SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 24 novembre 2015, n. 23914
Ritenuto in fatto
La S.r.l. Metalfix conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Ancona, la ditta Italtecno Inpianti di M.V. esponendo che: a fine anno 1993 – inizio 1994, essa attrice aveva incaricato la predetta impresa di effettuare i lavori di manutenzione straordinaria, dell’impianto galvanico esistente presso la vecchia sede Metalfix di (…), al fine di renderlo perfettamente efficiente; per tali lavori, essa Metalfix aveva sopportato un costo complessivo di oltre L. 25.000.000;
nel mese di Novembre 1994, a seguito del trasferimento della Metalfix nella sede di (OMISSIS) , la Italtecno era stata nuovamente incaricata di rimettere in funzione l’impianto, trasferito a cura della stessa attrice nella nuova sede; contemporaneamente ai lavori di reinstallazione dell’impianto, la Italtecno, di propria iniziativa, nel tentativo di apportare migliorie aveva proceduto alla sostituzione di parti e componenti, anche se sostituiti nei recenti lavori di manutenzione straordinaria effettuati in Osimo dalla stessa convenuta, senza avere informato essa S.r.l. Metalfix del costo degli interventi da essa suggeriti, in quanto ben conosceva che l’intenzione dell’attrice era quella di ottenere un impianto in perfette condizioni, nel minor tempo possibile, nei limiti del corrente costo di mercato, purché entro e non oltre la fine dell’anno; nonostante i solleciti, la Italtecno aveva ritenuto l’opera completata senza procedere a verifica e a collaudo, le aveva fatto pervenire una richiesta di pagamento a consuntivo di lire 134.845.900 che era stata immediatamente contestata, in quanto il corrispettivo non era stato concordato, era stato applicato in modo unilaterale ed eccessivo, conteneva duplicazioni di voci; che aveva subito danni per la ritardata esecuzione dei lavori e per la esistenza dei vizi e difetti delle opere;
pertanto, chiedeva che venisse accertato il prezzo dovuto e determinata la riduzione con condanna della convenuta al risarcimento dei danni.
Si costituiva la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda; in via riconvenzionale, instava per la condanna dell’attrice al pagamento della somma di lire 186.295.780.
Con sentenza del 28 aprile 2003 il tribunale rigettava la domanda proposta dall’attrice, accoglieva la riconvenzionale nella misura di lire 14 6.533.802 oltre IVA ed interessi.
Con sentenza n. 162/09 la Corte di appello di Ancona rigettava l’impugnazione proposta dall’attrice.
I Giudici ritenevano quanto segue.
Era da escludere la nullità del contratto de quo ai sensi dell’art. 6 del D. Lgs. 626/94 comma 2, secondo cui sono vietati la vendita, il noleggio, la concessione in uso e la locazione finanziaria di macchine, attrezzature di lavoro e di impianti non rispondenti alla legislazione vigente, posto che il comma 3 si limita a prevedere che gli installatori e montatori di impiantì, macchine o altri mezzi tecnici devono attenersi alle nome di sicurezza e di igiene del lavoro, nonché alle istruzioni fornite dai rispettivi fabbricanti dei macchinari e degli altri mezzi tecnici per la parte di loro competenza.
Se non era espressamente prevista la nullità del contratto in caso di inosservanza degli obblighi ricadenti sugli installatori e montatori di impianti, neppure era ipotizzabile la nullità virtuale per contrarietà a norme imperative ex primo comma dell’art. 1418 cod. civ., assumendo la condotta tenuta dalla convenuta eventualmente rilievo sul piano dell’inadempimento.
La questione circa la tempestività o meno dei vizi, risolta dal tribunale in senso sfavorevole alla committente, era superflua, tenuto conto che le voci di cui l’attrice aveva chiesto la detrazione non integravano i vizi in termini giuridici, non potendo l’art. 1668 cod. civ. trovare applicazione nel caso in cui come nella specie il bene sia immune da vizi intrinseci alla cosa stessa. La circostanza che il macchinario stesso utilizzasse un metodo di produzione piuttosto che un altro (meno vantaggioso in relazione alle peculiari esigenze della ditta appaltante), non può farsi ricadere sull’appaltatore in difetto di prova che le parti si fossero accordate per la realizzazione dell’impianto secondo uno specifico processo produttivo. Quanto, infine, alla domanda di risarcimento danni (per danno emergente e lucro cessante) per il ritardo con cui era stata consegnata l’opera, nessun termine era stato pattuito per la consegna del bene; neppure era stata formulata richiesta di cui all’art. 1183 cod.civ..
2. – Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione la s.r.l. Metalfix sulla base di tre motivi.
Non ha svolto attività difensiva l’intimato.
Motivi della decisione
Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal P.G. per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. posto che, nonostante che in esso siano stati riprodotti e inseriti gli atti e i documenti relativi al giudizio di merito, il ricorso contiene la autonoma e sintetica esposizione prescritta dalla norma citata che, come tale è facilmente, enucleatale dai documenti di cui si è detto.
1.1. Il primo motivo censura la sentenza per avere confermato la decisione del tribunale che aveva erroneamente ritenuto intempestiva la denuncia dei vizi dell’opera, che postula il compimento e la consegna dell’opera al committente che sia in grado di prendere cognizione dei vizi, di cui deve essere ritenuto responsabile l’appaltatore tanto più nella specie in cui, secondo quanto ammesso da controparte, i lavori erano stati eseguiti senza un preventivo progetto e lasciati alla discrezionalità dell’appaltatore.
1.2. – Il motivo è infondato.
