Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 13 novembre 2013, n. 45616
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 18.1.2013 del Tribunale di Catania, V.S. e P.R. venivano dichiarati colpevoli del reato di cui all’art. 659 cod.pen. e venivano condannati alla pena di euro 300 di ammenda ciascuno, per avere, quali gestori del ristorante “Charleston”, tollerato che venissero prodotti rumori al di sopra dei limite di tollerabilità attraverso l’impianto di amplificazione della musica. L’affermazione di colpevolezza era seguita ad un accertamento tecnico, in esito al quale era emerso che la diffusione sonora collocata all’interno del locale era tollerabile, mentre con l’impianto installato nel cortile esterno risultava accertato il superamento del normale limite di tollerabilità all’interno dell’abitazione della denunciante S.T., anche a finestre chiuse del suo appartamento, con evidenti disagi alla vita quotidiana. Le indagini tecniche erano state condotte nel maggio 2009, ma anche nel settembre 2009 si era verificata la necessità di fare intervenire i carabinieri ad opera della S., titolare di un provvedimento del giudice civile che aveva disposto a suo favore il divieto di diffusione di musica e di amplificazione e che il brig. L. aveva dichiarato di essere intervenuto presso i gestori per fare interrompere i rumori. Per questo veniva ritenuto che anche in quella occasione il rumore superasse i limiti della tollerabilità, non solo per la S. che aveva sollecitato l’intervento delle forze dell’ordine. In ogni caso la condotta non poteva dirsi giustificata solo in considerazione del fatto che si trattava di un giorno di festa patronale e palesi erano i profili di colpa nella condotta dei prevenuti.
2. Avverso tale decisione, proponevano ricorso per cassazione i due imputati per dedurre violazione di legge, illogicità della sentenza, erronea applicazione della legge penale. Il reato non sussisterebbe, poiché le emissioni sonore non erano superiori alla normale tollerabilità, in quanto non furono percepite da un numero indeterminato di persone, posto che solo la S. se ne lamentò. Per configurare il reato, i rumori avrebbero dovuto recare disturbo ad una parte notevole degli occupanti del medesimo edificio, oppure a quelli degli stabili prossimi, per potersi ritenere disturbata o compromessa la quiete pubblica. Veniva rilevato che per valutare l’effettiva idoneità delle emissioni rumorose ad essere percepite da un numero indeterminato di persone, occorreva valutare le circostanze fattuali concrete in cui ebbe a manifestarsi la potenziale condotta illecita contestata, valutazione che nel caso di specie non sarebbe avvenuta. Non poteva poi essere sottovalutato che il 6.9.2009 era in corso una festa patronale della Madonna degli Ammalati, molto sentita dagli abitanti di Misterbianco, il cui santuario era adiacente al ristorante, ed era stato autorizzato il prolungamento dell’uso di strumenti amplificati, fino alle ore 24 (anziché le 23). Poiché il controllo intervenne alle ore 23,15 del 6.9.2009, la delusione sonora era perfettamente rispettosa delle prescrizioni imposte. Non pertinente sarebbe il richiamo alla consulenza tecnica che intervenne nel maggio precedente e che ebbe come riferimento il solo appartamento della S., cosicché non vi sarebbe prova circa la propagazione rumorosa oltre l’appartamento suindicato, verso un numero indeterminato di persone. Veniva quindi concluso nel senso che la condotta contestata non poteva rivestire rilevanza penale.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e deve essere accolto, in quanto il discorso giustificativo della sentenza risulta viziato da una non corretta impostazione: deve infatti essere rilevato che la contestazione dell’addebito era limitata alla condotta tenuta dal due imputati nella sola giornata del 6.9.2009, seppure fosse emerso in sede dibattimentale che era in corso un contenzioso di natura civile, nell’ambito dei quale era stata disposta una consulenza tecnica che nel maggio precedente aveva dato conto di come la diffusione sonora all’interno del locale non oltrepassasse i limiti di tollerabilità, mentre detti limiti erano superati dalla diffusione di suoni provenienti dall’impianto collocato nel cortile esterno.
Tale realtà doveva ritenersi dimostrativa della pendenza di una controversia di carattere civile, nel cui ambito avrebbe trovato composizione; dal punto di vista penale, la condotta illecita degli imputati era stata circoscritta alla data del 6 settembre 2009, data in cui la sola S. aveva avuto motivo di doglianza, tanto da aver richiesto l’intervento dei carabinieri alle ore 23,30, che avevano accertato la diffusione di musica ad alto volume che era stata interrotta dopo il loro arrivo.
Così stando le cose vien fatto di ricordare che per poter configurare la contravvenzione di cui all’art. 659 c.p., secondo l’ormai costante indirizzo giurisprudenziale di questa Corte (Sez. I, n. 7753 del 20.5.1994, De Nardo, rv. 198766, sez. I, n. 47298 del 29/11/2011, Iori, 251406; sez. I 5.2.2013, n. 6546 , Demontis + 1) è necessario che i rumori prodotti, oltre ad essere superiori alla normale tollerabilità, abbiano attitudine a propagarsi in modo tale da essere idonei a disturbare una pluralità indeterminata di persone; tale modus opinandi si impone considerando la natura del bene giuridico protetto, che è da individuare nella quiete pubblica e non nella tranquillità di singoli soggetti che abbiano a denunciare la rumorosità. Ne consegue che se l’attività di disturbo ha luogo in un edificio condominiale, come ricorre nel caso in esame, per ravvisare la responsabilità penale del soggetto agente non è sufficiente che i rumori arrechino disturbo o siano idonei a turbare la quiete e le occupazioni dei soli abitanti gli appartamenti inferiori o superiori rispetto alla fonte di propagazione, ma occorre una situazione fattuale di rumori atti a recare disturbo ad una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio, poiché solo in questo caso può ritenersi integrata la compromissione della quiete pubblica. Del resto, nel caso in cui i rumori assumano una portata più circoscritta, come è avvenuto nel caso di specie in cui la sola S. si è lamentata del disturbo, le ragioni della persona disturbata o delle persone disturbate possono essere fatte valere in sede civile, azionando i diritti derivanti dai rapporti di vicinato, come del resto ebbe a fare la S.
A tale principio di diritto non si è attenuta la sentenza impugnata, cosicchè deve ritenersi che il parametro normativo di riferimento è stato forzato: si impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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