Dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti di coloro che si siano sottoposti a vaccinazione antinfluenzale.

 

Sentenza 268/2017 (ECLI:IT:COST:2017:268)
Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Presidente: GROSSI – Redattore: ZANON
Camera di Consiglio del 22/11/2017; Decisione del 22/11/2017
Deposito del 14/12/2017; Pubblicazione in G. U. 20/12/2017 n. 51
Norme impugnate: Art. 1, c. 1°, della legge 25/02/1992, n. 210.
Massime:
Atti decisi: ord. 252/2016

SENTENZA N. 268
ANNO 2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), promosso dalla Corte d’appello di Milano, sezione lavoro, con ordinanza del 20 luglio 2016, iscritta al n. 252 del registro ordinanze 2016 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2016.
Udito nella camera di consiglio del 22 novembre 2017 il Giudice relatore Nicolò Zanon.

Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 20 luglio 2016 (r.o. n. 252 del 2016), la Corte d’appello di Milano, sezione lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui «non prevede che il diritto all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge ed alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subito lesioni e/o infermità, da cui siano derivati danni irreversibili all’integrità psico-fisica, per essere stati sottoposti a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, antinfluenzale».
1.1.– Le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate dalla Corte d’appello di Milano nell’ambito di un giudizio promosso dal Ministero della salute per impugnare la sentenza con cui il Tribunale di Milano aveva riconosciuto al ricorrente, in primo grado, il diritto all’indennizzo, a fronte della diagnosi della sindrome di Parsonage Turner, insorta a seguito di vaccinazione antinfluenzale «fortemente incentivata ai pensionati della sua fascia di età nelle campagne di sensibilizzazione del Ministero della Salute».
L’indennizzo era stato negato originariamente sia dal centro medico, sia dal Ministero, poiché la vaccinazione in oggetto non è obbligatoria, ma solo raccomandata.
Riferisce la Corte rimettente che il giudice di primo grado, a seguito di una istruttoria che aveva accertato il «nesso eziologico tra la pratica vaccinale e la comparsa della Sindrome di Parsonage Turner», aveva ritenuto di interpretare la norma censurata in modo costituzionalmente conforme, tenendo conto della sentenza n. 107 del 2012 della Corte costituzionale, «sul presupposto che la vaccinazione […] rientri tra le ipotesi di vaccinazione raccomandata con chiare finalità preventive di tutela della collettività».
Il Ministero della salute, nel ricorso in appello, ritiene, al contrario, che il Tribunale di Milano abbia illegittimamente esteso l’ambito applicativo della legge n. 210 del 1992, che riconosce il diritto all’indennizzo per le sole vaccinazioni obbligatorie e non per quelle raccomandate. Anche il riferimento alla sentenza n. 107 del 2012 della Corte costituzionale sarebbe del tutto erroneo, non potendosi assimilare rosolia, parotite e morbillo (malattie specificamente oggetto della citata sentenza della Corte costituzionale) al virus influenzale. Il Ministero, inoltre, contesta anche l’adesione del Tribunale alle conclusioni raggiunte dal consulente tecnico di ufficio sul nesso di causalità fra la vaccinazione e l’insorgere della patologia, «dovendosi ritenere che tale conclusione sia definibile in termini scientifici come mera possibilità […] e non di probabilità né tantomeno di certezza».
1.2.– Ciò premesso, la Corte d’appello di Milano, innanzitutto, ritiene infondate le censure proposte dal Ministero della salute, relative alla mancata dimostrazione del nesso di causalità fra la vaccinazione e la patologia, affermando che l’esito della consulenza tecnica di ufficio sarebbe sostenuta dai «dati ricavabili dalla letteratura scientifica», i quali conducono a ritenere la sussistenza di una «correlazione causale» in termini di «probabilità».
1.3.– Sostiene la Corte rimettente che, sebbene la vaccinazione antinfluenzale non sia obbligatoria (come richiesto dalla disposizione censurata ai fini del diritto all’indennizzo), essa «è stata oggetto di raccomandazione da parte del Ministero della Salute» e che il ricorrente rientra in una categoria di persone «ad aumentato rischio di malattia grave» (essendo «affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva»).
Richiama inoltre la sentenza n. 107 del 2012 della Corte costituzionale (oltre alle decisioni n. 423 del 2000 e n. 27 del 1998 della stessa Corte), che ha riconosciuto il diritto all’indennizzo anche nei casi in cui «la lesione alla salute sia derivata da un trattamento vaccinale non obbligatorio, bensì raccomandato dall’autorità sanitaria pubblica per ragioni di tutela della salute pubblica, e precisamente dalla vaccinazione contro il morbillo, la parotite e la rosolia».
