Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza del 9 gennaio 2013, n. 309
Svolgimento del processo
I.P.C. con atto di citazione del 13 dicembre 2001 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Trento L.C. e, premesso di essere comproprietaria della palazzina ed. (…) , esponeva che il convenuto nell’ambito di ristrutturazione dell’edificio antistante al “suo aveva” modificato la posizione di due camini posti sulla falda del tetto in modo che la distanza di uno di essi dalla sua casa era di circa quattro metri. Assumeva che una volta attivati i camini il fumo che fuoriusciva da quello più vicino all’abitazione dell’attrice aveva invaso in modo insopportabile il terrazzo e le camere di quest’ultima.
Chiedeva, pertanto, che previo accertamento dell’insufficiente distanza dalla canna fumaria dalla proprietà dell’attrice e l’intollerabilità delle immissioni di fumo fosse disposto l’arretramento di tale manufatto con la condanna del convenuto al risarcimento dei danni.
Si costituiva il C. , contestava l’applicabilità dell’art. 890 cc. per mancanza di presupposti normativi ed osservava che la canna fumaria veniva utilizzata in modo assolutamente normale e, comunque eccepiva la prescrizione dei diritti azionati dall’attrice e l’usucapione della servitù corrispondente alla situazione in essere.
Il Tribunale di Trento con sentenza n. 394 del 2004 respingeva le domande attoree e condannava l’attrice al pagamento delle spese di lite.
Avverso tale sentenza proponeva appello la P.C. lamentando che, erroneamente il giudice di primo grado aveva ritenuto: a) che non fossero regolamentate le distanze dei camini dalle costruzioni; b) che le immissioni di fumo fossero tollerabili; c) che, ove i camini fossero rimasti nella posizione originaria, avrebbero emesso fumi che avrebbero, comunque invaso la proprietà dell’appellante.
Si costituiva C. chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte di Appello di Trento con sentenza n. 201 del 2006 rigettava l’appello. Secondo la Corte trentina: a) posto che i fondi di entrambi le parti non erano confinanti in quanto tra essi vi è una strada pubblica, il C. non era tenuto al rispetto delle norme sulle distanze di cui all’art. 873 cc.; b) correttamente il giudice di primo grado aveva escluso che lo spostamento del manufatto in altro punto del tetto potesse portare qualche vantaggio all’appellante, né andava dimenticato che la stessa parte appellante aveva riconosciuto il diritto del C. al mantenimento dei camini nella posizione preesistente.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da P.C.I. per due motivi, illustrati con memoria. C.L. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo P.C. lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 879 cc. e dell’art. 6.15 del DPR n. 1931 del 1970, oggi sostituito dall’art. 2.9 dell’Allegato IX a Parte V del Dlgs n. 152 del 2006 “Norme in materia ambientale” che regola le distanze dei camini dalle costruzioni vicine (art. 360 n. 3 cpc).
Avrebbe errato la Corte di Trento,secondo la ricorrente, per aver applicato alla fattispecie in esame la norma di cui all’art. 879 cc. laddove prevede che le norme relative alle distanze non si applicano alle costruzioni che si fanno in confine con le piazze e le vie pubbliche, anche alle distanze dettate dal DPR n. 1391 del 1970, relative alle distanze a salvaguardia dell’inquinamento atmosferico. Piuttosto, ritiene la ricorrente, sia il DPR n. 1391 del 1979 che il DLgs n. 152 del 2006 dettano norme in materia ambientale che non subiscono il limite posto dall’art. 879 cc. considerato che la normativa di cui all’art. 879 cc. riguarda esclusivamente le distanze previste dall’art. 873 cc.
1.1.- Il motivo è infondato.
Va qui evidenziato che il quesito proposto dal ricorrente presenta profili di genericità considerato che, secondo la normativa di cui all’allora vigente (al tempo in cui è stato proposto il ricorso) art. 366 bis cod. proc. civ., il ricorrente, attraverso il quesito, doveva domandare alla Corte se, in una fattispecie, come quella contestualmente e sommariamente descritta nel fatto, si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata. Epperò, il quesito proposto dall’attuale ricorrente non contiene un richiamo alla disciplina dettata dall’art. 890 cc. ed al richiamo della norma all’obbligo di osservare le distanze previste dal DPR n. 1391 del 1970.
