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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 20 dicembre 2013, n. 28586

Fatto e diritto

Ritenuto che con atto notificato il 12 luglio 1973, A.C. , B. , C. e G.G. convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma C.A. , vedova di A.C. , deceduto il (omissis) , esponendo che quest’ultimo aveva lasciato unica erede la moglie; che poco prima di morire, nel (omissis) , lo stesso, colpito da ictus, era caduto in un permanente stato di incoscienza totale, durato sino alla morte; che, subito dopo la morte del de cuius, la vedova aveva fatto pubblicare un testamento olografo redatto in data 8 luglio 1963 (asseritamente privo di autenticità), con il quale le veniva attribuito l’intero patrimonio; che era loro intenzione di impugnare detto testamento falso, avendo diritto al riconoscimento della qualità di eredi e all’attribuzione dei beni connessi, con dichiarazione d’indegnità della vedova e condanna della stessa alla restituzione dei frutti percepiti e che, comunque, il testamento sembrava assegnare alla vedova il solo usufrutto, talché, in ogni caso, ad essi attori competeva la nuda proprietà dei beni ereditari;
che gli attori chiesero che, accertata la loro qualità di eredi legittimi e dichiarata aperta la successione legittima, la C. , indegna di succedere al defunto marito, venisse condannata alla consegna dei beni ereditari indebitamente posseduti, con la restituzione dei frutti maturati: in subordine, ove fosse riconosciuto valido il testamento olografo, instarono per l’assegnazione della nuda proprietà di tutti i beni ereditari;
che si costituì in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto della domanda perché infondata;
che l’adito Tribunale di Roma, con sentenza in data 12 gennaio 1981, respinse le domande, in quanto il testamento olografo poteva essere impugnato solo con querela di falso e, in ogni caso, per essere infondate nel merito (per totale carenza di prova sulla falsità del documento e sulla dedotta incapacità del defunto e per infondatezza della domanda relativa alla concessione alla vedova del solo usufrutto);
che proposto appello avverso detta decisione da parte di A.C. e B. – e deceduti nelle more del giudizio C.A. , cui subentravano gli eredi P.D. e L. , e A.C. , cui subentrava l’erede universale B.A.G. – la Corte d’appello di Roma, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 29 ottobre 2007, ha respinto il gravame;
che la Corte territoriale ha premesso che l’autonomo giudizio relativo alla querela di falso intrapreso nel corso del lunghissimo processo dagli attori deve ritenersi necessariamente estinto e, come tale, privo di effetto, avendo la Corte di cassazione (con sentenza n. 2671 del 2001) annullato la sentenza d’appello in merito e non essendo stato riassunto il giudizio, come necessario, avanti ad altra sezione della Corte d’appello, né avendo avuto alcun effetto il giudizio di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, dichiarato inammissibile;
che la Corte d’appello ha quindi rilevato, per quanto qui di interesse, che non è stato contestato con specifico motivo di gravame il punto in cui il Tribunale ha espressamente dichiarato che il testamento olografo avrebbe dovuto essere impugnato con querela di falso secondo le norme di cui all’art. 221 cod. proc. civ. (non essendo ammissibile la verificazione negativa dell’autografia di un testamento olografo), sicché la relativa statuizione non può che restare ferma, con impossibilità di una declaratoria di falso di detto testamento;
che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno proposto separati ricorsi: B.A.G. , con atto notificato il 18 gennaio 2008, sulla base di due motivi; e A.B. , con atto notificato in data 11-21 gennaio 2008, sulla base, anch’esso, di due mezzi;
che l’uno e l’altro ricorso sono resistiti da P.D. e L. , i quali hanno anche proposto, a loro volta, un ricorso incidentale, anche condizionato, nei confronti di B.A.G. , ed altro nei confronti di A.B. ;
che A.B. ha controricorso al ricorso incidentale dei P. ;