Tale estensione si giustifica, secondo la Corte rimettente, considerando che, «in presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore della pratica vaccinale, resta del tutto irrilevante o indifferente che […] l’effetto cooperativo della popolazione sia riconducibile ad un obbligo o ad una persuasione».
1.4.– La Corte d’appello di Milano, in presenza di un dato letterale inequivoco che non consente indennizzo se non in presenza di menomazioni permanenti derivanti da vaccinazioni obbligatorie, non condivide la decisione del giudice di primo grado, il quale aveva riconosciuto il diritto all’indennizzo attraverso una pretesa interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992.
In conseguenza, solleva questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, per violazione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.
2.– La Corte rimettente ritiene che le questioni sollevate siano rilevanti, sussistendo ogni altra condizione per il riconoscimento del richiesto indennizzo, così da essere decisiva per l’esito della controversia la decisione della Corte costituzionale su di esse.
3.– Le questioni sarebbero, inoltre, non manifestamente infondate rispetto «al diritto-dovere di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e al diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost.»
Se non fosse riconosciuto un indennizzo, il singolo soggetto, infatti, sarebbe costretto a farsi carico delle conseguenze negative derivanti da un trattamento sanitario effettuato non solo nel suo interesse, ma «anche e soprattutto» nell’interesse dell’intera collettività.
Inoltre, si determinerebbe un trattamento differenziato fra i soggetti che si sono sottoposti a una vaccinazione obbligatoria e coloro che invece hanno aderito a un «appello alla collaborazione ad un programma sanitario pubblico, riservando a questi ultimi un trattamento deteriore». Si determinerebbe, infine, la «lesione del diritto alla salute della fascia di popolazione più anziana e debole».
4.– Con atto depositato il 3 gennaio 2017, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale vengano dichiarate, «in gradato subordine, inammissibil[i], non rilevant[i] ed infondat[e]».
4.1.– L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che le motivazioni che sostengono l’ordinanza di rimessione siano errate sia dal punto di vista medico-scientifico, sia da quello giuridico.
Innanzitutto, «l’influenza c.d. stagionale non assume né può mai assumere il carattere di una pandemia», cioè di una epidemia «la cui diffusione interessa più aree geografiche del mondo, con un alto numero di casi gravi ed una mortalità elevata». Al contrario, l’influenza stagionale sarebbe «una malattia infettiva dal carattere ricorrente […] ma dal decorso generalmente benigno». Essa, in questa prospettiva, risulterebbe «realmente pericolosa solo per ben determinate categorie di soggetti, di regola ultrasessantacinquenni o già affetti da determinate patologie croniche». Tenendo conto di queste considerazioni specifiche, le autorità sanitarie avrebbero intrapreso campagne di sensibilizzazione tese a raccomandare la vaccinazione per le categorie a rischio, in tal modo assicurando primariamente «una tutela individuale “rafforzata”» del diritto alla salute.
Proprio in ragione della dimensione prevalentemente individuale della tutela che si intende assicurare, si farebbe ricorso alla raccomandazione amministrativa che «non è – né può essere – fonte di obblighi per i destinatari né, tantomeno, contempla – o può contemplare – sanzioni per coloro che non si sottopongono al trattamento sanitario raccomandato».
Ritiene la difesa statale (richiamando ampi passaggi della sentenza n. 107 del 2012 della Corte costituzionale) che il diritto all’indennizzo sia riconosciuto al singolo, quando costui si sia sottoposto a vaccinazione (obbligatoria o raccomandata) «in funzione della tutela di un interesse superiore», ossia quello della salute collettiva. Solo in tale prospettiva si giustificherebbe l’obbligo posto in capo alla collettività di farsi carico di eventuali conseguenze negative che derivino dalle vaccinazioni stesse.
4.2.– Poste queste considerazioni preliminari, l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce l’inammissibilità delle questioni per carenza di rilevanza, perché la Corte rimettente – senza considerare il carattere determinante dell’intervento del medico di base, nella scelta del ricorrente di sottoporsi al vaccino – avrebbe invece ritenuto che a tale scelta egli si sia determinato a fronte delle raccomandazioni ministeriali.
