Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione

sezione II
sentenza 15 gennaio 2014, n. 1401

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENTILE Domenico – Presidente
Dott. PRESTIPINO Antonio – Consigliere
Dott. MACCHIA Alberto – Consigliere
Dott. IASILLO Adriano – Consigliere
Dott. BELTRANI Sergio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 926/2004 CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA, del 27/09/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/11/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FODARONI Giuseppina che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente all’omessa concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena per (OMISSIS), con rigetto nel resto del suo ricorso, ed inammissibilita’ dei ricorsi dei coimputati;
udita l’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia di (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso;
rilevata la regolarita’ degli avvisi di rito.
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Reggio Calabria, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Locri in composizione monocratica che, in data 2 aprile 2004, aveva dichiarato gli odierni ricorrenti colpevoli di concorso nella ricettazione di particolare tenuita’ di una scheda SIM provento di furto denunziato in data 22 gennaio 1999, accertata nel maggio del 1999, condannando tutti – ritenute le circostanze attenuanti generiche in favore del solo (OMISSIS) – alle pene per ciascuno ritenute di giustizia.
1.1. Deve, in proposito, immediatamente evidenziarsi che, pur a fronte di una piu’ ampia contestazione, riguardante la ricezione di “un telefono cellulare marca Motorola Mod. Star Tac 85 completo di scheda SIM con due microprocessori uno avente n. (OMISSIS) OMNITEL e l’altro con il n. (OMISSIS) OMNITEL, provento di furto denunciato da (OMISSIS) in data 22.01.1999 presso i CC Stazione di Bologna – Arcoveggio. In (OMISSIS)” (cfr. capo di imputazione riportato in epigrafe della sentenza di primo grado), e pur se il dispositivo della sentenza di primo grado dichiara gli odierni ricorrenti colpevoli “del reato a loro ascritto in rubrica”, la motivazione del Tribunale e’ all’evidenza chiara e netta nell’affermare la responsabilita’ dei tre unicamente in relazione alla ricettazione di una scheda SIM (quella utilizzata per effettuare molestie telefoniche in danno di (OMISSIS), che avevano dato il via alle odierne indagini): “Per quanto attiene alla condotta posta in essere dagli odierni imputati, non vi e’ dubbio che la stessa rientri in una di quelle previste dall’articolo 628 c.p. (rectius, articolo 648), avendo il (OMISSIS), il (OMISSIS) e lo (OMISSIS) ricevuto ed utilizzato piu’ volte la scheda telefonica di proprieta’ del (OMISSIS) a lui precedentemente asportata. La sussistenza dell’elemento psicologico e’, poi, pienamente provata dal fatto che gli odierni imputati hanno utilizzato una scheda telefonica sui loro apparecchi conoscendone la provenienza delittuosa, in quanto nessuno di loro era il titolare della stessa, e non essendo questa pervenuta in loro possesso secondo le normali regole del commercio in tale settore”.
1.2. Altrettanto trasparente appare la volonta’ della Corte di appello di confermare (tra l’altro, in difetto di un appello del P.M., il che precludeva tout court la possibilita’ di modificare in peius il dictum del Tribunale) la predetta pronunzia.
2. Avverso tale provvedimento, gli imputati (tutti con l’ausilio di difensori iscritti nell’apposito albo speciale) hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
ricorso (OMISSIS):
1 – inosservanza od erronea applicazione dell’articolo 648 c.p. in relazione agli articoli 187, 192 e 533 c.p.p., per insufficienza della prova oltre ogni ragionevole dubbio della commissione del reato (lamenta, in concreto, che l’imputato sia stato condannato sulla base di un mero e singolo indizio, per giunta in mancanza della prova del necessario elemento soggettivo (per difetto di consapevolezza), essendo stato valorizzato unicamente l’accertamento di aver fatto telefonate di molestia ad una donna, inserendo sul proprio telefono cellulare una delle SIM rubate);
2 – contraddittorieta’ ovvero manifesta illogicita’ della motivazione della sentenza impugnata (con espresso riferimento ai rilievi di cui a ff. 4 e 5), per le medesime ragioni;
3 – lamenta, infine, che il reato, accertato nel maggio del 1999, sarebbe comunque estinto per prescrizione.
Ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata, con ogni conseguenza di legge, ovvero dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Ricorso (OMISSIS):
1 – violazione dell’articolo 648 cpv. c.p. e mancanza di motivazione: dopo avere asseritamente trascritto integralmente l’atto di appello, lamenta omessa motivazione quanto al necessario dolo specifico di ricettazione, essendo all’uopo irrilevante il mero utilizzo per pochi minuti di una SIM card di provenienza furtiva; lamenta, per le stesse ragioni, violazione dell’articolo 648 c.p.;
2 – vizio di motivazione quanto al presunto utilizzo della SIM card ricettata da parte dell’imputato (lamenta in proposito che nulla dimostrava che l’imputato avesse disponibilita’ del telefono cellulare sul quale risultava inserita la predetta SIM card, poiche’ il predetto telefono cellulare non risultava intestato all’imputato: a tali rilievi, costituenti oggetto dell’appello, la Corte di appello avrebbe opposto una motivazione illogica);
3 – vizio di motivazione quanto all’omessa applicazione della sospensione condizionale della pena (lamenta omessa motivazione da parte della Corte di appello in ordine alla relativa richiesta, formulata con l’atto di appello).
Ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
Ricorso (OMISSIS):
1 – violazione dell’articolo 648 c.p. – articolo 27 Cost. – articolo 192 c.p.p. (lamenta che manchi la prova dell’avvenuto utilizzo, da parte dell’imputato, del telefono cellulare nel quale era stata inserita la scheda telefonica di provenienza furtiva).
Ha concluso chiedendo la cassazione della sentenza impugnata, con adozione di ogni altro provvedimento correlato.
3. All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarita’ degli avvisi di rito, le parti presenti hanno concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato mediante lettura in udienza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di (OMISSIS) e’ fondato limitatamente alla sospensione condizionale della pena, ed e’, nel complesso, infondato nel resto; sono, nel complesso, infondati anche i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS).
I LIMITI DEL SINDACATO DI LEGITTIMITA’ SULLA MOTIVAZIONE.
1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimita’ sulla motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge n. 46 del 2006, che, a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la possibilita’, per il giudice della legittimita’, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione, finalizzata a sovrapporre la propria valutazione a quella gia’ effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimita’ limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si e’ avvalso per giustificare il suo convincimento.
1.1. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali puo’, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il cd. “travisamento della prova” (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessita’ che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisivita’ nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica), purche’ siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessita’ di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
1.1.1. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), intenda far valere il vizio di “travisamento della prova” deve, a pena di inammissibilita’ (Cass. pen., Sez. 1, sentenza n. 20344 del 18 maggio 2006, CED Cass. n. 234115; Sez. 6, sentenza n. 45036 del 2 dicembre 2010, CED Cass. n. 249035):
(a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza;
(b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata;
(c) dare la prova della verita’ dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonche’ dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;
(d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilita’” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
1.1.2. In proposito, puo’ ritenersi ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimita’, il principio della cd. “autosufficienza del ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte Suprema.
Valorizzando dapprima la formulazione dell’articolo 360 c.p.p., comma 1, n. 5, (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione: “(…) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio”; la disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle modifiche apportate dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito in Legge n. 134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione “(…) 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”), ed attualmente la formulazione (introdotta dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006) dell’articolo 366 c.p.p., comma 1, n. 6, (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilita’: “(…) 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”), si e’ osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessita’ di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte (Cass. civ. Sez. 2, sentenza 2 dicembre 2005, n. 26234, CED Cass. n. 585217; Sez. lav., sentenza 17 agosto 2012, n. 14561, CED Cass. n. 623618).
