Corte di cassazione – Sezione II – sentenza 21 settembre 2011, n. 19204. Il diritto dell’acquirente all’indennizzo da mancato rilascio del certificato di abitabilità si prescrive decorso il termine di dieci anni
La Massima
Il diritto al risarcimento del danno, anche quando viene azionato per effetto della mancata realizzazione di un diritto indisponibile, conservando la propria autonomia rispetto al diritto originario, non ne assume il carattere della indisponibilità ed è, pertanto, soggetto alla prescrizione decennale di cui all’art. 2934 c.c.
Di conseguenza il diritto dell’acquirente all’indennizzo da mancato rilascio del certificato di abitabilità si prescrive decorso il termine di dieci anni dalla stipula del contratto o dalla fissazione da parte del giudice di un diverso termine per adempiere.
Il testo integrale sentenza 21 settembre, n. 19204
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II
Svolgimento del processo
Con citazione notificata il 18.3.1997 i coniugi M.L.D. e L.L., acquirenti di un appartamento, giusta atto pubblico del 7.7.1982, convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Bari, la Dinvest s.p.a., società venditrice, per sentirla condannare al risarcimento del danno da mancato rilascio della licenza di abitabilità.
La società convenuta nel resistere in giudizio eccepiva (per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità) la prescrizione del diritto azionato.
Il Tribunale, rigettata l’eccezione, accoglieva la domanda e condannava la parte convenuta al pagamento in favore degli attori, per il titolo innanzi detto, della somma di lire 60.000.000, liquidata in via equitativa.
Tale sentenza era confermata dalla Corte d’appello di Bari, che riteneva, quanto all’eccezione di prescrizione, che il diritto a conseguire il certificato di abitabilità e, conseguentemente, quello al risarcimento del danno o all’indennizzo ai sensi dell’art. 1381 c.c. in caso di inadempimento, doveva considerarsi indisponibile, e come tale non soggetto a prescrizione, ai sensi dell’art.2934, cpv. c.c. Pertanto, anche il conseguente diritto al risarcimento era da ritenersi imprescrittibile. Quanto all’ammontare del danno, riteneva doversi condividere la quantificazione operata equitativamente dal giudice di prime cure mediante attualizzazione del valore dell’immobile.
Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre la MF Trading s.r.l., nuova denominazione della Dinvest s.p.a., con sei motivi d’annullamento, illustrati da memoria.
Resistono con controricorso L.L. e G., R.M. e R.M., eredi di L.D.M.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1381, 2934, comma 2 e 946 c.c., in relazione all’art.360, n.3 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art.360, n. 5 c.p.c.
Sostiene parte ricorrente che l’obbligazione di far conseguire all’acquirente il certificato di abitabilità dell’immobile alienato è incoercibile e infungibile e, pertanto, nella specie, la Corte territoriale non avrebbe potuto condannare la società convenuta al relativo adempimento.
Inoltre, il diritto di cui i giudici d’appello avrebbero dovuto vagliare l’assoggettabilità al regime della prescrizione non era quello avente ad oggetto l’ottenimento del certificato di abitabilità, ma quello all’indennizzo o al risarcimento del danno.
Con il secondo motivo parte ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1470 e 2934, 2 comma c.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art.360, nn.3 e 5 c.p.c.
La Corte barese, si afferma, nel ritenere indisponibile il diritto ad ottenere il certificato di abitabilità non ha considerato che tale qualifica rileva nei rapporti con la pubblica amministrazione titolare del potere di rilasciare il titolo abilitativo, non anche nei rapporti tra privati, che ben possono farne oggetto di negoziato.
In ogni caso, quale che sia il fondamento dell’imprescrittibilità dei diritti indisponibili, è comunque certo che tra questi ultimi non può includersi quello al risarcimento del danno o all’indennizzo, ancorché prodotto da lesione di un diritto indisponibile, trattandosi di un credito soggetto al termine ordinario di prescrizione.
Il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1381, 1453 e 1477 c.c., in relazione all’art.2946 e, nonché l’illogicità e contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Si sostiene, al riguardo, che la vendita di immobile privo di licenza di abitabilità non ha un oggetto illecito, giacché non esiste norma che la vieti, ma è soggetta soltanto a risoluzione per inadempimento, ove il venditore abbia assunto l’obbligazione di far ottenere all’acquirente detta licenza.