Inoltre, le questioni sarebbero irrilevanti, poiché la Corte d’appello di Milano avrebbe dovuto distinguere fra le categorie di soggetti a rischio o non a rischio, per valutare il riconoscimento dell’indennizzo. Se per i primi, infatti, la vaccinazione antinfluenzale «è raccomandata nel loro (se non esclusivo, quantomeno) prevalente interesse», per gli altri «potrebbe eventualmente discutersi se il trattamento vaccinale è loro consigliato nel prevalente interesse generale». Solo rispetto a questi ultimi si potrebbe porre il dubbio di legittimità costituzionale derivante dal mancato riconoscimento di un indennizzo.
La Corte rimettente, peraltro, non avrebbe spiegato in che modo l’applicazione della norma censurata sia necessaria per la prosecuzione del giudizio e avrebbe omesso ogni motivazione in merito alle ragioni che hanno indotto il ricorrente a sottoporsi al vaccino. L’individuazione della dimensione dell’interesse tutelato (individuale o collettiva) sarebbe essenziale al fine di riconoscere il diritto all’indennizzo, senza invece che assuma rilievo il carattere obbligatorio o solo raccomandato della vaccinazione.
Ancora, la difesa statale ritiene che, in caso di accoglimento delle questioni prospettate, permarrebbe una serie di nodi irrisolti, che solo il legislatore potrebbe sciogliere, nell’esercizio della sua discrezionalità. In particolare, dovrebbero essere definiti i criteri in base ai quali individuare le categorie dei soggetti cui riconoscere l’indennizzo.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, inoltre, la Corte rimettente non avrebbe nemmeno chiarito perché ritiene che l’influenza stagionale abbia carattere pandemico. In questo caso, infatti, la vaccinazione avrebbe dovuto essere raccomandata o anche imposta a tutti i soggetti e non solo a quelli che rientrano in particolari categorie a rischio.
La Corte d’appello di Milano, peraltro, non avrebbe motivato le ragioni per le quali ritiene assimilabili l’influenza stagionale e le altre malattie rispetto alle quali è intervenuta la Corte costituzionale per estendere la previsione del diritto all’indennizzo. La difesa statale ritiene che tale equiparazione non sia possibile, tenuto conto del diverso grado di pericolosità delle patologie in questione, nonché del diverso grado di pervasività delle campagne di sensibilizzazione delle rispettive pratiche vaccinali (a questo proposito viene specificamente richiamata la sentenza n. 27 del 1998 della Corte costituzionale).
Un ulteriore profilo di inammissibilità, «che ridonda peraltro anche in infondatezza», risiede nel fatto che il «mancato riconoscimento […] di un indennizzo […] non si traduce affatto, e di per sé, nella lesione» del diritto alla salute. In questa prospettiva, la difesa statale ricorda che è pur sempre possibile, per coloro che abbiano subito un grave pregiudizio a seguito della vaccinazione antinfluenzale, agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno, che coprirebbe tutte le voci di pregiudizio (patrimoniale e non patrimoniale) determinato dalla vaccinazione.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, ancora, la Corte d’appello di Milano non avrebbe chiarito il motivo per il quale ritiene che il mancato riconoscimento dell’indennizzo determinerebbe una lesione del «diritto alla salute delle fasce più vulnerabili della popolazione», alla luce del carattere facoltativo della vaccinazione e della gratuità della somministrazione.
4.3.– L’Avvocatura generale dello Stato ritiene che le questioni siano comunque non fondate, perché il ricorrente si era determinato a sottoporsi alla vaccinazione su consiglio medico, in relazione alla specifica patologia da cui è affetto, che lo colloca in una delle cosiddette “categorie a rischio”.
Proprio tale personale condizione di salute, quindi, renderebbe evidente, nel caso in esame, la prevalenza dell’interesse alla tutela della salute individuale, con esclusione del diritto all’indennizzo, non rilevando invece il carattere obbligatorio o meno della vaccinazione.
Né potrebbe essere riconosciuto un indennizzo a fronte di tutte le vaccinazioni, considerando che queste soddisfano sempre una componente anche collettiva del diritto alla salute: diversamente, infatti, verrebbero stravolti «quella particolare simmetria e quel particolare bilanciamento tra benefici e costi, individuali e collettivi, che […] costituisce la ratio del riconoscimento o, per converso, della negazione della provvidenza indennitaria pubblica».
Gli appartenenti alle categorie a rischio, dunque, sarebbero indotti a effettuare la vaccinazione nel prevalente interesse individuale, che, in questa prospettiva, non ammetterebbe «la traslazione a carico della collettività del peso economico» dei relativi danni.