Tenuto conto dei principi e delle finalita’ complessivamente sottesi al giudizio di legittimita’, questa Corte Suprema ha gia’ ritenuto che “la teoria dell’autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, e’ onere del ricorrente suffragare la validita’ del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificamente indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato gia’ dedotto in precedenza), posto che anche in sede penale – in virtu’ del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato – deve ritenersi precluso a questa Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso” (Sez. 1, sentenza n. 16706 del 18 marzo – 22 aprile 2008, CED Cass. n. 240123; Sez. 1, sentenza n. 6112 del 22 gennaio – 12 febbraio 2009, CED Cass. n. 243225; Sez. 5, sentenza n. 11910 del 22 gennaio – 26 marzo 2010, CED Cass. n. 246552, per la quale e’ inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicita’ della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, cosi’ da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze; Sez. 6, sentenza n. 29263 dell’8-26 luglio 2010, CED Cass. n. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilita’ e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non puo’ limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto e’ alla stessa precluso; Sez. 2, sentenza n. 25315 del 20 marzo – 27 giugno 2012, CED Cass. n. 253073, per la quale in tema di ricorso per cassazione, e’ onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l’atto asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimita’ o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione).
In proposito, va, pertanto, affermato il seguente principio di diritto:
“In tema di ricorso per cassazione, va recepita e applicata anche in sede penale la teoria della “autosufficienza del ricorso”, elaborata in sede civile; ne consegue che, quando i motivi riguardino specifici atti processuali, la cui compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, e’ onere del ricorrente suffragare la validita’ del suo assunto mediante l’allegazione o la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificamente indicati, non potendo egli limitarsi ad invitare la Corte Suprema alla lettura degli atti indicati, posto che anche in sede penale e’ precluso al giudice di legittimita’ l’esame diretto degli atti del processo”.
1.2. La mancanza, l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimita’, devono risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validita’, e meritano di essere tuttora condivisi, i principi affermati da questa Corte Suprema, Sez. un., sentenza n. 24 del 24 novembre 1999, CED Cass. n. 214794; Sez. un., sentenza n. 12 del 31 maggio 2000, CED Cass. n. 216260; Sez. un., sentenza n. 47289 del 24 settembre 2003, CED Cass. n. 226074).
Devono tuttora escludersi la possibilita’, per il giudice di legittimita’, di “un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonche’ i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi” (Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 14624 del 20 marzo 2006, CED Cass. n. 233621; Sez. 2, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789), e di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o dell’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 6, sentenza n. 27429 del 4 luglio 2006, CED Cass. n. 234559; Sez. 6, sentenza n. 25255 del 14 febbraio 2012, CED Cass. n. 253099).
1.3. Il giudice di legittimita’ ha, pertanto, ai sensi del novellato articolo 606 c.p.p., il compito di accertare (Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 35964 del 28 settembre 2006, CED Cass. n. 234622; Sez. 3, sentenza n. 39729 del 18 giugno 2009, CED Cass. n. 244623; Sez. 5, sentenza n. 39048 del 25 settembre 2007, CED Cass. n. 238215; Sez. 2, sentenza n. 18163 del 22 aprile 2008, CED Cass. n. 239789):
(a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra individuati);
(b) la decisivita’ del materiale probatorio richiamato (che deve essere tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da determinare almeno una complessiva incongruita’ della motivazione);
(c) l’esistenza di una radicale incompatibilita’ con l’iter motivazionale seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto;
(d) la sussistenza di una prova omessa od inventata, e del ed. “travisamento del fatto”, ma solo qualora la difformita’ della realta’ storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu oculi ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non e’ sindacabile in sede di legittimita’ se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio).
1.4. Va, infine, evidenziato che non e’ denunciabile il vizio di motivazione con riferimento a questioni di diritto.
1.4.1. Invero, come piu’ volte chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema (Sez. 2, sentenze n. 3706 del 21. – 27 gennaio 2009, CED Cass. n. 242634, e n. 19696 del 20 – 25 maggio 2010, CED Cass. n. 247123), anche sotto la vigenza dell’abrogato codice di rito (Sez. 4, sentenza n. 6243 del 7 marzo – 24 maggio 1988, CED Cass. n. 178442), il vizio di motivazione denunciabile nel giudizio di legittimita’ e’ solo quello attinente alle questioni di fatto e non anche di diritto, giacche’ ove queste ultime, anche se in maniera immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano comunque esattamente risolte, non puo’ sussistere ragione alcuna di doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano.
