non esclude certo una separata considerazione dei vari effetti del danno, ma esige che tutte le componenti siano valutate, sia pure una sola volta, in modo complessivo: da ultimo, v. Cass. 8 maggio 2015, n. 9320.
Ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di persona cara, costituisce indebita duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale – non altrimenti specificato – e del danno da perdita del rapporto parentale, poiché la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita, e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita, altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ma unitariamente ristorato Cass. n. 25351 del 17/12/2015.
Quindi bene ha fatto il giudice d’appello a dichiarare assorbito il danno non patrimoniale da perdita dell’integrità familiare nella liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del congiunto.
Al di là della diversità delle denominazioni usate, il ricorrente non indica elementi specificamente caratterizzanti la differenza ontologica esistente fra il danno da perdita di congiunto e quello da perdita dell’integrità familiare, riferendosi entrambi allo stesso effetto di danno riferibile alla scomparsa di una persona cara che è componente del nucleo familiare.
Dalla lettura dell’atto di appello, come riportato anche in ricorso, si rileva che la censura formulata sull’entità del danno da perdita di congiunto è sufficientemente specifica in quanto indica i punti della sentenza impugnati, la somma liquidata dal primo giudice e quella invece richiesta, le condizioni personalizzanti indicate e non valutate dal giudice di appello, il riferimento alle tabelle in uso all’epoca della decisione presso la Corte di appello di Roma.
La motivazione della Corte d’appello fonda la inammissibilità del motivo sulla omessa indicazione di parametri che la Corte avrebbe dovuto conoscere per utilizzare le tabelle in uso presso il Tribunale di Roma nel 2007, quando invece tutti i parametri utili risultano indicati dall’atto di appello e comunque risultano palesemente dai fatti di causa: la giovane età della vittima,la giovanissima età dei figli, la composizione del nucleo familiare, il rapporto di convivenza.
Il motivo A del ricorso principale deve essere accolto e la sentenza cassata sul punto con rinvio al giudice di secondo grado che dovrà provvedere ad esaminare il motivo di impugnazione relativo all’entità della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di congiunto.
Il motivo B è rigettato.
Il motivo rubricato con la lettera C del ricorso principale riguarda l’impugnazione del punto 3.11 della sentenza di appello.
Si deduce la violazione dell’art. 342 c.p.c e degli artt. 2043, 2054 2058, 2059, 1223, 1226 c.c. 3 e 32 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; violazione artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; omesso esame della c.t.u. di primo grado in relazione al danno riportato C.G. ex art. 360 n. 5 c.p.c.. Il motivo ha ad oggetto la mancata liquidazione da parte del giudice di primo grado del danno biologico per invalidità permanente al 15% patito da C.G. , del danno morale calcolato sulla base della metà del danno biologico, del danno emergente patito per la necessità di intraprendere sedute di psicoterapia come indicato dal c.t.u..
Tale motivo è stato dichiarato inammissibile dal giudice d’appello perché privo di specificità.
La decisione di inammissibilità del motivo deve essere confermata se pure con una ulteriore specificazione.
La sentenza di primo grado ha liquidato la somma di Euro 90.000,00 per danno biologico iure proprio agli eredi per il decesso della moglie e madre.
A fronte di una espressa condanna contenuta nella sentenza di primo grado al risarcimento del danno biologico iure proprio per gli eredi nella misura di Euro 90.000,001 con il motivo di ricorso, in modo non congruente, si denunzia l’omessa pronunzia della liquidazione del danno biologico iure proprio senza ulteriormente chiarire il contenuto della censura.
Per il profilo di ricorso relativo alla omessa liquidazione del danno morale e del danno emergente deve confermarsi la statuizione di inammissibilità per mancanza di specificità in quanto il motivo si sostanzia nella semplice riproposizione della domanda.
Con i motivi rubricati 1.1 e 1.2 dell’impugnazione incidentale di Ca.Gi. , in proprio ed anche per la figlia g. , si censura il punto 3.8 e 3.8.1 e 3.9 – 3.9.1 della sentenza, denunziando violazione dell’art. 342 c.p.c. e degli artt. 2043, 2054 2058, 2059, 1223, 1226 c.c. degli artt. 3 e 32 Cost., violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c..
I motivi di ricorso ripropongono nella sostanza lo stesso contenuto del ricorso principale di C.G. in relazione alla dichiarazione di inammissibilità dei motivi di impugnazione relativi al danno da perdita di congiunto ed all’omesso accoglimento della domanda di danno da perdita dell’integrità familiare.