Da un secondo punto di vista, le questioni sarebbero infondate, perché «la vaccinazione antinfluenzale non è in alcun modo assimilabile, né quanto a pericolosità del virus né quanto ad ampiezza, contenuto e destinatari della raccomandazione, alle tipologie di vaccinazione» per le quali la Corte costituzionale ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale del mancato riconoscimento dell’indennizzo.

Considerato in diritto
1.– La Corte d’appello di Milano, sezione lavoro, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), nella parte in cui non prevede che il diritto all’indennizzo, istituito e regolato dalla stessa legge ed alle condizioni ivi previste, spetti anche ai soggetti che abbiano subito lesioni o infermità, da cui siano derivati danni irreversibili all’integrità psico-fisica, in seguito a vaccinazione non obbligatoria, ma raccomandata, antinfluenzale.
Ritiene la Corte rimettente che, in caso di menomazione permanente dell’integrità psico-fisica derivante dalla vaccinazione raccomandata antinfluenzale, il mancato riconoscimento dell’indennizzo determini la violazione, innanzitutto, degli artt. 2 e 32 Cost. Sarebbe infatti leso «il diritto-dovere di solidarietà», poiché, in difetto di una prestazione indennitaria, il singolo danneggiato sarebbe costretto a sopportare le gravi conseguenze negative derivanti da un trattamento sanitario, raccomandato non solo a tutela della sua salute individuale, ma anche di quella collettiva.
La disposizione censurata, inoltre, violerebbe il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., poiché determinerebbe un’irragionevole differenziazione di trattamento tra coloro che si sono sottoposti a vaccinazione in osservanza di un obbligo giuridico e coloro che, invece, a tale vaccinazione si sono determinati aderendo alle raccomandazioni delle autorità sanitarie. L’irragionevolezza deriverebbe dal riconoscimento solo ai primi, in caso di menomazioni permanenti, del diritto all’indennizzo, a fronte del medesimo rilievo che raccomandazione e obbligo assumono al fine della tutela della salute collettiva.
2.– La Corte d’appello rimettente esclude la possibilità di orientarsi verso un’interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione censurata, che riconosca il diritto all’indennizzo sulla base dei medesimi principi che hanno condotto questa Corte, con la sentenza n. 107 del 2012, a dichiarare l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevedeva quel diritto, a seguito di menomazione permanente derivante da vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia.
Osserva il giudice a quo che, pur a seguito di tale sentenza, il contenuto normativo della disposizione censurata resterebbe inequivocabilmente chiaro nel riconoscere l’indennizzo nei soli casi di menomazioni causate da vaccinazioni obbligatorie. Infatti, il dispositivo di accoglimento della sentenza n. 107 del 2012 si riferirebbe unicamente a quella determinata vaccinazione, e non potrebbe essere esteso al caso di specie se non a prezzo di una sostanziale disapplicazione della disposizione censurata.
Per questo, consapevolmente, la Corte rimettente ravvisa nel tenore testuale della disposizione un impedimento ad un’interpretazione compatibile con i parametri costituzionali invocati.
Tale modo di procedere è corretto, giacché questa Corte ha in più occasioni affermato che quando il rimettente si prospetta la via dell’interpretazione conforme ma esclude che essa sia percorribile, la questione di legittimità costituzionale che ne deriva non può ritenersi inammissibile. Al contrario, laddove l’univoco tenore letterale della disposizione precluda un’interpretazione conforme, s’impone il sindacato di legittimità costituzionale (da ultimo, ex multis, sentenze n. 83 e n. 82 del 2017, n. 241 e n. 219 del 2016).
3.– Alcuni profili d’inammissibilità preliminarmente eccepiti dall’Avvocatura generale dello Stato involgono il merito delle questioni sollevate e sono perciò da apprezzare unitamente a quest’ultimo.
Ciò è a dirsi per l’insistito rilievo secondo il quale l’ordinanza di rimessione non avrebbe dato sufficiente conto delle motivazioni che hanno sorretto la scelta, da parte del soggetto in causa nel giudizio a quo, di sottoporsi a vaccinazione raccomandata: giacché, ammesso che tali motivazioni siano rilevanti, qualunque riflessione su di esse comporta all’evidenza una valutazione sulla natura della raccomandazione proveniente dalle autorità sanitarie e sulla sua incidenza nello spazio di autodeterminazione del singolo, richiedendo, quindi, un giudizio sul merito delle censure di legittimità costituzionale sollevate.
