SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II PENALE
Sentenza 2 febbraio 2012, n. 4490
Fatto
1. Con sentenza pronunciata in data 19/01/2011, il g.u.p. del Tribunale di Firenze dichiarava il non luogo a procedersi nei confronti di C.M. imputata:
a) del reato di cui all’art. 81 cpv e 494 c.p. per avere, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, indebitamente utilizzato in più occasioni (non meno di 50) il permesso per invalidi n (…) rilasciato dal Comune di Firenze in favore di C.A.R. e telepass abbinato n (omissis), esponendoli sul veicolo nella sua disponibilità targato (OMISSIS), salvo se altri, in assenza dell’invalida: permesso grazie al quale, accedeva tramite corsie preferenziali e porte telematiche alla ZTL ove parcheggiava senza pagare alcunché e ciò anche per recarsi al CEPU di via (…), nei giorni di martedì, mercoledì e venerdì.
b) del reato di cui all’art. 81 cpv. e 640 I e II comma c.p., perché, con la condotta indicata sub a) poneva in essere artifici e raggiri tali da indurre in errore personale preposto del Comune di Firenze ai controlli al traffico circa la regolarità del parcheggio e della non debenza del pagamento di ogni tipo di tariffa e ciò al fine di procurarsi tale ingiusti profitti nonché quello di non essere sanzionato per violazione al Cds e con pari danno per l’Amministrazione Comunale. Fatti commessi ed accertati in Firenze dal 17.11 2009 sino all’11.5.10 e comunque, necessariamente il 11.5.2010 (data del sequestro del permesso).
2. Avverso la suddetta sentenza, il P.M. presso il tribunale di Firenze ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi:
1. VIOLAZIONE dell’art. 494 C.P. per avere il g.u.p disatteso la giurisprudenza di questa Corte di legittimità la quale ha ravvisato la sostituzione di persona nell’ipotesi in cui un soggetto si attribuisca una falsa qualità alla quale l’ordinamento attribuisce effetti giuridici;
2. violazione dell’art. 640 C.P. atteso che sarebbe limitativa ogni interpretazione riduttiva di patrimonio e di “atto di disposizione negativo” in quanto “oggi gli introiti delle violazioni al CDS sono addirittura poste attive dei bilanci, sia preventivi che consuntivi, delle amministrazioni comunali e quindi il loro mancato introito costituisce sia di fatto che di diritto un vero e proprio atto di disposizione negativo”;
3. VIOLAZIONE dell’art. 48 C.P. perché in ogni caso, la condotta dell’imputata sarebbe penalmente rilevante con riferimento alle ipotesi di cui agli artt. 323 o 477 c.p. per avere indotto in errore i funzionari comunali avendo loro fatto falsamente avvalorare ed attestare come regolari i passaggi registrati dalle porte telematiche, invece irregolari, conseguentemente inducendoli in errore e facendo loro omettere di elevare le dovute violazioni al CDS.
Diritto
p. 1. violazione dell’art. 494 C.P.: il fatto materiale, contestato al capo d’imputazione sub a), è stato dal g.u.p. ricostruito nei seguenti termini: “[…] in nessuna occasione la C. è stata fermata dai Vigili Urbani e ha sostenuto di essere entrata nella ZTL per soddisfare esigenze della invalida: nella prima occasione l’autovettura era stata sanzionata perché era stata parcheggiata davanti ad un passo carrabile (la C. non era presente); in tutte le altre occasioni, poi, l’ingresso nella ZTL è stata registrata dal sistema delle “porte telematiche” in forma “oggettiva” (in sostanza sono stati registrati i passaggi dell’apparecchio “telepass” installato sul mezzo), senza che alcuno venisse ingannato su chi stava conducendo l’autovettura e sui motivi dell’ingresso nella zona”.
