Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza del 21 settembre 2012, n. 36408

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 28.7.11 il Tribunale dell’Aquila, sezione riesame, annullava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 27.6.11 dal GIP presso il Tribunale della stessa sede nei confronti di A.F. , indagato, in concorso con altri, per aver utilizzato in transazioni commerciali carte di credito contraffatte, facendo uso di codici fraudolentemente captati.
Ritenevano i giudici del riesame che, pur sussistendo indizi di colpevolezza, non esistessero però le esigenze cautelari ravvisate nell’ordinanza genetica, poiché l’indagato svolgeva una normale attività lavorativa e non aveva dimostrato una particolare professionalità criminosa nell’impiego degli strumenti telematici ed informatici se non nella captazione dei dati necessari alla contraffazione dei mezzi di pagamento.
Ricorreva il PM presso il Tribunale dell’Aquila contro detta ordinanza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti:
a) travisamento dei fatti e motivazione apparente e di stile, atteso che il provvedimento non aveva fatto altro che esprimere argomentazioni identiche a quelle già spese riguardo alla posizione degli altri 8 indagati;
b) erronea applicazione dell’art. 274 c.p.c., non avendo la gravata ordinanza considerato che gli indagati – fra cui il F. – altro non erano che compiacenti esercenti di esercizi commerciali che consentivano agli associati di usare carte clonate e, quindi, esercitavano un ruolo criminale attivo e consapevole, reiterato e non episodico, nel senso che mettevano a disposizione di un’organizzazione di livello transnazionale il proprio POS (acronimo di Poim Of Sale) per consentire l’utilizzo di carte di credito contraffatte recando danni di notevole entità; infine, il Tribunale non aveva considerato che le esigenze cautelari erano connesse proprio alla possibilità dell’indagato di concedere il proprio POS per l’utilizzo delle carte clonate e non già all’attività di captazione dei codici (condotta contestata ad altri indagati).

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e deve essere accolto, come già disposto da questa S.C. in relazione ad altri analoghi ricorsi, sempre proposti dal PM presso il Tribunale di L’Aquila in relazione ad altri coindagati (cfr. Cass. n. 15117/12 e Cass. n. 152/2012).
Preliminarmente va ribadito che non spetta a questa S.C. il potere di valutare nuovamente gli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate e lo spessore degli indizi, né quello di riconsiderare le caratteristiche soggettive dell’indagato, le esigenze cautelari e le misure ritenute adeguate, trattandosi di delibazioni proprie del giudizio di merito.
Il controllo di legittimità sui punti devoluti è perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile in sede di legittimità: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significativa che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr, ex aliis, Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep. 16.06.1995 rv 201840).
Orbene, nel caso di specie il Tribunale, nell’argomentare circa l’insussistenza di esigenze cautelari in ordine al pericolo di reiterazione del reato, è incorso in una manifesta illogicità laddove ha motivato l’assenza di tale pericolo sul rilievo che oggetto di contestazione nel capo di imputazione è l’impiego dei codici fraudolentemente captati e non anche la professionalità nell’impiego di strumenti telematici.
Ora, all’indagato si contesta l’aver concesso l’utilizzo del POS dell’esercizio commerciale in sua titolarità per la commissione dei reati. Tale condotta è resa possibile proprio dall’attività economica svolta dall’indagato ed essa si combina con la condotta di fraudolenta captazione dei codici, quale necessario presupposto per l’utilizzo illegale degli si stessi, secondo l’addebito sollevato anche nei confronti di altri indagati.
Su queste considerazioni, appare evidente come la motivazione sull’insussistenza delle esigenze cautelari ex art. 274 c.p.p., lett. c) è compromessa da illogicità manifesta.

Ne discende la necessità di annullare l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di L’Aquila per nuovo esame.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione. Seconda Sezione Penale, annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di L’Aquila per nuovo esame.

Depositata in Cancelleria il 21.09.2012

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