Allo stesso modo, l’asserita mancata individuazione, nel petitum dell’ordinanza, delle categorie cui dovrebbe effettivamente spettare il riconoscimento dell’indennizzo non è, nel caso di specie, profilo preliminare, ma questione che si pone solo una volta che sia stata decisa, in caso di menomazioni permanenti derivanti da una vaccinazione raccomandata, l’illegittimità costituzionale dell’esclusione dell’indennizzo stesso. Solo a quel punto, logicamente, si presenta la questione di quanto ampia debba essere la platea dei destinatari dell’estensione.
4.– Inconferente per la soluzione delle questioni all’attenzione di questa Corte è l’osservazione dell’Avvocatura generale dello Stato secondo cui il soggetto che abbia subìto un grave pregiudizio della propria integrità psico-fisica in conseguenza della vaccinazione antinfluenzale avrebbe comunque la possibilità di agire in giudizio per il risarcimento del danno alla salute.
L’osservazione non è infatti utile né a fondare un’eccezione preliminare d’inammissibilità, né a sostenere argomenti di merito per la soluzione delle questioni sollevate.
Dal primo punto di vista, la Corte d’appello rimettente ha reso specificamente conto dell’avvenuto accertamento del nesso causale che, nel caso in esame, collega la vaccinazione antinfluenzale e la menomazione psico-fisica, al fine di dimostrare la sussistenza delle condizioni di applicabilità della specifica disciplina che la legge n. 210 del 1992 reca in tema di indennizzo.
Quanto al secondo aspetto, questa Corte ha già precisato che la disciplina apprestata dalla legge appena citata opera su un piano diverso da quello in cui si colloca la normativa in tema di risarcimento del danno. Il risarcimento, infatti, presuppone un nesso tra fatto illecito e danno ingiusto, mentre il diritto all’indennizzo, che prescinde dalla colpa, sorge a fronte del solo accertamento che la menomazione irreversibile consegua alla vaccinazione «e deriva dall’inderogabile dovere di solidarietà che, in questi casi, incombe sull’intera collettività», laddove quest’ultima tragga beneficio dal trattamento vaccinale del singolo (sentenza n. 118 del 1996).
Ferma in ogni caso la possibilità per l’interessato di azionare anche l’ordinaria pretesa risarcitoria, che potrà eventualmente essere riconosciuta ove ricorrano le condizioni previste dall’art. 2043 del codice civile, il legislatore ha dunque previsto un’autonoma misura economica di sostegno, di natura indennitaria ed equitativa (sentenza n. 118 del 1996), in caso di danno alla salute, il cui ottenimento dipende dal semplice fatto obiettivo dell’aver subito un pregiudizio. Tale misura consente agli interessati una protezione certa nell’an e nel quantum, non subordinata all’esperimento di un’azione di risarcimento del danno, che richiede l’accertamento di un fatto illecito e l’individuazione del responsabile (sentenze n. 423 del 2000, n. 27 del 1998 e n. 118 del 1996).
5.– Nel merito, la decisione delle questioni sollevate richiede, in primo luogo, che sia precisato sulla base di quali presupposti e a quali condizioni questa Corte ha esteso, in sue precedenti pronunce, il riconoscimento dell’indennizzo – che l’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 testualmente riserva alle menomazioni permanenti derivanti da vaccinazioni obbligatorie – anche a fronte di gravi e permanenti lesioni all’integrità psico-fisica insorte a seguito di alcune, specificamente individuate, vaccinazioni non obbligatorie, ma raccomandate.
In secondo luogo, deve essere accertato se queste medesime considerazioni valgano anche per la vaccinazione non obbligatoria antinfluenzale, di cui si discute nel giudizio principale.
6.– Con le sentenze n. 107 del 2012 (in relazione alla vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia), n. 423 del 2000 (con riferimento alla vaccinazione, allora solo raccomandata, contro l’epatite B) e n. 27 del 1998 (quanto alla vaccinazione, anch’essa allora solo raccomandata, contro la poliomielite), questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 Cost., dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui non prevedeva il diritto all’indennizzo – in presenza di una patologia irreversibile e previo accertamento del nesso causale tra questa e la vaccinazione – per le menomazioni permanenti derivanti dalle ricordate vaccinazioni, oggetto dei rispettivi giudizi principali.
