Il Giudice che accerti che una parte ha ritualmente ritirato il proprio fascicolo ai sensi dell’art. 169 c.p.c., senza che poi il medesimo risulti, al momento della decisione, nuovamente depositato o reperibile, non è tenuto, in difetto di annotazioni della cancelleria o di ulteriori allegazioni indiziarie attinenti ai fatti che impongano accertamenti presso quest’ultima, a rimettere la causa sul ruolo per consentire alla medesima parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di deciderla controversia allo stato degli atti
Suprema Corte di Cassazione
sezione II civile
sentenza 23 febbraio 2017, n. 4680
Svolgimento del processo
Il signor C.S. ricorre contro il sig. T.M. per la cassazione della sentenza con cui la corte d’appello di Roma, confermando la sentenza del tribunale della stessa città, ha rigettato la domanda da lui proposta contro il medesimo T. per il pagamento di 20 milioni di lire a titolo di compenso di mediazione per la vendita di un bar ristorante di via del (omissis) .
La corte d’appello dava preliminarmente atto del fatto che il fascicolo di parte del sig. C. era stato ritirato all’udienza di precisazione conclusioni del 30.6.05 e non era stato successivamente depositato.
Tanto premesso, la corte distrettuale disattendeva preliminarmente la tesi del C. secondo cui la sentenza di primo grado sarebbe stata nulla per non aver dichiarato l’interruzione del processo a seguito della sospensione dall’albo degli avvocati del difensore in primo grado dello stesso C. (avvocato Mauro Orlanducci). Tale decisione si fonda sulla seguente duplice ratio decidendi:
a) in primo luogo la corte distrettuale argomenta che, in mancanza del fascicolo di parte, non erano in atti i documenti necessari per la dimostrazione dei fatti su cui la doglianza dell’appellante si basava;
b) in secondo luogo la corte distrettuale argomenta che, comunque, dal fascicolo d’ufficio di primo grado si rilevava che, nel periodo di sospensione del avvocato Mauro Orlanducci (dal 7/4/2001 al 6/7/2001) non era stata tenuta alcuna udienza e non era stata svolta alcuna attività processuale e che, per di più, nella prima udienza dopo la cessazione della sospensione, tenutasi in data 23/2/2002, l’avvocato Orlanducci era regolarmente comparso e aveva precisato le conclusioni per il C. , così dimostrando di voler comunque proseguire il giudizio, con conseguente superamento del motivo di interruzione.
Nel merito la corte capitolina rigettava la doglianza del C. argomentando che la mancanza del fascicolo di parte, per un verso, impediva l’esame della scrittura contrattuale inter partes e, quindi, di valutare la fondatezza della tesi dell’appellante secondo cui il rapporto dedotto in giudizio si sarebbe dovuto qualificare come mandato, invece che come mediazione; per altro verso, escludeva la acquisizione al processo di qualunque prova idonea a dimostrare l’assunto, posto dal C. a fondamento della propria pretesa, che la causa di cessazione del rapporto fosse addebitabile al T. .
Il ricorso per cassazione si fonda su un unico motivo, riferito alla violazione degli articoli 2697 c.c. e 169 c.p.c..
Il sig. T.M. non ha spiegato attività difensiva in questa sede.
La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 26.10.16, per la quale non sono state depositate memorie illustrative e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione
L’unico mezzo di ricorso si articola in due distinte censure.
Con la prima censura si attinge la statuizione con cui la corte romana ha disatteso l’eccezione di nullità della sentenza di primo grado, con conseguente richiesta di rimessione del processo in primo grado, sollevata nell’appello del sig. C. . Secondo il ricorrente la corte distrettuale, nell’affermare che la mancanza del fascicolo di primo grado non le consentiva di verificare i fatti dedotti a fondamento della suddetta eccezione, sarebbe incorsa nell’errore di non rilevare che l’intervenuta sospensione dell’avv. Orlanducci dall’albo degli avvocati risultava ampiamente documentata dal fascicolo di ufficio del giudizio di primo grado.
La doglianza non può trovare accoglimento, in quanto essa non si misura compiutamente con la motivazione della sentenza gravata, trascurando di censurare la ratio decidendi sopra sintetizzata sub b), secondo cui la sospensione dell’avv. Orlanducci non aveva inciso sullo svolgimento del processo, in quanto, per un verso, i suoi effetti si erano esauriti interamente in un arco di tempo in cui non c’era stata alcuna attività processuale e, per altro verso, nella prima udienza successiva alla cessazione della sospensione, l’avv. Orlanducci aveva ripreso l’esercizio della difesa del C. .
Con la seconda censura il ricorrente deduce che, ai sensi dell’articolo 169 c.p.c., la corte distrettuale avrebbe dovuto avvertirlo del fatto che il suo fascicolo di parte non era stato ridepositato e assegnargli un termine sostituire il difensore e ricostruire e depositare detto fascicolo.
Anche questa seconda doglianza va giudicata infondata perché, contrariamente a quanto argomentato dal ricorrente, l’articolo 169 c.p.c. non prevede che, in caso di mancato deposito di un fascicolo di parte regolarmente ritirato, il giudice debba segnalare la circostanza alla parte personalmente; questa Corte ha infatti più volte ribadito, da ultimo con la sentenza n. 10741/15, che il giudice che accerti che una parte ha ritualmente ritirato il proprio fascicolo ai sensi dell’articolo 169 c.p.c., senza che poi il medesimo risulti, al momento della decisione, nuovamente depositato o reperibile, non è tenuto, in difetto di annotazioni della cancelleria e di ulteriori allegazioni indiziarie attinenti a fatti che impongano accertamenti presso quest’ultima, a rimettere la causa sul ruolo per consentire alla medesima parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la controversia allo stato degli atti.
Il ricorso va quindi, conclusivamente, rigettato.
Non vi è luogo a regolazione delle spese del giudizio di cassazione, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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