Di riflesso, gli attori avrebbero potuto esperire o l’azione generale di risoluzione per vendita aliud pro alio ovvero per mancata consegna dei titoli o dei documenti inerenti (alla proprietà o) all’uso della cosa alienata, ai sensi dell’art.1477 c.c.; e in alternativa, l’azione per ottenere l’indennizzo previsto dall’art.1381 c.c. In ogni caso, i diritti derivanti dall’inadempimento dell’obbligazione di consegna del ridetto certificato sono tutti di natura contrattuale e, quindi, soggiacciono all’ordinaria prescrizione decennale.
Per contro, la Corte d’appello, pur riconoscendo la natura contrattuale di tale obbligazione, tanto da richiamare l’art.1477, comma 2 c.c., ha contraddittoriamente affermato che tale obbligo deriva dalla legge, dimenticando che la legge richiamata è appunto l’art.1477, comma 3 c.c.
Con il quarto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt.1381 e 2935 c.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
La Corte territoriale nell’affermare non prescrittibile il diritto al risarcimento del danno, non si è pronunciata sulla censura contenuta nel primo motivo d’appello della Dinvest, che dopo aver illustrato le ragioni dell’inesistenza di un illecito permanente aveva rappresentato che il termine di prescrizione decorre dal momento della stipula del contratto di vendita, essendo irrilevante che quest’ultimo non stabilisca un termine entro cui debba essere posto in essere il fatto oggetto di promessa.
Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 342, comma 1, e 324 c.p.c., dell’art.2909 c.c. in relazione all’art.360, nn. 3 e 5 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art.360, n.5 c.p.c.
Afferma parte ricorrente che la Corte d’appello ha errato nel ritenere che la Dinvest abbia censurato soltanto il capo della sentenza di primo grado relativo all’an del risarcimento del danno, sostenendo, senza considerare il carattere devolutivo pieno dell’appello, che detta società avrebbe invece impugnato solo il capo relativo al quantum.
Con il sesto motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1381, 1218 1223, 1226 e 2697 c.c., in relazione all’art.360, nn. 3 e 5 c.p.c., nonché l’illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, avendo la Corte d’appello qualificato come risarcitorio l’obbligo, di natura, invece, indennitaria, derivante dal mancato rilascio del certificato di abitabilità.
I primi quattro motivi, da esaminare congiuntamente perché in parte ripetitivi di una stessa censura ed in parte inerenti alla medesima quaestio iuris, avente ad oggetto l’applicabilità o non del regime della prescrizione al diritto all’indennizzo o al risarcimento del danno da mancato conseguimento della licenza di abitabilità, sono fondati nei sensi e nei termini logico-giuridici che seguono.
Non ha rilievo ai fini della decisione sia l’inquadramento sotto la norma dell’art. 1381 c.c. dell’obbligazione della società venditrice di far conseguire alla parte acquirente il certificato di abitabilità, sia la distinzione tra obbligo indennitario ed obbligo risarcitorio a carico del venditore, l’uno e l’altro consistendo nel pagamento di una somma di denaro succedanea dell’utilità non conseguita dalla parte acquirente. Comune ad entrambe le ipotesi, il problema della prescrizione si risolve o a monte, attraverso la qualificazione del diritto a ottenere il certificato di abitabilità, come ha ritenuto la Corte barese; o a valle, in base all’autonomia dell’obbligazione sostitutiva, come ritiene la società ricorrente.
Deviante, inoltre, rispetto al nucleo della questione, è il discorso sulla non coercibilità dell’obbligo del venditore a far conseguire all’acquirente la suddetta certificazione, non solo e non tanto perché anche gli obblighi incoercibili possono essere oggetto di condanna (e ciò anche prima dell’introduzione dell’art. 614-bis c.p.c.), ma anche e soprattutto perché la Corte territoriale si è limitata a condannare la società convenuta al pagamento di una somma, non al compimento di un facere infungibile.
Questa Corte ha avuto modo di osservare che il diritto al risarcimento del danno, anche quando viene azionato per effetto della mancata realizzazione di un diritto indisponibile, conservando la propria autonomia rispetto al diritto originario, non ne assume il carattere della indisponibilità ed è, pertanto, soggetto alla prescrizione decennale di cui all’art. 2934 c.c. (Cass. S.U. n. 1744/75; v. anche Cass. n.3921/82, secondo cui il diritto alla rendita per inabilità da infortunio sul lavoro è indisponibile e, conseguentemente, imprescrittibile nella sua configurazione unitaria, restando, invece, prescrittibili nel quinquennio, ai sensi dell’art. 2948, nn. 1 e 2 c.c., le singole rate della rendita; nello stesso senso, cfr. Cass. nn. 4317/81 e 2197/78).
