Cassazione toga nera

Suprema Corte di Cassazione

sezione II
sentenza 4 febbraio 2014, n. 5553

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Antonio – Presidente
Dott. DAVIGO Piercamil – Consigliere
Dott. RAGO G. – rel. Consigliere
Dott. CARRELLI P.D.M. Roberto M – Consigliere
Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
su ricorso proposto da:
(OMISSIS) nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 10/05/2013 del Tribunale del Riesame di Firenze;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott.ssa Elisabetta Cesqui che ha concluso per il rigetto.
FATTO E DIRITTO
1. Con ordinanza del 10/05/2013, il Tribunale del Riesame di Firenze confermava il decreto con il quale, in data 01/03/2013, il giudice per le indagini preliminari del tribunale della medesima citta’ aveva disposto il sequestro preventivo della somma di euro 10.381.721,17 ovvero di beni per un valore corrispondente, nei confronti di (OMISSIS) indagato del reato di cui agli articolo 110 e 640 bis c.p..
2. Avverso la suddetta ordinanza, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione dell’articolo 321/2 cod. pen. nella parte in cui il Tribunale aveva ritenuto di far propria la tesi secondo la quale, in virtu’ del principio solidaristico, ogni imputato risponde di tutto il profitto conseguito a seguito della consumazione del reato, salvo, poi, il regresso nei confronti dei concorrenti.
Il ricorrente, con vari argomenti, critica la suddetta tesi chiedendo che la questione sia rimessa alle SSUU.
3. Il ricorso, nei termini in cui la doglianza e’ stata dedotta, e’ infondato.
Il ricorrente ha sollevato, nuovamente, la questione se, in caso di reato commesso da piu’ persone, il sequestro preventivo (preordinato alla successiva confisca) debba essere disposto ed eseguito, per l’intero importo relativo al prezzo o al profitto del reato, in danno di uno o piu’ coindagati, nonostante le somme illecite siano state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati, ovvero se debba essere disposto in danno di ogni singolo coindagato solo per la somma da ciascuno dei medesimi incamerata.
La questione, non nuova, e’ dibattuta nell’ambito di questa Corte di legittimita’.
Secondo un primo cospicuo filone giurisprudenziale, “e’ legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’articolo 322 ter c.p., eseguito in danno di un concorrente del reato di cui all’articolo 316 bis c.p., per l’intero importo relativo al prezzo o profitto dello stesso reato, nonostante le somme illecite siano state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati”: Cass. 15445/2004 riv 228750 – Cass. 30729/2006 riv 234849 – Cass. 31989/2006 riv 235128 – Cass. 10838/2006 riv 235832 – Cass- 9786/2007 riv 235842 – Cass. 45389/2008 riv 241974 – Cass. 5401/2009 riv 242777 – Cass. 18536/2009 riv 243190 – Cass. 33409/2009 riv 244839.
A tutt’altre conclusioni, giunge un altro indirizzo giurisprudenziale, secondo il quale, invece, “in caso di pluralita’ di indagati, concorrenti nel medesimo reato, il sequestro preventivo funzionale alla confisca, compresa quella per equivalente ai sensi dell’articolo 322 ter c.p.p., non puo’ eccedere, per ciascuno dei concorrenti, la misura del profitto allo stesso attribuibile”: Cass. 31690/2007 – Cass. 34878/2007 – Cass. 35120/2007 – Cass. 10690/2009 riv 243189.
Questa Corte, ritiene di adeguarsi al primo dei suddetti indirizzi per le ragioni di seguito indicate.
La soluzione della questione non puo’ che passare attraverso lo scioglimento dei due nodi dogmatici sottesi alla problematica in esame, ossia, quale sia la natura giuridica: a) della confisca prevista dall’articolo 322 ter c.p., (richiamato dall’articolo 640 quater c.p.); b) del concorso delle persone nel reato.
In ordine alla prima questione (natura giuridica della confisca), l’alternativa e’ quella di qualificare la confisca o come misura di sicurezza o come misura di carattere sanzionatorio.