E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale erroneita’ degli argomenti posti a fondamento giustificativo della soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. 4, sentenza n. 4173 del 22 febbraio – 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993).
Va, pertanto, ribadito il seguente principio di diritto: “nel giudizio di legittimita’ il vizio di motivazione non e’ denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di merito, allorquando la soluzione di esse sia giuridicamente corretta. D’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere soltanto dall’errata soluzione delle suddette questioni, non dall’indicazione di ragioni errate a sostegno di una soluzione comunque giuridicamente corretta).
LA NECESSARIA SPECIFICITA’ DEL RICORSO PER CASSAZIONE.
2. La giurisprudenza di questa Corte Suprema e’, condivisibilmente, orientata nel senso dell’inammissibilita’, per difetto di specificita’, del ricorso presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa (Sez. 6, sentenza n. 32227 del 16 luglio 2010, CED Cass. n. 248037: nella fattispecie il ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o insufficienza e/o illogicita’ della motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale; Sez. 6, sentenza n. 800 del 6 dicembre 2011 – 12 gennaio 2012, Bidognetti ed altri, CED Cass. n. 251528).
Invero, l’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), stabilisce che i provvedimenti sono ricorribili per “mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”.
La disposizione, se letta in combinazione con l’articolo 581 c.p.p., comma 1, lettera c), (a norma del quale e’ onere del ricorrente “enunciare i motivi del ricorso, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”) evidenzia che non puo’ ritenersi consentita l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso, essendo onere del ricorrente di specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorieta’ od alla manifesta illogicita’ ovvero a una pluralita’ di tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata.
Il principio e’ stato piu’ recentemente accolto anche da questa sezione, a parere della quale “E’ inammissibile, per difetto di specificita’, il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla contraddittorieta’ od alla manifesta illogicita’ ovvero a piu’ di uno tra tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della motivazione oggetto di gravame” (Sez. 2, sentenza n. 31811 dell’8 maggio 2012, CED Cass. n. 254329).
Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione risulta priva della necessaria specificita’, il che rende il ricorso inammissibile.
2.1. Infine, secondo altro consolidato e condivisibile orientamento di questa Corte Suprema (per tutte, Sez. 4, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. 6, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), e’ inammissibile per difetto di specificita’ il ricorso che riproponga pedissequamente le censure dedotte come motivi di appello (al piu’ con l’aggiunta di frasi incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata) senza prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtu’ delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.
2.1.1. Si e’, infatti, esattamente osservato (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584) che “La funzione tipica dell’impugnazione e’ quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilita’ (articoli 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione e’, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioe’ con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta).
2.1.2. Il motivo di ricorso in cassazione e’ caratterizzato da una “duplice specificita’”: “Deve essere si anch’esso conforme all’articolo 581 c.p.p., lettera C (e quindi contenere l’indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice dell’impugnazione); ma quando “attacca” le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresi’, contemporaneamente enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i tre, soli, previsti dall’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), deducendo poi, altrettanto specificamente, le ragioni della sua decisivita’ rispetto al percorso logico seguito dal giudice del merito per giungere alla deliberazione impugnata, si’ da condurre a decisione differente” (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).
2.1.3. Risulta, pertanto, evidente che, “se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, per cio’ solo si destina all’inammissibilita’, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale e’ previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente “attaccato”, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, e’ di fatto del tutto ignorato. Ne’ tale forma di redazione del motivo di ricorso (la riproduzione grafica del motivo d’appello) potrebbe essere invocata come implicita denuncia del vizio di omessa motivazione da parte del giudice d’appello in ordine a quanto devolutogli nell’atto di impugnazione. Infatti, quand’anche effettivamente il giudice d’appello abbia omesso una risposta, comunque la mera riproduzione grafica del motivo d’appello condanna il motivo di ricorso all’inammissibilita’. E cio’ per almeno due ragioni. E’ censura di merito. Ma soprattutto (il che vale anche per l’ipotesi delle censure in diritto contenute nei motivi d’appello) non e’ mediata dalla necessaria specifica e argomentata denuncia del vizio di omessa motivazione (e tanto piu’ nel caso della motivazione cosiddetta apparente che, a differenza della mancanza “grafica”, pretende la dimostrazione della sua mera “apparenza” rispetto ai temi tempestivamente e specificamente dedotti); denuncia che, come detto, e’ pure onerata dell’obbligo di argomentare la decisivita’ del vizio, tale da imporre diversa conclusione del caso”.