che in prossimità dell’udienza tutte le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che con il primo motivo del ricorso principale (violazione ed erronea applicazione degli artt. 214-215 e 216 cod. proc. civ., 112 cod. proc. civ., 324 cod. proc. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) il B.A. sostiene: che nessun giudicato interno od implicito si è formato in ordine al capo della sentenza del Tribunale di Roma in base al quale il testamento olografo, di cui si contesti l’autenticità, deve essere impugnato con querela di falso secondo le norme di cui all’art. 221 cod. proc. civ., escludendo con ciò che fosse sufficiente disconoscere la scrittura contestata; che non sussisteva alcuna preclusione per la Corte d’appello di decidere in merito al disconoscimento ex artt. 214 e ss. cod. proc. civ. del testamento olografo del de cuius; che il testamento olografo può essere disconosciuto dall’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e che l’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato incombe su chi vanti diritti in forza di esse – che il secondo motivo del medesimo ricorso (violazione ed erronea applicazione degli artt. 214, 215 e 216 cod. proc. civ., 2697 e 2702 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ., 533 cod. civ., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) è affidato ai seguenti quesiti: “il procedimento incidentale di verificazione del testamento olografo ad accertare l’autenticità del documento ha finalità e contenuto istruttori, dovendosi inquadrare nell’ambito dell’attività probatoria delle parti, in quanto preordinato all’utilizzazione della prova documentale ex art. 2702 cod. civ.”; “la mancata richiesta di verificazione del testamento olografo da parte dell’erede testamentario rende inutilizzabile la scheda testamentaria con la conseguenza che la Corte d’appello doveva dare corso ed esaminare la domanda di petizione ereditaria ex art. 533 cod. civ. dichiarando aperta la successione legittima”; che, con il primo motivo di ricorso, A.B. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 163, 345 e 112 cod. proc. civ., anche in relazione agli artt. 214 e ss. cod. proc. civ.: con esso si sostiene che gli appellanti non solo avevano espressamente censurato la sentenza di primo grado nella parte il cui il Tribunale si era semplicemente creato un tipo di domanda (la querela di falso) che gli attori avrebbero formulato, ma che essi appellanti avevano fermamente censurato quella parte della sentenza di primo grado che aveva ritenuto che l’unico mezzo previsto dal vigente sistema processuale per infirmare la verità del testamento olografo fosse la querela di falso; e poiché la volontà degli appellanti era di ribadire anche nella sede di gravame la contestazione dell’autenticità del testamento olografo, era onere della C. , istituita erede con il detto testamento, di chiedere la verificazione della scrittura testamentaria ove avesse voluto continuare ad avvalersene;
che con il secondo mezzo del medesimo ricorso (violazione e falsa applicazione degli artt. 214 e ss., 221 e ss., anche in relazione agli artt. 163, 345 e 112 cod. proc. civ.) si sostiene che alla parte nei cui confronti venga prodotto un testamento olografo deve ritenersi consentita la facoltà di disconoscerlo, cosi facendo carico alla controparte di chiederne la verificazione addossandosi il relativo onere probatorio;
che i motivi del ricorso di B.A.G. e di A.B. pongono la questione dello strumento processuale utilizzabile per contestare l’autenticità del testamento olografo;
che sul punto si confrontano, nella giurisprudenza di questa Corte, due orientamenti;
che, secondo un primo indirizzo, poiché il testamento olografo è un documento che non perde la sua natura di scrittura privata per il fatto che deve rispondere ai requisiti di forma imposti dalla legge (art. 602 cod. civ.) e che deriva la sua efficacia dal riconoscimento, espresso o tacito, che ne faccia il soggetto contro il quale la scrittura è prodotta, quest’ultimo, ove voglia impedire tale riconoscimento e contesti globalmente l’intera scheda testamentaria, deve proporre il disconoscimento, che pone a carico della controparte l’onere di dimostrare, in contrario, che la scrittura non è stata contraffatta e proviene, invece, effettivamente dal suo autore apparente (Sez. 2, 16 ottobre 1975, n. 3371; Sez. 2, 5 luglio 1979, n. 3849);
