Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 20 giugno 2014, n. 14119
Svolgimento del processo
1. Per quanto ancora interessa in questa sede, nel dicembre 1992, M.R. conveniva in giudizio la sorella M.F. innanzi al Tribunale di Arezzo perché fosse pronunciata la nullità della lettera 6.12.1986 redatta dalla comune madre P.P. quale testamento, con declaratoria di inesistenza di alcuna disposizione testamentaria, sia per mancanza di firma in calce, sia perché la stessa non conteneva alcuna volontà testamentaria. La convenuta contestava la pretesa, affermando la piena validità, quale testamento, della lettera 6.12.1986. Il Tribunale di Arezzo accoglieva la domanda, negando «ogni effetto successorio alla lettera datata 6.12.1986».
2. La Corte d’Appello di Firenze, accoglieva l’impugnazione della signora F., ritenendo valido come testamento la lettera in questione. Al riguardo, la Corte di merito, dopo aver riportato integralmente il testo della lettera, rilevava che il testo occupava interamente le due pagine e che le ultime righe dello stesso, localizzate secondo la lettura naturale e logica del testo, dovevano essere individuate nelle due righe «vergate alla rovescia rispetto a quelle della prima parte dello scritto» sullo spazio sposto sopra all’inizio del testo complessivo» e del seguente tenore «spero tu mi riconosca come mamma ti bacio tanto P.».
Osservava la Corte che la scelta della signora P. di completare in tal modo la lettera era conseguente alla «mancanza di altro più acconcio spazio sul folio». Concludeva la Corte territoriale, quindi, nel senso che lo scritto doveva considerarsi sottoscritto dalla signora P., e, valutandone poi il contenuto, riteneva che dovesse essere qualificato come testamento sulla base di una pluralità di elementi tutti analiticamente indicati.
3. Tale decisione ed è impugnata da R.M., che formula due motivi. Resiste l’intimata.
Motivi della decisione
1. I motivi del ricorso.
1.1 Col primo motivo di ricorso si deduce: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 602 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.».
La Corte d’Appello di Firenze ha errato nel ritenere «idonea sottoscrizione di disposizioni testamentarie una frase del seguente tenore “spero tu mi riconosca come mamma ti bacio tanto P.”, posta, non al termine del secondo foglio scritto, ma addirittura all’inizio del primo foglio».
L’espressione sopra riportata «è da ritenere non idonea a suggellare una manifestazione di ultima volontà sia per il tenore della medesima sia per la sua collocazione». Inoltre, «la lettera oggetto di giudizio recava spazio al termine del secondo foglio per l’apposizione della sottoscrizione da parte della Sig.ra P., non essendovi pertanto alcuna necessità di omettere la firma in calce». La valenza di atto mortis causa del testamento richiede il «quid pluris dato dalla piena consapevolezza del testatore in merito a quanto ha disposto. Tale consapevolezza manca nel caso in esame».
Viene formulato il seguente quesito: «Precisi la Suprema Corte di Cassazione se l’art. 602 co. i e co. 2 del Codice Civile prescriva che la sottoscrizione di un testamento olografo, requisito essenziale ai fini della validità del testamento stesso, debba essere apposta in calce al medesimo non potendo essere sufficiente una sottoscrizione apposta all’inizio del testo medesimo o in altro punto casuale. Precisi inoltre la Corte Suprema adita che l’ars. 602 C. C. esige che la sottoscrizione di un testo testamentario debba essere espressa con l’indicazione chiara ed inequivoca dell’identità del testatore non essendo sufficiente espressioni dubitative, di auspicio o di tono meramente confidenziale e ciò in particolare quando il preteso testamento sia rappresentato da una missiva, dovendo rivelare la consapevolezza, nel testatore, di convalidare, con detta sottoscrizione un atto contenente disposizioni aventi valore testamentario».
1.2 – Col secondo motivo di ricorso si deduce: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 606 CC: in relazione all’ari. 360 n. 3 cod. proc. civ.».