2.1.4. Puo’, pertanto, concludersi che “la riproduzione, totale o parziale, del motivo d’appello ben puo’ essere presente nel motivo di ricorso (ed in alcune circostanze costituisce incombente essenziale dell’adempimento dell’onere di autosufficienza del ricorso), ma solo quando cio’ serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che, ancora indefettibilmente, si riferisce al provvedimento impugnato con il ricorso e con la sua integrale motivazione si confronta. A ben vedere, si tratta dei principi consolidati in materia di “motivazione per relazione” nei provvedimenti giurisdizionali e che, con la mera sostituzione dei parametri della prima sentenza con i motivi d’appello e della seconda sentenza con i motivi di ricorso per cassazione, trovano piena applicazione anche in ordine agli atti di impugnazione” (Sez. 6, sentenza n. 8700 del 21 gennaio – 21 febbraio 2013, CED Cass. n. 254584).
LA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA D’APPELLO.
3. Anche il giudice d’appello non e’ tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacche’ le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilita’ con la ricostruzione effettuata (per tutte, Cass. pen., Sez. 6, sentenza n. 1307 del 26 settembre 2002 – 14 gennaio 2003, CED Cass. n. 223061).
3.1. In presenza di una doppia conforma affermazione di responsabilita’, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilita’ della motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli gia’ esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non e’ tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate.
In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruita’ della motivazione, tanto piu’ ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicche’ le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entita’ (Cass. pen., Sez. 2, sentenza n. 1309 del 22 novembre 1993 – 4 febbraio 1994, CED Cass. n. 197250; Sez. 3, sentenza n. 13926 del 1 dicembre 2011 – 12 aprile 2012, CED Cass. n. 252615).
L’AFFERMAZIONE DI RESPONSABILITA’ “OLTRE OGNI RAGIONEVOLE DUBBIO”.
4. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione “oltre ogni ragionevole dubbio”, presente nel testo novellato dell’articolo 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione inerente all’affermazione di responsabilita’ dell’imputato, e’ opportuno evidenziare che, al di la’ dell’icastica espressione, mutuata dal diritto anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua valutazione, di cui e’ permeato il nostro sistema processuale.
Si e’, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha una funzione meramente descrittiva piu’ che sostanziale, giacche’, in precedenza, il “ragionevole dubbio” sulla colpevolezza dell’imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, sicche’ non si e’ in presenza di un diverso e piu’ rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma e’ stato ribadito il principio, gia’ in precedenza immanente nel nostro ordinamento costituzionale ed ordinario (tanto da essere gia’ stata adoperata dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, Sez. un., sentenza n. 30328 del 10 luglio 2002, CED Cass. n. 222139 -, e solo successivamente recepita nel testo novellato dell’articolo 533 c.p.p.), secondo cui la condanna e’ possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilita’ dell’imputato (Cass. pen., Sez. 2, sentenza n. 19575 del 21 aprile 2006, CED Cass. n. 233785; Sez. 2, sentenza n. 16357 del 2 aprile 2008, CED Cass. n. 239795).
In argomento, si e’ piu’ recentemente, e conclusivamente, affermato (Sez. 2, sentenza n. 7035 del 9 novembre 2012 – 13 febbraio 2013, CED Cass. n. 254025) che “La previsione normativa della regola di giudizio dell'”al di la’ di ogni ragionevole dubbio”, che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza, non ha introdotto un diverso e piu’ restrittivo criterio di valutazione della prova ma ha codificato il principio giurisprudenziale secondo cui la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza processuale della responsabilita’ dell’imputato”.
I RICORSI.
