Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 12 novembre 2013, n. 25441
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Chieti con sentenza n. 381/03 rigettava il ricorso per manutenzione del possesso proposto da A..C. nei confronti del proprio zio, L..C. , che aveva spedito alla nipote, in data 23.11.200 un telegramma – ritenuto lesivo del possesso – del seguente testuale tenore: “Al solo fine di evitare l’inizio di altro giudizio ti invito a sgomberare i locali di mia proprietà posti al piano superiore ed a togliere i lucchetti abusivamente ed illegittimamente apposti il tutto entro tre giorni da oggi”. La C. , nel suo ricorso introduttivo depositato in data 14.2.200, facendo riferimento ad altre pregresse controversie possessorie insorte tra lei e il proprio zio riguardanti l’immobile sito in (omissis) , assumeva che il menzionato telegramma costituiva un nuovo fatto di disturbo che poneva in pericolo il riconosciuto suo possesso dell’immobile in questione. Il tribunale aveva ritenuto il predetto telegramma inidoneo alla turbativa dell’altrui possesso, per la considerazione che aveva fatto seguito a procedure ex art. 703 c.p.c. che avevano avuto esito sfavorevole per l’attrice, inserendosi nell’ambito di una complessa vicenda giudiziaria tra le parti, che involgeva anche questioni petitorie.
La sentenza de qua veniva appellata da C.A. , e l’adita Corte d’Appello de L’Aquila, nella resistenza dell’appellato, con sentenza n. 794/06 depositata il 7.11.06, rigettava l’appello, confermando la pronuncia impugnata. La corte confermava che l’appellante non poteva richiamare a sostegno della nuova domanda possessoria gli stessi fatti che erano stati oggetto della precedente azione possessoria ormai conclusa, come stabilito e rilevato dal 1 giudice. Il telegramma poi non costituiva alcuna violazione del possesso, in quanto conteneva piuttosto espressioni intese ad evitare, ove possibile, l’insorgenza di un’ulteriore controversia giudiziaria tra le parti.
A..C. , ricorre per la cassazione della suddetta pronunzia sulla base di n. 3 motivi. Resiste l’intimato C.L. con controricorso, illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi delle decisione
1 – Con il primo motivo del ricorso l’esponente denuncia l’omessa o insufficiente motivazione su punti decisivi della controversia; sostiene che la domanda possessoria in esame è del tutto autonoma dalle precedenti, in quanto con la domanda de qua non si richiedeva un nuovo accertamento e giudizio su fatti di turbativa già posti in essere dal L..C. ed oggetto di altri ricorsi possessori ancora pendenti per il merito. Quindi a nulla rileva la questione del formarsi del giudicato di cui parla la Corte territoriale in relazione a i fatti costituenti l’oggetto della precedente azione possessoria, fatti che erano stati da lei richiamati ma al solo fine illustrativo della complessa vicenda in esame, caratterizzata da più azioni di spoglio o di turbativa, poste in essere a “singhiozzo” in relazione a diverse stanze dell’immobile in questione.
2 – Con il 2 motivo, la ricorrente denunzia il vizio di motivazione e la violazione art. 1362 c.c., nonché l’erronea interpretazione e valutazione delle istanze istruttorie. Sostiene che il telegramma di cui trattasi ben poteva costituire una turbativa o molestia (di diritto) del possesso dell’immobile in questione, avuto riguardo alle pregresse vicende intercorse tra le parti, anche se le stesse non erano state ritenute dal giudice violazioni del possesso.
Entrambe le doglianze – congiuntamente esaminate in quanto connesse – non hanno pregio.
Può dirsi pacifico che la presente controversia è una autonoma e distinta domanda possessoria che ha come oggetto unicamente la valutazione del “telegramma” alla stregua di una molestia possessoria di diritto ai sensi dell’art. 1170 c.c.
La Corte territoriale ha argomentativamente chiarito che il telegramma non metteva in alcun modo in pericolo il possesso dell’attrice, essendo evidente che lo stesso mirava solo a prevenire altre liti tra le parti. È invero opportuno ricordare che il testo del telegramma è il seguente: “Al solo fine di evitare l’inizio di altro giudizio ti invito a sgomberare i locali di mia proprietà posti al piano superiore ed a togliere i lucchetti abusivamente ed illegittimamente apposti il tutto entro tre giorni da oggi”. Trattasi invero di una manifestazione di volontà non esprimente l’intenzione di mettere in pericolo il possesso altrui, ma di affermare un proprio diritto, sia pure con la negazione di un diritto d’altri; tutto ciò però non appare certamente idoneo a mettere in pericolo il possesso che la ricorrente assume di avere sull’immobile in questione. D’altra parte la vantazione del giudice distrettuale sul punto, in quanto congruamente motivata, non può essere censurata in questa sede di legittimità.
Tale conclusione del resto è conforme all’insegnamento di questa S.C. (sentenza n. 20800 del 10/10/2011) secondo cui: “La molestia possessoria può realizzarsi, anche senza tradursi in attività materiali, attraverso manifestazioni di volontà che devono – però – esprimere la ferma intenzione del dichiarante di tradurre in atto il suo proposito, mettendo in pericolo l’altrui possesso. Invece, se le manifestazioni di volontà – siano esse verbali o scritte – siano rivolte all’affermazione di un diritto proprio o alla negazione di un diritto altrui, senza far temere imminenti azioni materiali contrastanti con la situazione di possesso, non si è in presenza di molestia possessoria, bensì solo di espressioni intese ad evitare – se possibile – una controversia giudiziaria. La ricorrenza di una o dell’altra ipotesi rientra nella valutazione del giudice di merito, il cui accertamento – se adeguatamente motivato – sfugge al controllo di legittimità“. (Cass. n. 1409 del 19/02/1999).
3 – Passando al 3 motivo con esso la ricorrente denuncia la violazione dell’art. art. 112 c.p.c.: omessa pronuncia sulla subordinata domanda, ovvero violazione dell’art. 184 c.p.c. in quanto il giudice di 1 grado non aveva consentito all’esponente di formulare le sue deduzioni istruttorie, nonostante la tempestiva richiesta di termini di cui al predetto art. 184 c.p.c., richiesta che non era stata accolta. La doglianza – a parte la sua novità – non ha alcun pregio, essendo evidente che sul punto vi era stata comunque una pronuncia implicita trattandosi di deduzioni istruttorie evidentemente ritenute del tutto irrilevanti ed inconferenti con il “thema decidendum”, riguardante unicamente la valutazione di tale “telegramma”.
Il ricorso dev’essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 1.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.
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