SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 2 agosto 2013, n. 18555
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –
Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –
Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 894-2009 proposto da:
COMPASS S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona dei procuratori speciali pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DI VILLA PAMPHILI 33, presso l’avvocato DE SANTIS LUIGI, rappresentata e difesa dagli avvocati MARTINEZ ANTONELLO, NOVEBACI CLAUDIO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
DEUTSCHE BANK S.P.A. (p.i./c.f. (OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SAVOIA 33, presso l’avvocato VESCUSO GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MULE’ GIUSEPPE, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
B.D.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 11570/2007 del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 15/01/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/06/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO DIDONE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato MARCO CALLORI, con delega in atti, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per la controricorrente, l’Avvocato GIUSEPPE VESCUSO che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per la manifesta infondatezza dei due ricorsi.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.- Con ricorso depositato il 18.1.2007 al Tribunale di Milano ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 152 B.A. espose di aver inoltrato nell’ottobre 2006 a Crif s.p.a. un’istanza di accesso ai propri dati personali, a seguito della quale aveva appreso dell’esistenza a suo carico di due segnalazioni negative, rispettivamente eseguite da Deutsche Bank s.p.a. e da Compass s.p.a.;
che in data 18.12.2006 aveva inoltrato a dette società un’istanza di accesso ai propri dati personali; che tuttavia dette richieste erano rimaste inevase. Chiese pertanto che fosse ordinato alle società convenute di dare riscontro alle istanze da essa avanzate e di comunicare i dati richiesti.
Si costituì nel giudizio Deutsche Bank s.p.a., affermando di avere dato riscontro alla richiesta della ricorrente con lettera dell’11.1.2007; che la richiesta non atteneva strettamente alla comunicazione dei suoi dati personali, quanto piuttosto all’andamento dei pagamenti eseguiti nel corso del pregresso rapporto contrattuale intercorso tra le parti, che i tempi di riscontro dell’istanza erano stati influenzati dalle festività e dall’attività di chiusura dell’anno finanziario; che in ogni caso all’epoca della trasmissione dell’istanza il rapporto di finanziamento era ancora in corso e che tutte le segnalazioni di legge erano state regolarmente eseguite, ivi compreso nell’agosto 2005 l’avviso alla controparte dell’imminente registrazione dei suoi dati in sistemi di informazioni creditizie;
che nessun danno risultava verificatosi a carico della ricorrente.
Si costituì altresì nel giudizio Compass s.p.a., producendo tutte le comunicazioni eseguite nei confronti della ricorrente nel corso del rapporto di finanziamento a suo tempo intercorso con essa, affermò che il mancato riscontro all’istanza della ricorrente era dovuto al fatto che essa ne aveva avuto conoscenza solo dalla lettura del ricorso introduttivo della presente causa, che in ogni caso il termine stabilito dal D.Lgs. n. 196 del 2003 doveva ritenersi quale condizione di procedibilità in vista della presentazione del ricorso al Garante, che comunque tutte le informazioni richieste erano state da essa già puntualmente fornite in corso di rapporto.
2.- Con sentenza depositata il 15.1.2008 il Tribunale di Milano ha dichiarato cessata la materia del contendere e, in forza del principio della soccombenza virtuale, ha condannato le società convenute al pagamento delle spese processuali all’attrice.
Ha osservato il giudice del merito che era rimasto confermato in punto di fatto che la ricorrente al momento del deposito del ricorso introduttivo della causa nessun riscontro aveva ancora ottenuto alle sue istanze da parte delle società convenute e, pur non avendo l’attrice contestato la correttezza del trattamento dei dati, tuttavia era evidente l’inadempimento all’obbligo previsto dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7 a carico dei soggetti che hanno proceduto al trattamento dei dati personali o che ne siano detentori di comunicare all’interessato l’esistenza dei dati stessi ed informazioni circa le finalità e modalità del trattamento dei medesimi. Nè il fatto che tali dati fossero stati regolarmente trasmessi alla controparte nel corso del rapporto contrattuale assumeva rilievo al fine di giustificare il mancato riscontro a tali istanze, posto che il potere attribuito dal D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7 costituiva derivazione diretta del diritto all’accesso riconosciuto in favore del singolo dal rilievo costituzionale attribuito sotto il profilo dei diritti della personalità alla riservatezza di ogni soggetto ed alla tutela della sua identità personale. Invero, l’esercizio del detto diritto può essere rivolto anche alla mera “conferma dell’esistenza o meno di dati “personali” riguardanti l’interessato, dunque anche di quelli già conosciuti dal medesimo. Al momento del deposito del ricorso – successivo di un mese alla trasmissione delle istanze di parte ricorrente – le parti convenute non avevano osservato il loro dovere di fornire all’interessata un “idoneo riscontro senza ritardo” (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 8, comma 1), non avendo evidentemente esse pienamente osservato il dovere su di esse incombente di conformare a tal fine la propria organizzazione in maniera efficiente, al fine cioè di “ridurre i tempi per il riscontro al richiedente, anche nell’ambito di uffici o servizi preposti alle relazioni con il pubblico” (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 10, comma 1, lett. b).