p. 1.1. Il g.u.p. ha ritenuto che il reato fosse insussistente sotto il profilo oggettivo perché:
– “Il solo fatto di esporre il contrassegno ed utilizzare il telepass quando l’auto non venga realmente utilizzata per trasportare la persona titolare non equivale in alcun modo ad una dichiarazione di avere generalità diverse da quelle reali o ad attribuire al conducente una qualifica o una qualità soggettiva né di essere il titolare del contrassegno e la condotta non può dunque neppure astrattamente essere ricondotta a quella sanzionata dall’art. 494 c.p. Le uniche qualifiche soggettive desumibili dal contrassegno sono quelle relative al soggetto che ne è titolare, ovvero al suo stato di invalidità. La semplice esposizione sul parabrezza del contrassegno è, invece, un comportamento che vale ad attestare che sul veicolo viaggia una persona invalida ma non attribuisce, neppure implicitamente od indirettamente, qualifiche soggettive al proprietario o al conducente. E’ il veicolo, infatti, che, in quanto al servizio della persona invalida, gode di specifiche autorizzazioni amministrative (transito in ZTL, parcheggio senza vincoli di tempo, in zone vietate agli altri utenti ecc), autorizzazioni tra l’altro fruibili nei modi più disparati, perché l’invalido può guidare da solo in quanto abile alla guida, può necessitare di un autista, può necessitare di persone che lo accompagnano per scendere dall’autovettura, può essere il proprietario o meno dell’autovettura, circostanze tutte assolutamente non desumibili dalla semplice esposizione del permesso sul parabrezza. Importante ed ulteriore conseguenza è che la condotta di colui che espone il contrassegno sull’autovettura non può essere ritenuta implicitamente e univocamente indicativa dello “stato o della qualità di accompagnatore”;
– manca il soggetto che sarebbe stato “indotto in errore”, in quanto in nessuna occasione la C. fu fermata dai Vigili Urbani.
p. 1.2. In punto di fatto, va innanzitutto rilevato che il ricorrente nulla ha obiettato in ordine alla motivazione addotta dal g.u.p. circa l’assenza del soggetto che sarebbe stato indotto in errore, tale, ovviamente, non potendosi considerare il telepass: tanto basterebbe già per ritenere l’inammissibilità del ricorso in quanto il reato in questione è configurabile solo quando siano dimostrati – da parte della pubblica accusa – i due elementi materiali previsti dalla norma, ossia:
1) l’attribuzione di una qualità (nella specie, invalida) a cui la legge attribuisce effetti giuridici; 2) l’induzione in errore di un terzo.
p. 1.3. Il fatto, però, anche in via di stretto diritto, nelle modalità con cui risulta essere stato accertato, è privo di rilevanza penale, per le ragioni di seguito indicate.
Dal combinato disposto degli artt. 188 Cds e 381 Reg. Cds, si desume che:
– le persone invalide hanno diritto ad usufruire delle strutture che il comune deve predisporre al fine di consentirne ed agevolare la mobilità;
– in particolare, ex art. 381 reg. cit., “per la circolazione e la sosta dei veicoli a servizio delle persone invalide con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta, il sindaco rilascia apposita autorizzazione in deroga, previo specifico accertamento sanitario. L’autorizzazione è resa nota mediante l’apposito “contrassegno invalidi” di cui alla figura V.4. Il contrassegno è strettamente personale, non è vincolato ad uno specifico veicolo ed ha valore su tutto il territorio nazionale”;
– l’art. 188/3 cit., dispone che “i veicoli al servizio di persone invalide autorizzate a norma del comma 2 non sono tenuti all’obbligo del rispetto dei limiti di tempo se lasciati in sosta nelle aree di parcheggio a tempo determinato”; – l’art. 183/4 sanziona, infine, amministrativamente, “Chiunque usufruisce delle strutture di cui al comma 1, senza avere l’autorizzazione prescritta dal comma 2 o ne faccia uso improprio”. Dalla suddetta normativa si evince, quindi, che:
a) l’autorizzazione è strettamente personale essendo rilasciata a favore di una determinata persona invalida;
b) la persona invalida munita della suddetta autorizzazione può usufruire delle apposite strutture indipendentemente dall’auto che usa. Richiamata la normativa in materia, resta ora da chiarire se la semplice esposizione sul parabrezza di un’auto della suddetta autorizzazione da parte di un soggetto che non sia invalido” costituisca o meno sostituzione di persona.
In relazione all’art. 494 c.p.” – reato a forma vincolata commissiva – va precisato che la condotta materiale ivi prevista consiste in un comportamento positivo suscettivo di trarre in inganno un terzo, condotta che la norma prevede in quattro forme: 1) sostituzione materiale della propria all’altrui persona; 2) attribuzione a sé o ad altri di un falso nome; 3) attribuzione di un falso stato; 4) attribuzione di qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici. La norma, pertanto, è ben chiara nel prevedere una duplice condotta da parte dell’agente: 1) la prima che sta a monte e che si concretizza in una delle quattro forme appena dette; 2) un ulteriore comportamento che sta a valle e che consiste nell’induzione in errore di un terzo al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o recare ad altri un danno.
