Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 9 gennaio 2018, n. 284. Il termine di 90 giorni per la notifica della violazione decorre dal compimento dell’attività di verifica.


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Conclude che non v’era il fumus del reato contestato, perche’ le eventuali irregolarita’ delle operazioni non erano sintomatiche della loro inesistenza.
3. Con il secondo motivo, deduce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all’articolo 125 c.p.p., comma 3 e 321 c.p.p..
Il Tribunale a) non aveva compreso la natura e dimensione dell’attivita’ oggetto di fatturazione, sovrapponendola a quella del Consorzio e delle societa’ consorziate, laddove si trattava di attivita’ di facchinaggio e trasporto dei colli, semplici e rudimentali; b) non aveva tenuto conto della sentenza della Commissione tributaria provinciale e della decisione del Tribunale del riesame nel procedimento collegato; c) non aveva risposto alla doglianza difensiva di natura logica e giuridica, secondo la quale il pagamento delle fatture a favore delle due ditte, in assenza della prova anche indiziaria della retrocessione delle somme ad esso ricorrente, non avrebbe prodotto alcun vantaggio ma solo danni perche’ il Consorzio per effettuare l’evasione avrebbe dovuto pagare molto di piu’; d) aveva valorizzato l’assenza di forma scritta del contratto, circostanza del tutto irrilevante; e) aveva immotivatamente escluso la residuale e subordinata ipotesi d’inesistenza soggettiva delle prestazioni con ogni differenza consequenziale nell’applicazione dell’IVA e dell’IRES; f) aveva valorizzato la presunta inidoneita’ imprenditoriale della (OMISSIS) e l’irreperibilita’ del (OMISSIS), quando era certo che le ditte (OMISSIS) e (OMISSIS) erano amministrate di fatto da (OMISSIS), ossia dal commercialista cui si erano rivolte la (OMISSIS) S.r.l. ed il (OMISSIS) per l’individuazione delle ditte disponibili a curare il trasporto dei colli postali.
4. Con il terzo motivo, denuncia la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 1950, articolo 1, articolo 125 c.p.p., comma 3, articolo 321 c.p.p., L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, articolo 322 ter c.p.p.. All’udienza del riesame in data 19.6.2017 aveva prodotto la documentazione fiscale, modelli 770 e CUD degli ultimi dieci anni da cui era emerso che era stata stipendiata ininterrottamente dall’ (OMISSIS) S.r.l. e dalla (OMISSIS) S.r.l., che tale trattamento retributivo rappresentava la sua unica fonte di reddito e che l’importo degli emolumenti era tale da giustificare il possesso delle somme e dei risparmi sequestrati.
Il Tribunale aveva ritenuto indimostrata la provenienza delle somme e dei valori appresi dal vincolo reale, mentre avrebbe dovuto spiegare per quale motivo tali atti non erano sufficienti a dimostrare i presupposti richiesti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 1950, articolo 1.
Inoltre, aveva ritenuto che la norma attenesse alla fase esecutiva dell’individuazione dei beni da cautelare, di esclusivo dominio del Pubblico ministero. La ricorrente censura tale asserto anche per violazione degli articoli 2 e 24 Cost., nonche’ della Convenzione Europea. Chiede pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata perche’ affetta da errores in procedendo ed in iudicando.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo e’ ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (cosi’, tra le piu’ recenti, Sez. 2, n. 18951 del 14.3.2017, Napoli e altro, Rv 269656; Sez. 6, n. 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893, SSUU., n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692; in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13/2/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710, e’ stato precisato che mentre rientra nel sindacato di legittimita’ la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicita’ manifesta). Infatti il controllo operato dai giudici di legittimita’ investe la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (in tal senso, Sez. 6, n. 7472 del 21/1/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916; Sez. 6, n. 3529 dell’1/2/1999, Sabatini, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104).
4.1. La ricorrente sostanzialmente contesta il fumus dei reati contestati, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, commessi con la presentazione delle dichiarazioni annuali ai fini IRES ed IVA dell’ (OMISSIS) S.r.l. in relazione agli anni 2009, 2010, 2011 e 2012, chiedendo che questa Corte ripercorra tutto il ragionamento del Tribunale del riesame nella valutazione degli indizi.
4.2. Tale valutazione, come spiegato, non e’ possibile in questa sede in cui la Corte si limita a verificare l’integrazione della violazione di legge che certamente non ricorre perche’ l’ordinanza impugnata ha ripercorso tutti gli argomenti difensivi ed ha motivato le ragioni del diniego, non trascurando di osservare che le questioni relative alle somme sequestrabili esulano dalla sua cognizione per investire la fase esecutiva di spettanza del Pubblico ministero.
4.3. In definitiva, la motivazione del Tribunale di Palermo e’ ampia e solida con riferimento al fumus, anche considerata la riduzione dell’entita’ del sequestro, e va in questa sede confermata, siccome il ricorso non ha evidenziato elementi eclatanti che escludano in radice il presupposto della misura adottata.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di ‘”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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