La confisca come misura di sicurezza, e’ stata ritenuta dalla giurisprudenza di legittimita’, in relazione all’articolo 240 c.p., essendo stato statuito che “la confisca prevista dall’articolo 240 c.p., e’ una misura di sicurezza patrimoniale, tendente a prevenire la commissione di nuovi reati mediante l’espropriazione a favore dello stato di cose che, essendo quanto meno collegate alla esecuzione di illeciti penali, manterrebbero viva l’idea e la attrattiva del reato. Essa quindi ha carattere cautelare e non punitivo ed implica, anche nell’ipotesi facoltativa piu’ lata, concernente le cose che servono a commettere il reato, un rapporto di asservimento effettivo tra cosa e reato nel senso che la prima deve risultare oggettivamente collegata al secondo da un nesso strumentale che riveli effettivamente la possibilita’ futura del ripetersi di una attivita’ punibile”: ex plurimis Cass. 9903/1986 riv 173822.
Ove si aderisse a questa qualificazione giuridica anche in relazione alla confisca prevista dall’articolo 322 ter c.p., si dovrebbe logicamente ritenere che la suddetta misura non potrebbe che essere applicata solo nei confronti degli indagati che abbiano l’effettiva disponibilita’ del prezzo e/o profitto del reato, proprio perche’, una volta confiscato prezzo e/o profitto del reato (o, comunque, l’equivalente ove il prezzo o il profitto non sia rinvenibile), automaticamente verrebbe meno “la possibilita’ futura del ripetersi di una attivita’ punibile” venendo troncate, alla radice, “l’idea e l’attrattiva del reato”.
Ad opposta conclusione si perviene, ove, invece, si ritenga che la confisca di cui all’articolo 322 ter c.p., sia una mera sanzione patrimoniale con funzione, da una parte, di prevenzione e di strumento strategico di politica criminale, inteso a contrastare fenomeni sistemici di criminalita’ economica e di criminalita’ organizzata e, dall’altra, di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti. In tale ottica, e’ consequenziale ritenere che, quale effetto sanzionatorio del reato, essa puo’ interessare ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entita’ del prezzo o profitto accertato, salvo ovviamente l’eventuale riparto del relativo onere nei rapporti interni tra i vari concorrenti, che, pero’, in quanto fatto interno tra concorrenti, non puo’ ovviamente interessare l’ottica penale: in terminis Cass. 15445/2004 cit.
Innanzitutto, va rilevato che la trasposizione meccanica della citata giurisprudenza formatasi in relazione all’articolo 240 c.p., non e’ corretta per la semplice ragione che la confisca e’ un istituto di natura polivalente la cui natura giuridica va rinvenuta, di volta in volta, attraverso l’analisi dei testi normativi che la prevedono (Corte Cost. n. 29/1961 – n. 46/1964).
E, proprio in aderenza al suddetto principio, deve osservarsi che diversi sono i riscontri testuali e sistematici che fanno propendere per la tesi qui accolta.
L’articolo 322 ter, comma 2, seconda parte, stabilisce che, nel caso di condanna per il reato di cui all’articolo 321 c.p., nei confronti del corruttore, e’ ordinata la confisca per equivalente “di beni di cui il reo ha la disponibilita’, per un valore corrispondente a quello di detto profitto e, comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilita’ date o promesse …”: il che significa che la confisca, per il corruttore, ha natura afflittiva e sanzionatoria proprio perche’, essendo parametrata al “valore comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilita’ date o promesse”, prescinde dall’utile ricavato dalla corruzione che, in ipotesi, potrebbe essere anche inferiore.
E’ stato, poi, fatto rilevare che, a far velo ad una configurazione della confisca per equivalente nel panorama delle pene propriamente intese, concorrono due rilievi: “Anzitutto, presupposto imprescindibile per l’applicazione della confisca per equivalente e’ che nella sfera giuridico – patrimoniale della persona indagata per uno dei reati in ordine ai quali la misura stesa e’ applicabile, non sia stato rinvenuto, per una qualsivoglia ragione, il prezzo o il profitto del reato per cui si proceda, ma di cui sia ovviamente certa l’esistenza. Ne deriva, quindi, che, operando la confisca – ed il sequestro – per equivalente soltanto nella ipotesi di impossibilita’ di applicare la ordinaria misura della confisca del profitto o del prezzo del reato, quale istituto sostanzialmente surrogatorio di quest’ultimo, non puo’ certo presupporsi una sorta di novatio della misura, tale da trasformare il provvedimento ablatorio in una vera e propria pena patrimoniale. E’ del tutto evidente, infatti, che risulterebbe a dir poco eccentrica rispetto al sistema ed alla stessa tavola dei valori costituzionali, la possibilita’ di far discendere l’applicazione di una pena dalla semplice e casuale eventualita’ rappresentata dalla impossibilita’ di rinvenire – e conseguentemente aggredire – il profitto o il prezzo del reato. Per altro verso, ove il legislatore avesse davvero inteso imprimere alla confisca per equivalente le stigmate della sanzione criminale, non si spiegherebbe la previsione della irretroattivita’ sancita dal richiamato Legge n. 300 del 2000, articolo 15, bastando a tal fine il generale precetto sancito dall’articolo 25, comma 2, della Carta Fondamentale”: Cass. 30729/2006 cit..