che – in questa linea – si è precisato che qualora sia fatta valere la falsità del testamento olografo, l’azione – che ha ad oggetto l’accertamento dell’inesistenza dell’atto — soggiace allo stesso regime probatorio stabilito nel caso di nullità prevista dall’art. 606 cod. civ. per la mancanza dei requisiti estrinseci del testamento, sicché – avuto riguardo agli interessi dedotti in giudizio dalle parti – nell’ipotesi di conflitto tra l’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e chi vanti diritti in forza di esso, l’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato incombe sul secondo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, grava sull’erede legittimo: pertanto sulla ripartizione dell’onere probatorio non ha alcuna influenza la posizione processuale assunta dalle parti, essendo irrilevante se l’azione sia stata esperita dall’erede legittimo (per fare valere, in via principale, la falsità del documento) ovvero dall’erede testamentario che, agendo per il riconoscimento dei diritti ereditari, abbia visto contestata l’autenticità del testamento da parte dell’erede legittimo (Sez. 2, 12 aprile 2005, n. 7475; Sez. 2, 11 novembre 2008, n. 26943);
che, secondo un altro indirizzo, la contestazione dell’autenticità del testamento olografo si risolve in un’eccezione di falso e deve essere sollevata (tenuto conto dell’idoneità del testamento olografo a devolvere l’eredità quale effetto immediato conseguente alla pubblicazione, ai sensi dell’art. 620, sesto comma, cod. civ., e dell’equiparazione che, a certi fini, la legge penale ne fa agli atti pubblici) solo nei modi e con le forme di cui all’art. 221 e ss. cod. proc. civ. (Sez. 2, 3 agosto 1968, n. 2793; Sez. 2, 30 ottobre 2003, n. 16362);
che quest’ultimo indirizzo ha trovato un avallo in un obiter delle Sezioni Unite contenuto nella recente sentenza 23 giugno 2010, n. 15169;
che, infatti, chiamate a risolvere il contrasto di giurisprudenza insorto sui modi di contestazione delle scritture provenienti da terzi estranei alla lite, le Sezioni Unite hanno si enunciato la regola della libertà di forma nella contestazione delle scritture private provenienti da terzi (motivandola sul rilievo che ad esse non è applicabile né la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 cod. civ., né quella processuale di cui all’art. 214 cod. proc. civ., atteso che costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati proba-tori acquisiti al processo), ma hanno perimetrato detta regola con la precisazione che nell’ambito delle scritture private un diverso trattamento deve tuttavia essere riservato a quelle – come, appunto, il testamento olografo – la cui natura conferisce loro un’incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l’autenticità;
che l’affermazione incidentale delle Sezioni Unite non ha sopito il contrasto all’interno della Sezione;
che, da un lato, la sentenza 23 dicembre 2011, n. 28637, si è posta sulla scia dei precedenti che ammettono che il testamento olografo può essere semplicemente disconosciuto, ai sensi dell’art. 214 cod. proc. civ., dall’erede legittimo che ne assuma la falsità, in tal modo gravandosi l’erede testamentario che voglia valersi del testamento dell’onere di dar corso al procedimento di verificazione della scrittura (art. 216 cod. proc. civ.);
che, dall’altro lato, con la sentenza 24 maggio 2012, n. 8272, si è data continuità “alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 16362/03), che risulta ora confermata dalle Sezioni Unite (15169/10) le quali, pur rivedendo l’orientamento precedente in ordine alle scritture provenienti da terzi, hanno ribadito che deve riservarsi diverso trattamento a quelle (come il testamento olografo) la cui natura conferisce loro una incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l’autenticità”;
che, pertanto, il collegio ritiene che di dover rimettere gli atti al primo presidente affinché eventualmente disponga che la Corte pronunci a Sezioni Unite sulla questione, già decisa in senso difforme all’interno della Sezione semplice, di quale sia lo strumento processuale utilizzabile per contestare l’autenticità del testamento olografo.

P.Q.M.

La Corte rimette gli atti al primo presidente affinché eventualmente disponga che, sull’indicato contrasto, la Corte pronunci a Sezioni Unite.

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