All’affermazione di tali principi, che risultano essere stati già applicati ad una fattispecie affatto analoga alla presente (in una controversia in cui era parte la stessa società Dinvest s.p.a.), nel senso che il diritto dell’acquirente all’indennizzo da mancato rilascio del certificato di abitabilità si prescrive decorso il termine di dieci anni dalla stipula del contratto o dalla fissazione da parte del giudice di un diverso termine per adempiere (Cass. 26509/06, non massimata), occorre dare continuità, con le considerazioni aggiuntive che seguono.
Elaborata storicamente in rapporto ai diritti assoluti, ma variamente estesa ai crediti (si pensi alla materia tributaria, dei contratti con la P.A., delle prestazioni di carattere alimentare, retributivo, previdenziale o assistenziale ecc.), l’indisponibilità costituisce una qualificazione secondaria di determinati diritti soggettivi in funzione di rafforzamento della tutela ad essi apprestata dall’ordinamento giuridico, il quale ne vieta la negoziabilità preventiva per sottrarre la parte più debole alle pressioni del contraente economicamente più attrezzato. La sua funzione di precipuo stampo garantistico, non esclusa dal concorso con esigenze di più ampia protezione, inerenti non alle posizioni singole, ma alla collettività nel suo insieme, si esaurisce, non potendo altrimenti esplicarsi, allorché il diritto abbia subito una compromissione irretrattabile, vuoi per la lesione diretta arrecatagli, vuoi per l’inadempimento di un’obbligazione corrispondente, vuoi perché sia mancato il fatto del terzo necessario a soddisfare il diritto stesso. Ne deriva il sorgere di una diversa obbligazione risarcitoria o indennitaria a carattere succedaneo, essa stessa soggetta a (un proprio termine di) prescrizione, decorrente, ai sensi dell’art. 2935 c.c., dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, e non assistita dal carisma di indisponibilità che presidiava la tutela del diritto leso o insoddisfatto.
Se ne trae sicura conferma dalla giurisprudenza formatasi in tema di transazione su diritti indisponibili, che ha escluso l’operatività del limite posto dall’art. 1966, cpv. c.c. in presenza di un diritto già maturato (cfr. Cass. n. 5433/08), nell’ambito di una complessiva regolamentazioni di rapporti di dare e avere (cfr. Cass. n. 3527/88) o nel caso del diritto alle restituzioni e ai danni derivanti da reato (v. Cass. nn. 664/88, 651/77 e 1533/66).
Traslando le considerazioni sopra esposte al caso di specie, si rileva che il mancato rilascio del certificato di abitabilità costituisce non già un illecito, ma un inadempimento contrattuale, essendo la relativa obbligazione connaturale alla destinazione abitativa dell’immobile alienato e viepiù specificamente assunta – come affermato dalla Corte territoriale, con accertamento non oggetto di censura – con il contratto di vendita, nel quale la società odierna ricorrente si era obbligata, a sua cura e spese, nel più breve tempo possibile, ad ottenere il rilascio della predetta certificazione da parte delle competenti autorità. Scaduto tale termine, come accertato dalla Corte d’appello con statuizione implicita (dato l’accoglimento della domanda) in parte qua non specificamente censurata, deve escludersi che l’inadempimento abbia carattere permanente, essendo la permanenza categoria omogenea all’illecito, con conseguente immediata decorrenza del termine di prescrizione del diritto succedaneo al risarcimento o all’indennizzo per il mancato rilascio della certificazione di abitabilità.
L’accoglimento dei motivi anzi detti assorbe l’esame delle restanti censure e, cassata la sentenza impugnata, consente la decisione della causa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. Invero, essendo decorsi più di quattordici anni dalla conclusione del contratto di vendita (7.7.1982) a quella di introduzione della domanda (18.3.1997), e comunque ben più di dieci anni al netto del termine (“il più breve possibile”) contrattualmente fissato per il rilascio del certificato di abitabilità, il diritto azionato deve ritenersi prescritto, con conseguente rigetto della domanda.
Sussistono giusti motivi, data la certa buona fede iniziale della parte attrice nell’introdurre la domanda, per compensare integralmente fra le parti le spese del doppio di giudizio di merito e del presente procedimento di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi quattro motivi, assorbiti il quinto e il sesto, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda e compensa interamente fra le parti le spese del doppio grado di merito e quelle del presente giudizio di cassazione.
Leave a Reply