I suddetti rilievi, consentono, quindi, di ritenere che la confisca prevista nell’articolo 322 ter c.p., non possa essere qualificata come una misura di sicurezza ma come una forma di prelievo pubblico a compensazione di prelievi illeciti e, quindi, come una misura sanzionatoria ed afflittiva che, in quanto tale, giustifica il sequestro (e la successiva confisca) per equivalente del prezzo o profitto del reato (nella specie truffa) anche nei soli confronti di alcuni dei concorrenti nel reato, ferma la ripartizione interna.
La suddetta conclusione, trova, poi, un’ulteriore giustificazione, a livello dogmatico, ove si osservi che, per la teoria monistica, cui e’, notoriamente, ispirata la disciplina del concorso di persone nel reato, ciascun concorrente, la cui attivita’ si sia inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell’evento, risponde anche degli atti posti in essere dagli altri compartecipi e dell’evento delittuoso nella sua globalita’, che viene considerato come l’effetto dell’azione combinata di tutti. Questo principio solidaristico, che implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente, quale che sia l’entita’ del contributo prestato, comporta anche solidarieta’ nella pena, nel senso che, a norma dell’articolo 110 c.p., ciascuno risponde della pena stabilita per il reato, salve le disposizioni di legge volte a graduare la sanzione penale a seconda della valenza che ciascuna partecipazione assume nel contesto generale del concorso, sulla base dei parametri normativi di cui agli articoli 112 e 114 c.p.: in terminis Cass. 15445/2004 cit..
La suddetta tesi e’ stata ormai recepita dalla piu’ recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. 21222/2013 Rv. 256545; Cass. 28264/2013 Rv. 255610; Cass. 13562/2012 Rv. 253581; Cass. 8740/2012 Rv. 254526; Cass. 13277/2011 Rv. 249839), sicche’ non si ravvisa l’opportunita’ di rimettere la questione alle SSUU, tanto piu’ ove si consideri, da una parte, che gli argomenti dedotti dal ricorrente a sostegno della tesi contraria sono piu’ che altro fondati su ragioni fattuali e di mera opportunita’ (cfr pag 4 ss del ricorso), dall’altra, che le SSUU, con la sentenza n. 26654/2008 Rv. 239926 hanno gia’ fatto proprio il principio solidaristico, avendo statuto che “In tema di responsabilita’ da reato degli enti, nel caso di illecito plurisoggettivo deve applicarsi il principio solidaristico che implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l’individualita’ storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entita’ del profitto accertato, ma l’espropriazione non puo’ essere duplicata o comunque eccedere nel “quantum” l’ammontare complessivo dello stesso”.
La censura, pertanto, va disattesa, alla stregua del seguente principio di diritto: “e’ legittimo il sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’articolo 322 ter c.p., eseguito in danno di un concorrente del reato di cui all’articolo 640 bis c.p., per l’intero importo relativo al prezzo o profitto dello stesso reato, nonostante le somme illecite siano state incamerate in tutto o in parte da altri coindagati, in quanto, da un lato, il principio solidaristico, che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e comporta solidarieta’ nella pena; dall’altro, la confisca per equivalente riveste preminente carattere sanzionatorio e puo’ interessare ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entita’ del prezzo o profitto accertato, salvo l’eventuale riparto tra i medesimi concorrenti che costituisce fatto interno a questi ultimi e che non ha alcun rilievo penale”.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
RIGETTA il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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