La massima
Chi tenta un furto senza realizzare la sottrazione della cosa e commette immediatamente dopo una violenza contro la persona, con la finalità di assicurarsi l’impunità in relazione al tentativo di furto appena commesso, dovrà rispondere di tentativo di rapina impropria, in quanto l’azione violenta risulta strumentale al tentativo di impossessamento della cosa mobile altrui e resta in essa assorbita
Corte di Cassazione
sezione II
sentenza del 30 ottobre 2012, n. 42374
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 25/1/2011, il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Savona dichiarava D.G. colpevole dei reati di tentato furto in abitazione e violenza privata, così diversamente qualificati i fatti contestati come tentativo di rapina impropria aggravata ai sensi degli artt. 110, 56, 628 commi 1, 2, 3 nn. 1, 3, 3-bis cod. pen., ed, applicata la diminuente per il vizio parziale di mente ritenuta equivalente alla recidiva, ritenuta la continuazione e la diminuente per la scelta del rito, lo condannava alla pena di mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro 600,00 di multa.
2. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Genova, sollevando il seguente motivo di gravame: violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. dovendosi ritenere sussistente il tentativo di rapina impropria quando l’agente, dopo avere compiuto atti idonei all’impossessamento della cosa altrui che si sono arrestati per cause indipendenti dalla sua volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è fondato.
La questione relativa alla configurabilità del tentativo di rapina impropria nel caso in cui la condotta di sottrazione della cosa non venga completata per cause indipendenti dalla volontà dell’agente è stata definitivamente risulta dalle sezioni unite di questa Corte, con recentissima decisione che il Collegio ritiene di dovere condividere integralmente (sez. U n. 10 del 19/4/2012, Reina).
Il caso di specie attiene proprio al principio di diritto affermato dalle sezioni unite nella citata decisione: difatti dall’imputazione risulta che il ricorrente, dopo avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di quanto detenuto dalla persona offesa all’interno della propria stanza in un istituto ove alloggiava, nel darsi alla fuga, usava violenza nei confronti della stessa consistita nello spintonarlo, al fine di conseguire l’impunità. E le sezioni unite hanno fatto proprio l’orientamento maggioritario in base al quale si è da tempo ritenuto configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad impossessarsi di res altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità.
Nel fare ciò viene adeguatamente confutato l’argomento letterale sostenuto dalla gran parte della dottrina derivante dalla lettura dell’art. 628 cpv. cod. pen. in base al quale la tesi della configurabilità del tentativo di rapina impropria si porrebbe in contrasto con il principio di legalità e con il divieto di analogia. Il ragionamento parte da una fondamentale premessa, condivisa dalla dottrina, circa la natura plurioffensiva del reato di rapina e la sua caratteristica di reato complesso: all’azione di sottrazione ed impossessamento tipica del furto si aggiunge quella della violenza alla persona o della minaccia.
Nel genere rapina vengono poi individuate due diverse fattispecie sottoposte allo stesso trattamento sanzionatorio: la rapina propria e quella impropria; nella prima la violenza o la minaccia rappresentano il mezzo, che potrà essere precedente o concomitante all’impossessamento, attraverso il quale si realizza l’offesa al patrimonio; nella seconda, invece, la violenza o la minaccia sono volte ad assicurare all’agente il possesso della cosa sottratta o, in alternativa, l’impunità. Si passa, quindi, a fornire una precisa e condivisibile lettura del dato letterale contenuto nell’art. 628 comma 2 cod. pen. “…immediatamente dopo la sottrazione”, chiarendo che con esso il legislatore si è inteso riferire alla necessità di un collegamento logico temporale tra la condotta di aggressione al patrimonio e quella di aggressione alla persona che sia tale da non interrompere il nesso di contestualità della complessiva azione posta in essere. Ciò, appunto, giustifica la previsione di uno stesso trattamento sanzionatorio per la rapina propria e per quella impropria, prescindendosi dall’essere la relativa condotta consumata o solo tentata.
Con riferimento poi alla tematica del delitto complesso, si ritiene di dovere aderire all’opinione largamente maggioritaria in base alla quale il tentativo di delitto complesso è configurabile sia quando non sia stata ancora raggiunta la compiutezza né dell’una né dell’altra componente, sia quando sia stata raggiunta la consumazione dell’una e non quella dell’altra.
Di conseguenza chi tenta un furto senza realizzare la sottrazione della cosa e commette immediatamente dopo una violenza contro la persona, con la finalità di assicurarsi l’impunità in relazione al tentativo di furto appena commesso, dovrà rispondere di tentativo di rapina impropria, in quanto l’azione violenta risulta strumentale al tentativo di impossessamento della cosa mobile altrui e resta in essa assorbita. E da ultimo vengono confutate quelle ragioni di politica criminale in forza delle quali non si giustificherebbe l’applicazione del regime sanzionatorio della rapina rispetto a fatti che si ritiene non siano dotati di un così significativo disvalore. Viceversa è proprio frutto di una valutazione del legislatore la scelta di riconoscere un maggior disvalore sociale ad un’azione violenza o minacciosa comunque connessa ad un’aggressione al patrimonio, prescindendo dal fatto che l’evento si sia o meno realizzato.
4. La sentenza impugnata deve essere, per le considerazioni sopra esposte, annullata con rinvio al tribunale di Savona per nuovo esame. Al riguardo, in base a quanto previsto dall’art. 173, comma 2 disp. att. cod. proc. pen., il giudice di rinvio, dovrà attenersi al seguente principio di diritto: è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco alla sottrazione della cosa altrui, adoperi violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l’impunità.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Genova.
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