Tuttavia il motivo è infondato, perché il DPR. N. 1391 del 1970 costituisce regolamento per l’esecuzione della legge 13 luglio 1966 n. 615 recante provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico (e non un regolamento funzionale a preservare i fondi vicini da ogni danno alla solidità, salubrità e sicurezza) e le sue disposizioni si applicano, come espressamente previsto dall’art. 1 della legge citata, agli impianti termici situati nei comuni con popolazione superiori a settantamila abitanti e nei comuni che presentano caratteristiche industriali, urbanistiche, geografiche e meteorologiche particolarmente sfavorevoli nei riguardi dell’inquinamento atmosferico. Pertanto, la normativa di cui si dice non andava applicata a Castel Madruzzo, località ove esiste la canna fumaria, oggetto della controversia, perché è frazione del Comune di Lasino e la popolazione di tale Comune è di 1283 abitanti, notevolmente inferiore alla popolazione (settantamila abitanti) considerata dalla normativa in esame, né nel corso del giudizio di merito le parti hanno presupposto o evidenziato caratteristiche industriali, urbanistiche, geografiche e meteorologiche del Comune di Lasino, particolarmente sfavorevoli nei riguardi dell’inquinamento atmosferico.
2. – Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione riguardo alla tollerabilità dei fumi e delle immissioni provenienti dal camino di casa C. (art. 360 n. 5 cpc). Secondo la ricorrente, la Corte di Appello di Trento non avrebbe risposto alla doglianza della signora P. circa la tollerabilità delle immissioni di fumo. Con l’atto di appello – chiarisce la ricorrente – essa stessa ricorrente aveva lamentato che l’accertamento sulla tollerabilità dei fumi non fosse stato in realtà compiuto dal CTU, il quale in sostanza si era limitato ad affermare che le immissioni erano inevitabili, ma non aveva chiarito se fossero anche tollerabili, epperò, la Corte trentina a tale lamentela non avrebbe dato la benché minima risposta.
2.1 – Il motivo è fondato.
La Corte di Trento, richiamandosi alla CTU, ha chiarito che i fumi emessi dal camino in oggetto, al servizio di una stufa, che viene alimentata a legna non erano idonei per la parte in cui invadevano per la presenza di vento la proprietà della sig.ra P. ad arrecare danno alla salubrità e alla sicurezza.
Tuttavia, la Corte trentina non ha tenuto conto che in primis avrebbe dovuto accertare la denunciata intollerabilità delle immissioni rapportate al diritto alla salute nonché al diritto ad un ambiente salubre della persona che subiva le immissione di cui si dice.
Come insegna questa Suprema Corte cui fa eco la dottrina più avvertita, l’art. 844, secondo comma, cod. civ., alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, ponendo alle immissioni il limite della normale tollerabilità ha inteso tutelare il diritto alla salute ed il diritto ad un ambiente salubre.
La Corte di merito, avrebbe dovuto, pertanto, effettuare una valutazione concreta e media tra i contrastanti diritti dei proprietari dei fondi oggetto di controversia, tenendo conto delle condizioni dei luoghi, della natura, dell’entità e della causa delle immissioni, delle necessità generali ed assolute, quotidiane e civili, della umana coesistenza e, sussidiariamente, anche della priorità dell’uso. Né esaustive sono le affermazioni contenute nella sentenza impugnate secondo cui il Tribunale aveva dichiarato che le immissioni di fumo di cui si dice erano inevitabili, ma anche tollerabili o l’espressione secondo cui “orbene l’art. 844 cc. prevede che nella valutazione della normale tollerabilità si tenga conto delle condizioni dei luoghi e del c.d. preuso” perché sono (affermazioni) generiche non rapportate alla situazione concreta posta all’attenzione del Giudice.
In definitiva, va rigettato il primo motivo del ricorso e accolto il secondo primo motivo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Trento, anche per il regolamento delle spese relativo al presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo del ricorso e accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Trento anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.
Depositata in Cancelleria il 09.01.2013
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