In tema di trattamenti vaccinali, la tecnica dell’obbligatorietà (prescritta per legge o per ordinanza di un’autorità sanitaria, come si esprime la disposizione censurata) e quella della raccomandazione (nelle forme di cui si darà esplicito conto più avanti) possono essere sia il frutto di concezioni parzialmente diverse del rapporto tra individuo e autorità sanitarie pubbliche, sia il risultato di diverse condizioni sanitarie della popolazione di riferimento, opportunamente accertate dalle autorità preposte.
Nel primo caso, la libera determinazione individuale viene diminuita attraverso la previsione di un obbligo, assistito da una sanzione. Tale soluzione – rimessa alla decisione delle autorità sanitarie pubbliche, fondata su obiettive e riconosciute esigenze di profilassi – non è incompatibile con l’art. 32 Cost. se il trattamento obbligatorio sia diretto non solo a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche quello degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione dell’autodeterminazione del singolo (sentenze n. 107 del 2012, n. 226 del 2000, n. 118 del 1996, n. 258 del 1994 e n. 307 del 1990).
Nel secondo caso, anziché all’obbligo, le autorità sanitarie preferiscono fare appello all’adesione degli individui a un programma di politica sanitaria. La tecnica della raccomandazione esprime maggiore attenzione all’autodeterminazione individuale (o, nel caso di minori, alla responsabilità dei genitori) e, quindi, al profilo soggettivo del diritto fondamentale alla salute, tutelato dal primo comma dell’art. 32 Cost., ma è pur sempre indirizzata allo scopo di ottenere la migliore salvaguardia della salute come interesse (anche) collettivo.
Proprio da quest’ultimo punto di vista, ferma la differente impostazione delle due tecniche ora in discussione, quel che tuttavia rileva, per la decisione delle questioni di legittimità costituzionale in esame, è l’obiettivo essenziale che entrambe perseguono nella profilassi delle malattie infettive: ossia il comune scopo di garantire e tutelare la salute (anche) collettiva attraverso il raggiungimento della massima copertura vaccinale.
In questa prospettiva, incentrata sulla salute quale interesse (anche) obiettivo della collettività, non vi è differenza qualitativa tra obbligo e raccomandazione: l’obbligatorietà del trattamento vaccinale è semplicemente uno degli strumenti a disposizione delle autorità sanitarie pubbliche per il perseguimento della tutela della salute collettiva, al pari della raccomandazione. I diversi attori (autorità pubbliche e individui) finiscono per realizzare l’obiettivo della più ampia immunizzazione dal rischio di contrarre la malattia indipendentemente dall’esistenza di una loro specifica volontà di collaborare: «e resta del tutto irrilevante, o indifferente, che l’effetto cooperativo sia riconducibile, dal lato attivo, a un obbligo o, piuttosto, a una persuasione o anche, dal lato passivo, all’intento di evitare una sanzione o, piuttosto, di aderire a un invito» (sentenza n. 107 del 2012).
Per quanto concerne più direttamente le vaccinazioni raccomandate, in presenza di diffuse e reiterate campagne di comunicazione a favore dei trattamenti vaccinali, è naturale che si sviluppi un affidamento nei confronti di quanto consigliato dalle autorità sanitarie: e ciò rende la scelta individuale di aderire alla raccomandazione di per sé obiettivamente votata alla salvaguardia anche dell’interesse collettivo, al di là delle particolari motivazioni che muovono i singoli.
Questa Corte ha conseguentemente riconosciuto che, sul piano degli interessi garantiti dagli artt. 2, 3 e 32 Cost., è giustificata la traslazione in capo alla collettività, anch’essa obiettivamente favorita dalle scelte individuali, degli effetti dannosi che eventualmente da queste conseguano.
La ragione determinante del diritto all’indennizzo, quindi, non deriva dall’essersi sottoposti a un trattamento obbligatorio, in quanto tale; essa risiede piuttosto nelle esigenze di solidarietà sociale che si impongono alla collettività, laddove il singolo subisca conseguenze negative per la propria integrità psico-fisica derivanti da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato) effettuato anche nell’interesse della collettività.
Per questo, la mancata previsione del diritto all’indennizzo in caso di patologie irreversibili derivanti da determinate vaccinazioni raccomandate si risolve in una lesione degli artt. 2, 3 e 32 Cost.: perché le esigenze di solidarietà sociale e di tutela della salute del singolo richiedono che sia la collettività ad accollarsi l’onere del pregiudizio individuale, mentre sarebbe ingiusto consentire che siano i singoli danneggiati a sopportare il costo del beneficio anche collettivo (sentenza n. 107 del 2012).