Nel caso di specie, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, escluse le prime tre ipotesi, l’imputata si sarebbe resa responsabile dell’attribuzione di qualità cui la legge attribuisce effetti giuridici, ossia si sarebbe falsamente attribuita la qualità di invalida al fine di usufruire delle agevolazioni riservate agli invalidi dal Cds. Sennonché, proprio sotto il profilo fattuale, non è dato comprendere come l’esposizione su un parabrezza di un’auto di una semplice autorizzazione possa, da una parte, attribuire automaticamente la qualità di invalido al conducente dell’auto e, dall’altro, indurre in errore chi è preposto alla sorveglianza ed al controllo. Infatti, la semplice esposizione dell’autorizzazione, di per sé, è un fatto a valenza neutra in quanto indica semplicemente che quella determinata auto, essendo posta al servizio di una persona invalida ossia del titolare dell’autorizzazione esposta ha diritto ad una serie di agevolazioni. Ma quella autorizzazione non indica che al conducente debba essere attribuita la qualità di invalido perché, ad es., ben potrebbe essere un semplice autista che accompagna, ha accompagnato o si reca a prelevare l’invalido titolare dell’autorizzazione.
Di conseguenza, poiché l’art. 494 c.p. prevede un comportamento attivo del soggetto agente, perché sia configurabile il reato occorre che il suddetto soggetto, a fronte di un controllo da parte degli organi deputati ad eseguirlo, mostri l’autorizzazione spacciandosi per il titolare della medesima.
Solo in tal caso, il reato potrebbe ipotizzarsi nella forma tentata o consumata, a seconda delle concrete circostanze di fatto: infatti, dal combinato disposto degli artt. 188/2 c.d.s., 381/2 reg. c.d.s. e 494 c.p. si desume agevolmente che, poiché unico soggetto legittimato ad ottenere l’autorizzazione (e le conseguenti agevolazioni) è l’invalido, solo ove un terzo si attribuisse la suddetta qualità sarebbe perseguibile penalmente, mentre, ad es., non lo sarebbe se si qualificasse (falsamente) come un semplice accompagnatore. Infatti, in tale ultima ipotesi, nessuna norma attribuisce l’effetto giuridico alla suddetta qualità atteso che l’accompagnatore usufruisce dei vantaggi dell’autorizzazione non per sé ma in quanto, appunto, accompagnatore dell’invalido. Pertanto, ove venga fermato senza l’invalido a bordo dell’auto e si accerti che utilizzava abusivamente l’autorizzazione, l’unica sanzione che può essergli comminata è quella amministrativa ex art. 188/4 Cds, salvo la revoca dell’autorizzazione. Nella fattispecie in esame, invece, come risulta incontestatamente dalla sentenza impugnata, “in nessuna occasione la C. è stata fermata dai Vigili Urbani”, sicché non si comprende sulla base di quale elemento fattuale il P.M. ricorrente possa sostenere che l’imputata si era attribuita la qualifica di invalida e chi avrebbe indotto in errore.
Il problema dell’interferenza fra l’art. 188 CDS che prevede la semplice sanzione amministrativa e l’art. 494 c.p., e della conseguente applicazione dell’art. 9 L. 689/1981 (a norma del quale quando “uno stesso fatto” è sanzionato sia da una norma penale, che da una norma che prevede una sanzione amministrativa o da più disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale) non si pone in quanto il fatto non è lo stesso: una cosa, infatti, è circolare in zona vietata senza autorizzazione, altro è il comportamento di chi, facendolo, simula la propria qualità di disabile.
p. 1.4. Sennonché, il ricorrente invoca, a favore della sua tesi, una serie di sentenze di questa Corte di legittimità (Cass. 19567/2010 riv 247499; Cass. 12753/1998 riv 213419), che, però, attengono a fattispecie del tutto diverse che nulla hanno a che vedere con quella in esame:
– Cass. 19567/2010 tratta una fattispecie di falsità materiale;
– Cass. 12753/1998 riguarda il caso di un soggetto che, avendo esibito una paletta della Polizia di Stato allo scopo di evitare la contestazione di sosta del proprio veicolo in zona vietata, fu ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 494 cod. pen.