5. Alla luce di queste necessarie premesse vanno esaminati gli odierni ricorsi.
6. Il primo ed il secondo motivo del ricorso (OMISSIS), il primo ed il secondo motivo del ricorso (OMISSIS) ed il motivo del ricorso (OMISSIS) possono essere esaminati congiuntamente; essi risultano in parte generici e manifestamente infondati, in parte infondati.
6.1. Deve premettersi che, come anticipato nel p. 2 di queste Considerazioni in diritto, la censura la censura alternativa ed indifferenziata di contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione (2 motivo (OMISSIS)) risulta priva della necessaria specificita’, il che rende il ricorso inammissibile.
6.2. Cio’ premesso, deve rilevarsi l’infondatezza, nel merito, delle ulteriori comuni doglianze degli imputati.
La Corte di appello, richiamando le argomentazioni del Tribunale (come si e’ visto essere fisiologico in presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilita’), ha valorizzato, a fondamento delle affermazioni di responsabilita’, gli esiti dell’istruttoria dibattimentale, ed in particolare (f. 4 s. della sentenza impugnata, nonche’ sentenza di primo grado da essa richiamata) gli esiti degli accertamenti svolti sui tabulati telefonici e sugli abbinamenti tra la scheda telefonica de qua e gli apparecchi cellulari – individuati attraverso il codice IMEI – nei quali essa era stata inserita, riferiti dall’isp. (OMISSIS): “la PG, sulla base dell’abbinamento del numero di scheda intestata al (OMISSIS) (il derubato) al numero seriale identificativo dei singoli telefoni cellulari intestati agli odierni imputati risaliva a questi ultimi quali utilizzatori della scheda telefonica del (OMISSIS) per porre in essere le molestie telefoniche ai danni di (OMISSIS) (che avevano poi dato il via alle indagini in ordine alle odierne vicende); (…) dalla deposizione dell’isp. (OMISSIS), infatti, risulta che la scheda rubata al (OMISSIS) fu utilizzata a turno e per numerose volte – anche sette od otto volte – dai cellulari intestati ai tre odierni imputati ed anche a breve distanza di tempo (a pochi minuti l’uno dall’altro) proprio per porre (in essere) le molestie telefoniche in danno di (OMISSIS)”.
Sul display dell’apparecchio della (OMISSIS) era ripetutamente apparso, infatti, il numero di una utenza cellulare corrispondente ad una di quelle che risultavano appartenenti (e sottratte) al (OMISSIS).
La Corte di appello ha, inoltre, motivatamente ritenuto attendibili le dichiarazioni del derubato (OMISSIS), il quale aveva ricordato che, mentre dormiva a bordo del suo camion, aveva subito il furto di un telefono e di due schede telefoniche, ed aveva spiegato “che aveva all’epoca omesso di indicare tutte le SIM che gli erano state rubate ed in particolare quella utilizzata dagli imputati, in quanto non ricordava il numero”, conclusivamente ritenendo accertata “la sicura provenienza furtiva delle SIM e del telefono, per come accertato dalla P.G. procedente”.
Quanto all’elemento psicologico, ha valorizzato il dato del difetto di plausibili spiegazioni in ordine alla disponibilita’ della predetta res furtiva da parte degli imputati, “che non offrivano alcun ulteriore elemento per orientare diversamente le indagini” “.
6.2.1. Tale motivazione non e’ censurabile in questa sede, poiche’ il mero possesso ingiustificato di cose sottratte consente la configurazione del delitto di ricettazione, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilita’ del possesso alla commissione del furto.
Nel caso di specie, all’elemento della accertata utilizzazione di una delle schede sottratte, il giudice di merito, con apprezzamento insindacabile in questa sede di legittimita’, contrappone l’assenza di giustificazioni sulla disponibilita’ di essa da parte degli imputati: in tal modo, non si richiede ad essi di provare la provenienza del possesso delle cose, ma soltanto di fornire una attendibile spiegazione dell’origine del possesso delle cose medesime, assolvendo non ad onere probatorio, bensi’ ad un onere di allegazione di elementi, che potrebbero costituire l’indicazione di un tema di prova per le parti e per i poteri officiosi del giudice, e che comunque possano essere valutati da parte del giudice di merito secondo i comuni principi del libero convincimento (in tal senso, Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 35535 del 12 luglio – 26 settembre 2007, CED Cass. n. 236914).