Proprio alla luce di tali considerazioni, si può qui aggiungere che le ragioni dell’estensione del riconoscimento del diritto all’indennizzo ricavabili dalla giurisprudenza ricordata non hanno mai comportato né comportano, da parte di questa Corte, valutazioni negative sul grado di affidabilità scientifica della somministrazione delle vaccinazioni. Al contrario, la previsione dell’indennizzo, originariamente riservata ai casi di lesioni permanenti derivanti da vaccinazioni obbligatorie, e la sua estensione (ad opera di questa Corte) ai citati casi di vaccinazioni raccomandate – pur sempre se sia accertato un nesso di causalità tra somministrazione del vaccino e menomazione permanente – completano il “patto di solidarietà” tra individuo e collettività in tema di tutela della salute e rendono più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, al fine della più ampia copertura della popolazione.
7.– Non vi sono ragioni per non estendere al caso ora in esame e alle questioni di legittimità costituzionale in esso sollevate le affermazioni ricavabili dalla ricordata giurisprudenza di questa Corte.
La vaccinazione antinfluenzale rientra a pieno titolo tra quelle raccomandate.
La verifica di tale condizione è un passaggio essenziale del giudizio di questa Corte. Rispondere alla domanda se, analogamente a quanto accertato in relazione ad altre specifiche vaccinazioni raccomandate, anche per quella antinfluenzale sia stata e sia posta in atto, da parte delle autorità sanitarie, una effettiva campagna informativa consente, infatti, di verificare il rilievo che assume, in tal caso, la tutela della salute anche collettiva.
Questa Corte non può quindi esimersi da una analisi mirata sulle peculiarità della singola raccomandazione di cui si faccia questione, non potendo limitarsi ad estendere, senza una verifica caso per caso, i pur chiari principi della propria giurisprudenza a qualunque indicazione di profilassi proveniente dalle autorità pubbliche.
In questa prospettiva, il carattere della vaccinazione antinfluenzale quale trattamento sanitario raccomandato può emergere alla luce della sussistenza di una serie di atti, corrispondenti a quelli già individuati da questa Corte nella sua giurisprudenza: insistite e ampie campagne anche straordinarie di informazione e raccomandazione da parte delle autorità sanitarie pubbliche nelle loro massime istanze; distribuzione di materiale informativo specifico; informazioni contenute sul sito istituzionale del Ministero della salute; decreti e circolari ministeriali; piani nazionali di prevenzione vaccinale; oppure la stessa legge (come accadeva, ad esempio, nel caso relativo alla vaccinazione poliomielitica, a suo tempo raccomandata dalla legge 30 luglio 1959, n. 695, recante «Provvedimenti per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica») (si vedano, ancora, le sentenze n. 107 del 2012, n. 423 del 2000 e n. 27 del 1998).
Nel caso specifico della vaccinazione antinfluenzale, di cui si tratta nel giudizio a quo, sono in particolare rilevanti i Piani nazionali di prevenzione vaccinale (da ultimo, il Piano nazionale prevenzione vaccinale 2017-2019), che, affiancando la vaccinazione antinfluenzale ad altri tipi di vaccinazioni raccomandate e indicando i rispettivi obiettivi di copertura, definiscono la complessiva programmazione vaccinale; le raccomandazioni del Ministero della salute adottate specificamente, per ogni stagione, con riferimento alla vaccinazione antinfluenzale (da ultimo, “Prevenzione e controllo dell’influenza: raccomandazioni per la stagione 2017-2018”); le campagne informative istituzionali del Ministero della salute, oltre che delle Regioni.
7.1.– Alla luce di tali considerazioni, la collettività deve dunque sostenere i costi del pregiudizio individuale, anche nel caso in cui la menomazione permanente sia derivata dalla vaccinazione antinfluenzale. Sarebbe del resto irragionevole riservare a coloro che hanno aderito alle ricordate raccomandazioni delle autorità sanitarie pubbliche un trattamento deteriore rispetto a quello riconosciuto a quanti abbiano ubbidito ad un precetto (nello stesso senso, con riferimento alla vaccinazione contro la poliomielite, la sentenza n. 27 del 1998). E la traslazione sulla collettività delle conseguenze negative eventualmente derivanti dalla vaccinazione antinfluenzale (pur sempre alle condizioni e nei limiti previsti dalla legge n. 210 del 1992) consegue all’applicazione dei principi costituzionali di solidarietà (art. 2 Cost.), di tutela della salute anche collettiva (art. 32 Cost.) e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), oltre a completare, in termini che rendono più serio e affidabile ogni programma sanitario volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali, il ricordato “patto di solidarietà” tra individuo e collettività, al fine della più ampia copertura della popolazione.
