La massima
La violazione dell’art. 95 del D.P.R. n. 380 del 2001 è configurabile anche nella fattispecie in cui non sia stato utilizzato il cemento armato per la realizzazione dell’intervento edilizio, non rilevando, ai fini della configurabilità delle contravvenzioni previste da tale norma, la natura dei lavori (ovvero che si tratti di interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ovvero di interventi di nuova costruzione), in quanto la violazione delle norme antisismiche e sul cemento armato presuppone soltanto l’esecuzione di lavori edilizi in zona sismica ovvero che comportino l’utilizzo del cemento armato.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II PENALE
Sentenza 13 gennaio 2012, n. 884
Svolgimento del processo
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza qui impugnata, i due ricorrenti sono stati condannati, ciascuno, alla pena di Euro 335 di ammenda per la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 95.
Avverso tale decisione, gli imputati hanno proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:
1) violazione di legge per mancata applicazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 22, comma 2. Si fa, infatti, notare che gli interventi edilizi erano stati assentiti a mezzo DIA e che i lavori eseguiti in difformità non avevano avuto alcuna incidenza strutturale nè urbanistica. Detto in estrema sintesi, non sussistendo violazioni penalmente rilevanti, non si sarebbe neppure in presenza di violazioni per mancata comunicazione del progetto agli uffici competenti ai fini dei calcoli sul c.a. ed antisismici;
2) insufficienza e contraddittorietà della motivazione che si basa su una decisione della cassazione che, se letta interamente, porta al convincimento che, ai fini della sussistenza del reato contestato è necessario, non solo, che i lavori siano avvenuti in zona sismica ma anche che le opere siano state in cemento armato. Si ribadisce, poi, che tutti i tecnici hanno sostenuto che si trattava di “inconsistenti modifiche” e che, comunque, l’onere faceva capo unicamente al costruttore e non al progettista (tale era il N.R.).
I ricorrenti concludono invocando l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
2. – Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile.
Ed infatti, la questione della non incidenza sostanziale dei lavori è irrilevante. Essa è stata posta anche alla Corte d’appello che vi ha risposto ricordando l’orientamento di questa S.C. (sez. 3, 8.10.08 Sansone, Rv, 241783) secondo cui, ai fini della configurabilità delle contravvenzioni previste dal D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 71 e 95, è irrilevante la natura dei lavori (ovvero che si tratti di interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ovvero di interventi di nuova costruzione), in quanto la violazione delle norme antisismiche e sul cemento armato presuppone soltanto l’esecuzione di lavori edilizi in zona sismica ovvero che comportino l’utilizzo del cemento armato.
Quindi è corretto quanto affermano i giudici di merito che, “per il solo fatto di avere eseguito una (diverso) intervento edilizio in zona sismica, indipendentemente dalla natura e pericolosità degli stessi lavori, entrambi gli imputati, il N., quale direttore dei lavori ed il R., quale committente, erano tenuti agli obblighi di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 93”.
La teoria del ricorrente secondo cui, per la configurabilità della contravvenzione in discussione, sarebbero necessari, in contemporanea, sia che la costruzione avvenga in zona sismica, sia che venga utilizzato il c.a. specula su una errata lettura della sentenza di questa S.C. e, soprattutto ignora il dato normativo (D.P.R. n. 380 del 2001, art. 93) di tenore assolutamente in equivoco nell’affermare che chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni o sopraelevazioni in zona sismica “è tenuto a darne preavviso scritto allo sportello unico”. Nessuna distinzione è fatta in ordine alla entità dei lavori e neppure è richiesto che essi avvengano “anche” in cemento armato.
L’inammissibilità del presente ricorso non consente (su. 22.3.05, Bracale, Rv. 231164) il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p. come, nella specie, la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza qui impugnata con il ricorso in data 24.1.11.
Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000.
P.Q.M.
Visti l’art. 615 c.p.p. e ss.;
dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000.
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