Nella lettera 6.12.1986, pubblicata quale testamento da F.M., è del tutto assente la voluntas testandi. Osserva il ricorrente che «Le espressioni più volte richiamate quali “Ti voglio incontrare quando sarai disposta per farti un foglio’ , “quando prenderò la decisione” , “tu mi scuserai ma non so quello che ho scritto cerca di capirlo’ , denunciano l’assenza della volontà in P.P. di disporre con tale missiva dei propri beni per il tempo successivo alla stia morte». Osserva inoltre che «I ricorrenti toni ipotetici, l’evidente emotività, i continui riferimenti ad un futuro incerto ed alla incapacità di testare autonomamente, senza aiuto, denotano senza ombra di dubbio che con la lettera de quo la de cuius intendeva semplicemente rispondere alla figlia in riferimento a non ben precisate richieste di questa riguardanti il bene immobile sito in Vellano (PT) di proprietà della madre». La valutazione data dalla Corte è contraria ai principi di legittimità affermati al riguardo. Inoltre, la stessa sentenza «denuncia perplessità nell’interpretazione (pag 13 e 14) laddove riconosce che nelle espressioni usate nella missiva traspare da parte della sua autrice il mero intento di incontrare la figlia per farle un foglio. Con la lettera la Sig. P. avrebbe quindi, non inteso disporre in via testamentaria, ma, semmai, anticipare un suo pensiero al riguardo alla figlia». Secondo il ricorrente infine «A giudizio della Corte X Appello di Firenze l’interpretazione del testo non è chiara ed univoca ma basata su un bilanciamento delle opposte ipotesi ermeneutiche e delle discordanti espressioni che ricorrono nel testo della lettera. Manca pertanto ogni requisito di chiarezza ed univocità ritenuto indispensabile alfine di riconoscere valenza testamentaria ad un diverso tipo di documento quale una lettera».
Viene formulato il seguente quesito: «Precisi la Suprema Corte di Cassazione che una lettera, in riferimento all’art. 606 C.C., per avere valentia testamentaria debba contenere manifesta”ioni di volontà di disporre per il tempo successivo alla morte, certe, univoche ed indiscutibili nel corso dell’intero testo non contrastanti con altre di tenore contrario o dubitativo».
2. Il ricorso è infondato e va rigettato.
2.1 Il primo motivo è infondato. Quanto alla sottoscrizione non apposta in calce al testo, questa Corte in più occasioni ha ritenuto rispettato il dettato normativo dell’art. 602 cod. civ., quando la sottoscrizione delle disposizioni di ultima volontà è stata apposta a margine o in altra parte della scheda, anziché in calce alla medesima, a causa della mancanza di spazio su cui apporla (vedi tra le altre Cass. 16186/2003). Nella specie la Corte territoriale ha appunto giustificato la mancanza di sottoscrizione in calce alle disposizioni di ultima volontà con il fatto che nella seconda pagina della ritenuta scheda testamentaria, costituita da un mezzo foglio uso bollo, non vi era lo spazio sufficiente per apporvi la firma, sicché ha specularmente considerato valida la sottoscrizione presente all’inizio del primo foglio, quale ideale prosecuzione dello scritto (ovverosia, come inizio di una virtuale terza pagina). La censura sul punto è infondata.
Parimenti infondata è la censura che prospetta la non riconducibilità agli atti mortis causa della lettera indirizzata dalla madre alla figlia. Al riguardo, occorre osservare che perché si abbia una manifestazione di ultima volontà e quindi esista un negozio “mortis causa”, è necessario soltanto che lo scritto contenga la manifestazione di una volontà definitiva dell’autore, nel senso che essa si sia compiutamente ed incondizionatamente formata e manifestata e sia diretta a disporre attualmente, in tutto o in parte, dei propri beni per il tempo successivo alla propria morte»(Cass. 2014 n. 150; Cass. 1990 n. 8668).
2.2 É infondato anche il secondo motivo, quanto alla sussistenza, nella lettera in questione, dell’effettiva, certa ed attuale volontà di disporre dei propri beni. Occorre osservare, al riguardo, che «Ai fini della configurabilità di una scrittura privata come testamento olografo non è sufficiente il riscontro dei requisiti di forma individuati dall’art. 602 cod. civ., occorrendo, altresì, l’accertamento dell’oggettiva riconoscibilità nella scrittura della volontà attuale del suo autore di compiere non già un mero progetto, ma un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al suo decesso. Tale accertamento, che costituisce un “prius” logico rispetto alla stessa interpretazione della volontà testamentaria, è rimesso al giudice del merito e, se congruamente e logicamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità». (Cass. n. 8490 del 2012, Rv. 622453).