Né si può trascurare, ancora a giustificazione della traslazione a carico della collettività dell’indennizzo in questione, che la più ampia sottoposizione a vaccinazione quale profilassi preventiva può notevolmente alleviare il carico non solo economico che le epidemie influenzali solitamente determinano sul sistema sanitario nazionale e sulle attività lavorative.
7.2.– Osserva l’Avvocatura generale dello Stato che, in caso di accoglimento del petitum come formulato dalla Corte d’appello rimettente, resterebbero insolute e incerte una serie di questioni che solo il legislatore potrebbe, nella sua discrezionalità, definire, in particolare quella relativa ai destinatari dell’estensione dell’indennizzo.
L’obiezione non coglie nel segno.
Le raccomandazioni delle autorità sanitarie in materia di vaccinazione antinfluenzale riguardano, in primo luogo, specifiche categorie di soggetti a rischio, in relazione ai quali la vaccinazione è espressamente raccomandata a fronte o di un’età avanzata o di particolari condizioni di salute; in secondo luogo, determinate categorie di operatori e lavoratori, per le quali la vaccinazione, oltre alla salvaguardia della salute individuale, ha il duplice scopo di proteggere quanti entrano con loro in contatto e di evitare l’interruzione di servizi essenziali per la collettività; in terzo luogo, coloro che convivono con soggetti a rischio, venendo anche qui in rilievo la necessità di tutela non solo individuale. Per queste categorie, il recente aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017, recante «Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502»), il Piano nazionale di prevenzione vaccinale (2017-2019) e le raccomandazioni ministeriali (2017-2018) prevedono l’offerta gratuita del vaccino antinfluenzale. L’individuazione specifica di tali categorie, nell’ambito della generalità della popolazione, ha, dunque, questo obiettivo principale, mentre non potrebbe ovviamente servire a delimitare l’ambito dei possibili destinatari dell’indennizzo.
D’altra parte, le campagne di informazione e sensibilizzazione tese alla più ampia copertura vaccinale coinvolgono inevitabilmente la generalità della popolazione, a prescindere da una pregressa e specifica condizione individuale di salute, di età, di lavoro o di convivenza: giacché, anche in questo caso, l’applicazione del trattamento consente di tutelare sia la dimensione individuale della salute, sia quella collettiva, impedendosi l’eventuale contagio fra i soggetti non a rischio e quelli a rischio e contribuendosi in tal modo anche alla protezione di coloro che non possono ricorrere alla vaccinazione a causa della propria specifica condizione di salute.
7.3.– In definitiva, alla luce dei principi individuati dalla giurisprudenza di questa Corte – che fa espresso riferimento, ai fini del riconoscimento del diritto all’indennizzo, alla tutela della salute collettiva – il fatto che la raccomandazione sia accompagnata, per alcune categorie di soggetti, dalla gratuità della somministrazione, non potrebbe fondare alcuna limitazione del novero dei destinatari dell’indennizzo.
La specifica posizione di tali categorie di soggetti non elide affatto il rilievo collettivo che la tutela della salute assume anche nei confronti della popolazione in generale, la vaccinazione di tutti e di ciascuno contribuendo all’obiettivo della più ampia copertura, perseguito attraverso la raccomandazione. Del resto, se i vincoli di ordine finanziario possono giustificare limitazioni del novero dei soggetti cui la vaccinazione, in quanto inserita nei livelli essenziali di assistenza, sia somministrabile gratuitamente, di certo essi non giustificano alcun esonero dall’obbligo d’indennizzo, in presenza delle condizioni previste dalla legge.
Va pertanto dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge n. 210 del 1992 nella parte in cui non prevede il diritto ad un indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, a favore di chiunque abbia riportato lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, a causa della vaccinazione antinfluenzale.

per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto all’indennizzo, alle condizioni e nei modi stabiliti dalla medesima legge, nei confronti di coloro che si siano sottoposti a vaccinazione antinfluenzale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 novembre 2017.
F.to:
Paolo GROSSI, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 14 dicembre 2017.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA

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