D’altro canto, questa Corte Suprema ha gia’ osservato, con orientamento ormai consolidato, in difetto di voci difformi (per tutte, Sez. 2, sentenza n. 29198 del 25 maggio 2010, CED Cass. n. 248265) che ai fini della configurabilita’ del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo puo’ essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale e’ sicuramente rivelatrice della volonta’ di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede.
Nel caso di specie, la Corte di appello si e’ correttamente conformata a questo orientamento, con motivazione fondata su argomentazioni esaurienti, logiche e non contraddittorie, che risulta, pertanto, esente da vizi rilevabili in questa sede.
6.2.2. I rilievi che precedono evidenziano l’infondatezza delle doglianze difensive, essendo gli imputati stati condannati sulla base non di un mero indizio, ma della acquisita prova della disponibilita’ della res furtiva e della consapevolezza della sua provenienza illecita (1 e 2 motivo (OMISSIS); 1 motivo (OMISSIS)), ed essendo stata acquisita la prova (non frutto di travisamento, non allegato ne’, comunque, documentato nei modi di rito, come premesso nei p.p. 1.1. ss. di queste Considerazioni in diritto) che i tre telefoni cellulari utilizzati – previo inserimento della scheda SIM di provenienza furtiva – per molestare la (OMISSIS) fossero in disponibilita’ dei tre odierni ricorrenti (II motivo (OMISSIS); 1 motivo (OMISSIS)).
6.3. Il terzo motivo del ricorso (OMISSIS) e’ manifestamente infondato: pur se si volesse computare la decorrenza del termine di prescrizione a partire dalla data di denunzia del furto (22 gennaio 1999) il reato non sarebbe, infatti, prescritto, poiche’ il relativo termine e’ pari a 15 anni e sarebbe in scadenza a partire dal 22 gennaio 2014.
Detto termine deve, infatti, essere determinato secondo la formulazione degli articoli 157 e ss. c.p. vigente prima delle modifiche apportate alle predette disposizioni dalla Legge n. 251 del 2005, in quanto la sentenza di primo grado risale al 2 aprile 2004, e, pertanto, alla data di entrata in vigore della novella il procedimento pendeva in grado di appello, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema: “Ai fini dell’operativita’ delle disposizioni transitorie della nuova disciplina della prescrizione, la pronuncia della sentenza di primo grado, indipendentemente dall’esito di condanna o di assoluzione, determina la pendenza in grado d’appello del procedimento, ostativa all’applicazione retroattiva delle norme piu’ favorevoli” (Sez. un., sentenza n. 15933 del 24 novembre 2011 – 24 aprile 2012, CED Cass. n. 252012).
6.4. Il terzo motivo del ricorso (OMISSIS) e’ fondato.
6.4.1. Dalla sentenza impugnata risulta che uno dei motivi dell’appello presentato nel conto del predetto imputato riguardava la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena (f. 3), e che lo (OMISSIS) era incensurato (f. 5), il che esclude la possibilita’ di un rigetto implicito dell’appello per insussistenza di uno dei presupposti richiesti dagli articoli 163 ss. c.p. per la concessione del beneficio de quo.
Risulta, altresi’, che la Corte ha esaminato, rigettandolo, un motivo di appello tendente alla concessione dello stesso beneficio, presentato nell’interesse del coimputato (OMISSIS), rimanendo del tutto ed immotivatamente silente su quello presentato nell’interesse dello (OMISSIS).
6.4.2. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo giudizio sul punto.
6.4.3. In applicazione di quanto previsto dall’articolo 624 c.p.p., comma 2, deve dichiararsi che questa sentenza ha, nei confronti dello (OMISSIS), autorita’ di giudicato quanto all’affermazione di responsabilita’ ed alla determinazione del trattamento sanzionatorio.
7. Il rigetto totale dei ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) comporta, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria per nuovo giudico sul punto. Rigetta nel resto il ricorso del predetto imputato.
Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali.

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