Il motivo 1.1. deve essere accolto ed il motivo 1.2 deve essere rigettato con la stessa motivazione di cui in precedenza per il ricorso principale a cui ci si riporta.
Con il motivo rubricato 1.3 si impugna il punto 3.11 della sentenza si censura la statuizione relativa all’inammissibilità del motivo di impugnazione avente ad oggetto il danno biologico, il danno morale ed il danno per spese mediche sostenute per la figlia c.g. .
Il motivo è stato formulato con la stessa tecnica e contiene le medesime censure proposte da C.G. e deve essere rigettato con la stessa motivazione di cui al rigetto del motivo corrispondente del ricorso principale.
Con il motivo di impugnazione rubricato 1.4 si censurano i punti punto 3.2., 3.2.1, 3.4, 3.5, 3.6, 3.10, 3.10.1.
Il ricorrente censura la dichiarazione di inammissibilità dei motivi di appello con i quali egli aveva richiesto l’adeguamento delle somme riconosciute a titolo di risarcimento dei danni ai valori vigenti secondo le tabelle del 2007, anno di pubblicazione della sentenza di primo grado, e ciò in relazione alle spese di rottamazione dell’auto incidentata punto 3.2; alla richiesta di adeguamento delle somme per spese mediche punto 3.5; di adeguamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno morale a causa della morte della moglie punto 3.4; per il rimborso delle spese funerarie punto 3.6.
In relazione ai punti 3.10,3.10.1 il ricorrente censura la decisione che ha dichiarato infondata per mancanza di prova la richiesta risarcitoria per i danni patrimoniali subiti per il decesso della moglie che svolgeva attività di casalinga.
Il motivo è fondato solo in relazione all’impugnazione dei punti 3.10,3.10.1 della sentenza.
Infatti questa Corte ha affermato che ai fini della liquidazione del danno patrimoniale da perdita del lavoro domestico svolto da un familiare deceduto per colpa altrui, la prova che la vittima attendesse a tale attività può essere ricavata in via presuntiva ex art. 2727 cod. civ. dalla semplice circostanza che non avesse un lavoro, mentre spetta a chi nega l’esistenza del danno dimostrare che la vittima, benché casalinga, non si occupasse del lavoro domestico. Cass. sent. n. 22909 del 13/12/2012.
In caso di morte di una casalinga verificatasi in conseguenza dell’altrui fatto dannoso, i congiunti conviventi hanno diritto al risarcimento del danno, quantificabile in via equitativa, subito per la perdita delle prestazioni attinenti alla cura ed all’assistenza da essa presumibilmente fornite, essendo queste prestazioni, benché non produttive di reddito, valutabili economicamente, ciò anche nell’ipotesi in cui la stessa fosse solita avvalersi di collaboratori domestici, perché comunque i suoi compiti risultano di maggiore ampiezza, intensità e responsabilità rispetto a quelli espletati da un prestatore d’opera dipendente. Cass., Sentenza n. 17977 del 24/08/2007.
Si osserva che la giurisprudenza di legittimità pacificamente ha dato rilievo dal punto di vista del danno patrimoniale all’attività svolta dalla donna nell’ambito domestico. In relazione alla prova si osserva che questa può essere fornita anche in via presuntiva.
Gli altri profili del motivo sono inammissibili perché non censurano adeguatamente la valutazione di non specificità della Corte di appello e fanno riferimento incomprensibilmente anche per i danni da rottamazione autovettura, spese funerarie e spese mediche alle tabelle in vigore presso il Tribunale di Roma nel 2007 dei cui valori chiedono l’applicazione.
La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Roma, che provvederà alla liquidazione anche delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara parte inammissibile, parte (Ndr: testo originale non comprensibile) il ricorso incidentale propost4 dalla società Cattolica Assicurazioni; accoglie in parte il ricorso principale di C.G. in relazione al motivo rubricato con la lettera A; accoglie in parte in ricorso incidentale di Ca.Gi. ,in proprio e quale esercente la patria potestà sulla figlia Catasta Giulia in relazione ai motivi rubricati 1.1. e 1.4, quest’ultimo in relazione ai punti 3.10 e 3.10.1 della sentenza; rigetta nel resto. Cassa e rinvia alla Corte di appello di Roma in diversa composizione che provvederà anche alle spese del giudizio di cassazione
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