La Corte territoriale ha ampiamente ed idoneamente motivato il suo convincimento, facendosi carico di tutte le argomentazioni del primo giudice, chiarendo punto per punto perché si dovesse giungere alla conclusione che la lettera in questione doveva ritenersi valido testamento della signora P. La Corte di merito, infatti, dopo aver riportato per esteso il tenore letterale dello scritto, «redatto in sessantatré righe vergate a mano, senza cancellature o abrasioni, su entrambe le pagine di un mezzo foglio protocollo», ne ha esaminato il contenuto. In primo luogo ha considerato il tenore complessivo dello scritto, evidenziandone «la intensa carica emotiva che ne traspare e per il suo carattere di amaro e definitivo bilancio di un’intera esistenza» e traendone la conclusione che tale lettera doveva ritenersi «una seria e meditata manifestazione dell’autrice della sua ultima volontà di lasciare il bene alla figlia (e, nell’espressione “lasciare” , è implicito il riferimento alla causa di morte dell’attribuzione patrimoniale che si dichiara di volere compiere)». Ha poi valorizzato, per individuare una manifestazione della volontà attuale di P.P. di disporre per il tempo successivo alla sua morte della casa in Vellano, l’espressione «Vellano è tuo», evidenziandone la posizione nel testo con l’osservazione «la frase campeggia al centro del rigo ed è sottolineata», che così si conclude «… siccome la casa è mia te la lascio con tutto il cuore». Tali elementi appaiono sufficienti a concretizzare una volontà di testare certa ed attuale.
La Corte territoriale si è, poi, fatta carico delle espressioni, pur contenute nella lettera, che avrebbero potuto condurre a diverse conclusioni (e valorizzate nel ricorso dall’odierno ricorrente), osservando che, al fine di interpretare correttamente la scrittura in questione era necessario «tenere, concettualmente, distinte le disposizioni testamentarie, da una parte, e le manifestazioni semplici intenti, dall’altra», dovendo tali ultime espressioni essere valutate «linguisticamente (in uno scritto, naturalmente poetico, che appare come la trascrizione fedele dell’irrequieto e disordinato andamento del pensiero), con quanto P.P. dispone (secondo la ricostruzione della Corte) per il tempo successivo alla sua morte», dovendone, altresì, «sceverare i significati a seconda del diverso oggetto delle corrispondenti, singole espressioni». In tale prospettiva interpretativa la Corte di merito ha ritenuto che l’espressione ‘fare un foglio” non escludesse la volontà di testare della signora P., essendo essa compatibile anche con la volontà «di far conseguire senz’altro indugio, alla figlia, con un atto immediatamente efficace (ovvero, in sostanza, con un atto di donazione), la proprietà del bene (in tal senso appaiono, infatti, i riferimenti di P.P. alla situazione attuale del bene e ai comportamenti che ella si propone di tenere, in vita, nel futuro, riguardo alla casa di Vellano». Quanto poi ai riferimenti contenuti nella lettera a “successive decisioni”; la Corte territoriale ne ha escluso la rilevanza ai fini di una prova di un’assenza della volontà di testare (per la considerazione che le decisioni in questione sembrano avere un oggetto del tutto distinto (e privo di ogni valenza giuridica) rispetto a quello delle disposizioni testamentarie, riguardando, esse, le scelte esistenziali della stessa P.P. (“non ci tornerò più e prenderò altre decisioni … stai tranquilla F. – non so cosa sarà di me quando prenderò la – decisione – che ti ho detto …”) e non certo la possibilità di confezionare, in futuro, un testamento a favore della figlia». Si tratta, come appare evidente, di una motivazione ampia, convincente ed adeguata rispetto alle contestazioni complessivamente mosse, non indebolita dall’uso di espressioni linguistiche non assertive (come il verbo “sembrare”), all’evidenza utilizzate nell’ambito di una valutazione complessiva di una scrittura di complessa interpretazione.
3. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 2.000,00 (duemila) euro per compensi e 200,00 (duecento) euro per spese, oltre accessori di legge.
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