La censura non coglie la ratio decidendi della motivazione della sentenza di appello – che si sostituisce anche nel caso di conferma a quella del tribunale – posto che i Giudici del gravame non hanno preso posizione sulla tempestività della denuncia (questione ritenuta superflua) avendo escluso la esistenza stessa dei vizi.
2.1. – Il secondo motivo richiama i principi in tema di responsabilità dell’appaltatore, evidenziando come nella specie – in cui l’opera doveva essere eseguita dall’appaltatore in assenza di progetto predisposto dal committente ma in piena discrezionalità del primo – questi avrebbe dovuto informare la ricorrente della maggiore onerosità dei lavori, in relazione al tipo e alla durata, e offrire la prova al medesimo incombente che il sistema adottato era vantaggioso e maggiormente produttivo per la attrice: tale accertamento era stato omesso dai Giudici, non assumendo rilievo che non fosse stato concluso un contratto scritto, con la previsione del corrispettivo e dei tempi di consegna.
Negando, in sede di interrogatorio formale, la circostanza di rimettere in sesto l’impianto di cui al secondo capitolo, il legale rapp.te aveva ammesso di non avere diritto ad alcun corrispettivo. Le ammissioni del Valentino confermavano quanto dichiarato dai testi a proposito dell’intervento richiesto mentre dalla consulenza tecnica era emersa la inutilizzabilità e illegittimità dell’impianto realizzato in violazione delle norme all’epoca vigenti, d.p.r. 547/55 e 626/94, con conseguente impossibilità di commercializzare e utilizzare il macchinario de quo.
2.2.- Il motivo è infondato.
Occorre premettere che in tema di appalto, ai sensi dell’art. 1668 cod. civ., il committente può chiedere: a) la risoluzione del contratto per difformità o vizi dell’opera, che siano tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione; b) qualora l’opera – un volta ultimata – sia affetta da vizi o difetti che comunque ne diminuiscano il valore in modo da ottenere una proporzionale diminuzione del corrispettivo, la riduzione del prezzo (o la eliminazione dei vizi cura dello stesso appaltatore).
Ciò posto, la ricorrente ha proposto domanda di riduzione del prezzo e di accertamento del corrispettivo effettivamente dovuto previa detrazione dell’importo necessario per l’eliminazione dei vizi riscontrati nonché di risarcimento del danno determinato dal ritardo nella consegna dell’opera appaltata.
La Corte di appello, con motivazione difforme afa quella resa dal tribunale che aveva ritenuto la decadenza dall’azione di garanzia per tardività della denuncia, ha rigettato la domanda di riduzione del prezzo, escludendo che nella specie si trattasse di vizi; ha respinto quella di danni per il ritardo, non essendo stato pattuito alcun termine di consegna.
Occorre innanzitutto ricordare che, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, la sentenza ha escluso che quelli denunciati integrassero vizi intrinseci dell’opera realizzata, correttamente evidenziando che la adeguatezza della soluzione tecnica ovvero la vantaggiosità o meno del sistema adottato dall’appaltatore così come la eccessiva onerosità, rispetto anche alle dimensioni e alla natura dell’impresa, non assumevano rilevanza tenuto conto di quella che era stata la domanda formulata dall’attrice (riduzione del prezzo). Ed invero, da un lato, non era stata formulata domanda di risoluzione per assoluta inidoneità dell’opera ai sensi dell’art. 1668 primo comma cod. civ. e, dall’altro, neppure è ipotizzatale la difformità dell’opera rispetto a quanto pattuito, atteso che nessun preventivo regolamento negoziale era stato dalle parti convenuto.
Per quel che riguarda i danni, la sentenza ha chiarito che la domanda aveva avuto a oggetto soltanto quelli da ritardo nella consegna dell’opera e non pure la lesione patrimoniale conseguente all’avere l’appaltatore adottato una soluzione tecnica non conforme alla diligenza professionale richiesta in esecuzione delle regole dell’arte.
Circa la denuncia di nullità del contratto, va ricordato che in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta ‘nullità virtuale’), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità( S.U. 2672472007). Correttamente è stata esclusa la nullità del contratto de quo, posto che la (eventuale) esecuzione della prestazione, effettuata in modo da risultare non conforme a norme imperative, concerne la fase esecutiva del contratto e non il momento genetico relativo alla sua validità.
3.1. – Il terzo motivo deduce che la nullità del contratto o, in subordine, il grave inadempimento aveva comportato l’obbligo di risarcire i danni conseguenti. Censura la sentenza laddove aveva ritenuto necessaria la richiesta di fissazione del termine ex art. 1183 cod. civ., essendo implicita nella domanda di condanna, potendo il Giudice ritenere sussistente l’inadempimento quando il ritardo sia incompatibile con la natura della prestazione e perciò sia rivelatore della volontà di non adempiere.
3.2. – Il motivo è infondato.
In merito alla nullità del contratto e ai danni si è già detto in occasione dell’esame del motivo che precede.
Appare, poi, inconferente il richiamo all’art. 1183 cod. civ., nei termini formulati dalla ricorrente con riguardo alla implicita richiesta del termine nella domanda e ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità nel caso in cui – pur non essendo stabilito il termine per l’adempimento – la parte debba considerarsi inadempiente anche in assenza di preventiva richiesta di fissazione: nella specie – secondo gli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito – non è risultata provata proprio una condotta inadempiente addebitabile alla controparte.
Il ricorso va rigettato. Non va adottata alcuna statuizione in ordine alla regolamentazione delle spese relative alla presente fase, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
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