In realtà, le sentenze che si sono occupate della presente fattispecie sono le seguenti:
– Cass. 18080/2010 Rv. 247139 secondo la quale “non integra il reato di sostituzione di persona (art. 494 cod. pen.) la condotta di colui che esponga sul cruscotto dell’auto un contrassegno per invalidi rilasciato ad un parente, in quanto la mera esposizione del contrassegno invalidi sull’auto, in assenza di altri qualificanti comportamenti, non integra la condotta positiva suscettiva di trarre in inganno necessaria per ravvisare gli estremi del delitto di cui all’art. 494 cod. pen.”;
– Cass 35004/2010 Rv. 248249 che ha ribadito che “non integra né il delitto di sostituzione di persona, né quello di truffa ai danni dell’ente territoriale che esercita la vigilanza della viabilità la condotta di colui che esponga sul parabrezza dell’auto un contrassegno per invalidi, rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo del veicolo, al fine di accedere all’interno di una zona a traffico limitato e percorrere le corsie preferenziali dì un centro urbano”;
– Cass. 10203/2011 Rv. 249950, la quale ha ritenuto, invece, che “integra il delitto di cui all’art. 494 cod. pen. il conducente del veicolo che circoli, in contrasto con il codice della strada, in zona vietata qualora esponga il contrassegno di autorizzazione rilasciato a persona disabile che non si trovi sul veicolo, in quanto, in tal caso, egli simula la qualità di titolare o di guidatore autorizzato anche al trasporto occasionale del titolare; tale fatto è diverso da quello sanzionato in via amministrativa dall’art. 188 comma quarto c.d.s, che concerne la condotta di chi non sia munito del detto contrassegno o dello stesso disabile che non rispetti le condizioni ed i limiti prescritti”;
– Cass. 45328/2011 che, andando espressamente in contrario avviso alla sentenza da ultimo citata, ha ribadito la tesi maggioritaria, osservando che “soprattutto il confronto tra eccesso d’uso e l’uso improprio dell’autorizzazione, è illuminante della volontà del legislatore di ‘coprire’ con la norma speciale anche i casi di chi utilizzi indebitamente un permesso invalidi altrui, consentendo anche in questo caso l’operatività del principio di specialità di cui all’art. 9 L. 24 novembre 1981 n. 689, applicabile quando il medesimo fatto sia punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa (cfr, ad es., in tema di inottemperanza del conducente di un veicolo all’invito a fermarsi da parte di un ufficiale di polizia municipale Corte di Cassazione 17/09/2008 Beninati, che ha ritenuto ravvisatole, in questo caso, l’illecito amministrativo previsto dall’art. 192, comma primo, cod. strad., e non il reato di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità previsto dall’art. 650 cod. pen.)”.
Questa Corte condivide la giurisprudenza maggioritaria i cui principi vanno, quindi, ribaditi.
Infatti, non è sufficiente, perché sia configurabile l’art. 494 c.p., che il conducente del veicolo che circoli in zona vietata in contrasto con la norma del C.d.S., esponga “il contrassegno di autorizzazione rilasciato a persona disabile che non si trovi sul veicolo”: l’esposizione dell’autorizzazione è un comportamento neutro ed è poco significativo che l’invalido non si trovi sull’auto perché, ad es., potrebbe essere già stato accompagnato a casa o l’autista si sta ivi recando per prelevarlo.
Di conseguenza, la condotta del reato non è configurabile nell’ipotesi in cui l’agente si limiti alla semplice esibizione, sul parabrezza di un’autovettura, del contrassegno invalidi, proprio perché la suddetta condotta “non implica una “dichiarazione” di attestazione della presenza del titolare del permesso a bordo dell’autovettura medesima, come presupposto dell’auto-attribuzione della qualità di “accompagnatore” da parte del conducente”. Il principio di diritto che, pertanto, si deve ribadire è il seguente “non integra il delitto di sostituzione di persona la condotta di colui che si limiti ad esporre sul parabrezza dell’auto un contrassegno per invalidi, rilasciato ad altra persona che non si trova a bordo del veicolo, al fine di accedere all’interno di una zona a traffico limitato e percorrere le corsie preferenziali di un centro urbano, in assenza di comportamenti idonei a trarre in errore, sul suo stato di falso invalido, il personale preposto all’accertamento e controllo”.
p. 2. violazione dell’art. 640 C.P.: il g.u.p. ha dichiarato la non procedibilità in ordine al suddetto reato con la seguente motivazione: “Il reato di tentata truffa aggravata ai danni di ente pubblico non può essere riconosciuto sussistente: nel reato di truffa l’agente, con artifizi o raggiri, inducendo la vittima in errore, mira a ottenere un atto di libera disposizione negoziale con incidenza sul patrimonio della vittima che quell’atto non avrebbe compiuto in mancanza dell’attività fraudolenta del soggetto attivo.