2.1.- Contro la sentenza del Tribunale la s.p.a. Compass ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, conclusi da idonei quesiti ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis.
La s.p.a. Deutsche Bank ha notificato controricorso con il quale ha aderito al ricorso della s.p.a. Compass. Ha formulato ricorso incidentale adesivo affidato a un motivo.
Non ha svolto difese B.A..
Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. la società ricorrente ha depositato memoria.
3.1.- Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè vizio di motivazione.
Deduce che il “diritto di accesso” D.Lgs. n. 196 del 2003, ex art. 7, comma 1, non coincide, nell’ipotesi di inosservanza del “termine” di risposta ad esso correlato, con un “diniego del diritto di conoscenza”.
Secondo la ricorrente la lesione del diritto di conoscenza in relazione al “termine” di risposta non si concreta unicamente nell’omissione e/o ritardo nel rapporto con il “termine” di risposta di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, artt. 8 e 146 dovendosi, per contro, tenere conto della circostanza che i dati e/o le informazioni risultino già aprioristicamente e correttamente comunicate nel rapporto contrattuale (anche conformemente alla normativa sulla “trasparenza”) da parte dell’Intermediario al quale si chiede accesso. Talchè l’accertamento del giudice del merito non può prescindere dall’esame degli elementi informativi che mediante tale istanza il richiedente vuole acquisire.
3.2.- Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia “Errata applicazione e/o violazione di norme di diritto in ordine all’accertamento e alla valutazione dell’inadempimento all’istanza di accesso D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 7 quale “infrazione” a disposto di Legge e non unicamente quale pre-requisito procedimentale per attivare il ricorso avanti all’Autorità Garante in sede Amministrativa”.
Deduce che il termine per l’adempimento del diritto di “accesso ai dati” ha natura ordinatoria e costituisce mera condizione di procedibilità per chiedere l’intervento del Garante. Esso non può essere qualificato quale “termine perentorio”, con l’effetto che l’inosservanza e/o il ritardo nell’adempiere a detto “termine” costituisca inosservanza a un precetto di legge al quale ricondurre un inadempimento.
Analoga censura è contenuta nell’unico motivo del ricorso incidentale adesivo.
4.- Osserva la Corte che le questioni di diritto poste dalla ricorrente e dalla controricorrente sono state già esaminate in occasione di ricorso proposto in fattispecie analoga a quella oggetto del presente giudizio. Decisione (che il Collegio condivide e alla quale intende dare continuità: cfr. Sez. 1, Sentenza n. 349 del 2013), con la quale si è statuito che la richiesta di accesso ai propri dati personali, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 8 deve essere soddisfatta “senza ritardo” da parte del soggetto destinatario e titolare del trattamento: a tal fine, costituisce un congruo “spatium deliberandi” il termine di quindici giorni, previsto dall’art. 146 del citato decreto, con riguardo all’interpello preventivo da parte del Garante.
Con la stessa pronuncia, inoltre, questa Corte ha precisato che in caso di esercizio del diritto di accesso da parte del titolare dei dati, ai sensi del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, artt. 7, 8 e 10 il titolare del trattamento, o il responsabile se nominato, non possono limitarsi a dare una mera conferma dell’esistenza dei dati, ma devono estrarli dai documenti in loro possesso, ponendoli a disposizione dell’interessato.
Correttamente, dunque, il giudice del merito ha fatto riferimento al termine previsto in relazione all’interpello preventivo al fine di individuare un congruo spatium deliberandi al destinatario della richiesta di accesso. Peraltro, lo scopo della norma invocata da parte attrice è quello di garantire, a tutela della dignità e riservatezza del soggetto interessato, la verifica dell’avvenuto inserimento, della permanenza, ovvero della rimozione di dati e ciò indipendentemente dalla circostanza che tali eventi fossero già stati portati per altra via a conoscenza dell’interessato; verifica attuata mediante l’accesso ai dati raccolti sulla propria persona in ogni e qualsiasi momento della propria vita relazionale.
I ricorsi sono rigettati.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 giugno 2013.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2013.
Leave a Reply