Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 7 febbraio 2014, n. 2795
Svolgimento del processo
Con decreto in data 7 novembre 1996 il Tribunale di Napoli ingiunse al Comune di Napoli di pagare al sig. F.R. , nella qualità di rappresentante del condominio sito in (omissis) , ed erede del sig. F.A. , la somma di £. 48.119.548, oltre interessi, a titolo di saldo finale del contributo per la ricostruzione post-terremoto (legge 14 maggio 1981 n. 219) del predetto fabbricato, assegnatogli con provvedimento del Sindaco di Afragola del 6 gennaio 1990 n. 127, che contestualmente aveva autorizzato l’esecuzione dei lavori di consolidamento dell’edificio; nel ricorso monitorio egli aveva dedotto di avere presentato il III SAL comprensivo dello stato finale per il completamento dei lavori e, tuttavia, di avere ricevuto soltanto la somma inferiore di L. 116.718.709.
Il Comune si oppose deducendo, tra l’altro, che lo stato finale dei lavori non era corredato dalla documentazione prevista dalla legge; che non era idoneo lo stato finale inserito nel III SAL; che, con delibera di giunta n. 241 del 1991, era stato stabilito che le pratiche per la determinazione del contributo definitivo dovessero ricevere il parere dell’apposita Commissione di cui all’art. 14 delle legge n. 219 del 1981; che l’interessato era incorso in decadenza, non avendo osservato i termini di inizio e ultimazione dei lavori.
L’opposizione del Comune veniva rigettata dal Tribunale di Napoli ma accolta dalla Corte di appello di Napoli, con sentenza 27 gennaio 2006, che revocava il decreto ingiuntivo e compensava le spese di entrambi i gradi del giudizio. Per quanto ancora interessa in questa sede, la corte, pur giudicando infondate le deduzioni del Comune di Napoli in ordine alla mancata acquisizione del citato parere, alla decadenza e all’irrituale inserimento dello stato finale nel III SAL, riteneva che il sig. F. R. non avesse assolto all’onere della prova in ordine alla completezza della documentazione amministrativo-contabile posta a corredo della pratica per la liquidazione del contributo a consuntivo, non rilevando che le risultanze probatorie testimoniali acquisite su istanza del Comune fossero generiche, posto che l’onere probatorio non ricadeva su di esso.
Il sig. F.R… propone ricorso per cassazione articolato in un motivo, cui resiste il Comune di Afragola con controricorso illustrato da memoria.
Motivi della decisione
Il ricorrente, imputando alla sentenza in esame violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 20 e 21 del d. lgs. 30 marzo 1990 n. 76, nonché omessa o insufficiente motivazione, assume di avere diritto al pagamento del saldo del contributo già deliberato, avendo presentato in data 3 dicembre 1990 la documentazione acquisita dal Comune di Afragola al prot. n. 17988 (III SAL comprensivo dello stato finale), ma il Comune era stato silente sull’istanza dell’interessato, non l’aveva esaminata e quindi non aveva potuto accertarne la regolarità, né aveva richiesto di regolarizzarla. La ragione della mancata liquidazione del saldo finale del contributo, quindi, non sarebbe quella ufficialmente espressa dal Comune, come si desumeva dalla testimonianza – travisata dalla corte territoriale – del geom. S.P. , il quale aveva riferito che la Giunta aveva deciso di non liquidare il saldo per mancanza del parere della Commissione. Il ricorso è fondato per quanto di ragione. La sentenza impugnata ha ritenuto che dalla testimonianza del teste escusso nel primo giudizio non potesse desumersi la prova dei fatti costitutivi del diritto dell’attore al saldo finale del contributo, non già perché quel teste fosse stato indicato dalla parte (il Comune di Napoli) sulla quale non ricadeva l’onere della prova dei fatti costitutivi della domanda, ma in considerazione della “genericità del dictum testimoniale”.
In base al principio di acquisizione probatoria, che la stessa corte del merito ha richiamato, le risultanze istruttorie comunque ottenute, quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice (tra le altre, Cass. n. 21885/2012, n. 15300/2011). Logico sviluppo di tale affermazione è che il giudice ha il dovere di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito – da qualunque parte processuale provenga – con una valutazione non atomistica ma globale nel quadro di una indagine unitaria ed organica, suscettibile di sindacato in sede di legittimità – che il ricorrente ha sollecitato – per vizi di motivazione e, ove ne ricorrano gli estremi, per scorretta applicazione delle norme riguardanti l’acquisizione della prova (Cass. n. 21909/2013).
Com’è noto, si parla di omessa motivazione in caso di difetto assoluto o apparenza di motivazione, quando il giudice di merito apoditticamente neghi che sia stata data la prova di un fatto ovvero, al contrario, affermi che sia stata fornita, omettendo un qualsiasi riferimento sia al mezzo di prova che ha avuto a specifico oggetto la circostanza controversa, sia al relativo risultato, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sulla esattezza e logicità del suo ragionamento.
È proprio questo il vizio che inficia la sentenza impugnata, la quale ha omesso di valutare in concreto la dichiarazione (trascritta nel ricorso per cassazione) del teste S. , il quale ha riferito che la ragione che indusse il Comune a non provvedere alla liquidazione del contributo non fu l’incompletezza della documentazione prodotta dal sig. F. , ma una circostanza, come la mancanza del parere della commissione di cui all’art. 14 della legge n. 219/1981, che la stessa corte di appello ha giudicato irrilevante, rigettando l’eccezione difensiva del Comune. Si tratta di un elemento di prova potenzialmente favorevole alla parte opposta a quella che ne aveva chiesto l’assunzione e non averlo valutato si traduce in una elusione del pur richiamato principio di acquisizione probatoria.
Inoltre, la Corte territoriale, giustificando il diniego dell’istanza del privato di liquidazione del saldo del contributo, in ragione della non superata eccezione del Comune di incompletezza della documentazione amministrativo-contabile posta a corredo dell’istanza del privato, non ha tenuto conto del principio, enunciato dall’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, di collaborazione, efficacia ed economicità dell’azione dell’Amministrazione pubblica, che vale anche nei procedimenti aventi ad oggetto il riconoscimento di contributi, sussidi e finanziamenti pubblici. L’Amministrazione, infatti, nell’ipotesi di documentazione incompleta od erronea, ha l’obbligo di precisare quali documenti siano eventualmente carenti e di invitare l’interessato ad integrare quelli mancanti, non potendo limitarsi a respingere la richiesta, a distanza di anni, rappresentando genericamente che la documentazione era incompleta. L’art. 21, comma 3, del d. lgs. n. 76 del 1990, nel prevedere che l’Amministrazione accerta la regolarità della documentazione amministrativo-contabile a corredo della pratica per la liquidazione del contributo in esame, pone un obbligo a suo carico, avente ad oggetto lo svolgimento di un’attività di verifica, di cui essa è tenuta a rendere conto, nell’ambito del procedimento amministrativo nel contraddittorio con il privato.
La mancata disamina logica e giuridica di tali elementi corrobora il giudizio di motivazione apparente. Il profilo concernente la dedotta violazione di legge risulta assorbito.
La sentenza impugnata è pertanto cassata, con rinvio alla Corte territoriale, in diversa composizione, cui è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
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