Il reato in argomento mira a tutelare i beni patrimoniali del soggetto passivo e la sua libertà di determinazione negoziale in modo che gli atti di disposizione siano compiuti in assenza di qualsiasi elemento perturbatore, quale la frode altrui, e quindi, in definitiva, a salvaguardare la volontà degli atti giuridici aventi riflesso sulla sfera patrimoniale in modo che essa stessa volontà sia libera di determinarsi. L’errore derivante dalla frode, dunque, deve avere la conseguenza di indurre il soggetto passivo a compiere un atto di disposizione patrimoniale, di natura privatistica, che viene a configurarsi, secondo una consolidata dottrina, quale requisito implicito indispensabile per la consumazione del reato. Al di fuori di questo schema non può esservi truffa. E si è completamente al di fuori di tale schema quando la frode sia destinata a incidere sull’autorità amministrativa tenuta ad accertare una violazione amministrativa nell’ambito di un procedimento destinato alla verifica della sussistenza delle condizioni per l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione di cui all’art. 18 della 1.24 novembre 1981, n. 689, quale che sia il tipo procedimentale adottato dal legislatore in relazione alla molteplicità delle violazioni costituenti illeciti amministrativi previste dall’ordinamento, ivi compreso, ovviamente, quello delineato negli artt. 203 e 204 c.d.s., tipologia la quale prevede che, prima della emanazione della ordinanza- ingiunzione, il trasgressore (o gli altri soggetti indicati nell’alt. 196 del c.d.s.) possano proporre ricorso al prefetto, avverso il verbale di contestazione, entro sessanta giorni dalla contestazione o dalla notificazione. Non può, dunque, sussistere il reato contestato nella specie, neppure sotto la forma del tentativo. Nel procedimento volto all’accertamento della infrazione amministrativa l’autorità che irroga la sanzione, quando consegua la emanazione della ordinanza- ingiunzione, in nessun modo compie un atto che possa essere riguardato come un atto di libera disposizione negoziale incidente sul patrimonio della pubblica amministrazione rappresentata né, tanto meno, sul patrimonio del trasgressore, ma pone in essere un atto autoritativo, di tipo ablatorio, che, anche se noti avente carattere giurisdizionale, costituisce manifestazione tipica dei pubblici poteri sanzionatori. Ugualmente il prefetto non compie alcun atto negoziale nel caso in cui emetta ordinanza motivata di archiviazione ai sensi dell’art. 204, primo comma, ultimo periodo c.d.s., ipotesi nella quale, pure, compie attività tipicamente inerente all’esercizio di una pubblica funzione. Il P.M., tuttavia, si riferisce ad una induzione in errore in ordine alla “non debenza del pagamento di ogni tipo di parcheggio”. L’imputazione non è chiara, ma sembra riferirsi alla possibilità che l’autovettura entrata nella ZTL attraverso la porta telematica abbia potuto fermarsi in qualche parcheggio a pagamento senza alcun pagamento di ticket da parte del conducente. In realtà il mero ingresso (legittimo o meno) nella zona a traffico limitato di un’autovettura non costituisce affatto prova – e nemmeno indizio – che l’autovettura, successivamente all’ingresso, si sia fermata in un parcheggio pubblico a pagamento e che il suo conducente abbia approfittato del contrassegno per invalidi esposto (come si è detto: anche questa circostanza niente affatto provata) per non pagare il canone del parcheggio: l’autovettura avrebbe potuto, ad esempio, non fermarsi (usando il centro storico solo per attraversamento per giungere alla parte opposta della città) o fermarsi in parcheggio non a pagamento”.
p. 2.1. Il P.m. ricorrente ha obiettato che “vero è che l’art. 640 c.p. è nel capo II “dei delitti contro il patrimonio con frode”, ma pare ormai limitativa ogni interpretazione riduttiva di “patrimonio” e di “atto di disposizione negativo” se vero – e lo è certamente per le Amministrazioni Comunali – che oggi gli introiti delle violazioni al CDS sono addirittura poste attive dei bilanci – sia preventivi che consuntivi – delle amministrazioni comunali e quindi il loro mancato introito costituisce sia di fatto che di diritto un vero e proprio atto di disposizione negativo”.
p. 2.2. La tesi è fuorviante perché il P.M. non considera che si verte in una fattispecie penale e che i presupposti giuridici sono quelli tradizionali correttamente evidenziati dal g.u.p. D’altra parte, per confutare la preoccupazione del P.M. diretta alla tutela della casse pubbliche, è sufficiente osservare che quei comportamenti non rimangono senza sanzione perché è prevista ugualmente la sanzione amministrativa che è del tutto indipendente da quella penale.
p. 3. violazione DELL’art. 48 C.P.: la censura è infondata in quanto, come si è detto, in punto di fatto, il g.i.p. ha accertato che “manca il soggetto che sarebbe stato “indotto in errore”“, in quanto in nessuna occasione la C. fu fermata dai Vigili Urbani.
p. 4. In conclusione, il ricorso, essendo infondato, va rigettato.
P.Q.M.
RIGETTA il ricorso.
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