Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2653. In casi di truffa ai danni dello Stato è confiscabile l’intera somma percepita e non soltanto i costi sovrafatturati.

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V’e’, tuttavia, da osservare che le categorie giuridiche utilizzate nella cennata decisione postulano un rapporto sinallagmatico tra le parti secondo un modello contrattualistico che non e’ tout court applicabile ai rapporti tra privati e pubblica amministrazione laddove la stessa non agisca iure privatorum ma eserciti potesta’ pubblicistiche. Nel caso a giudizio si e’ in presenza di finanziamenti pubblici destinati allo specifico settore degli autotrasporti con vincolo di destinazione alla formazione professionale, senza alcuna corrispettiva utilita’ dell’ente erogante che non quella dell’incentivazione della peculiare professionalita’ degli appartenenti e di una mediata utilita’ sociale conseguente alla migliore efficienza e sicurezza del servizio. Trattasi, quindi, di un finanziamento di scopo, attribuito per l’esecuzione dei corsi di formazione professionale, la cui erogazione non ha carattere corrispettivo ma integra soltanto un apporto di capitale a fondo perduto in funzione di mera incentivazione di dette attivita’ formative.

4.1 Ma anche a voler ritenere che il versamento erogato dall’ente pubblico per la esecuzione dei corsi di formazione sia stato effettuato a fronte di obbligazioni contrattuali assunte dagli indagati nell’esercizio di attivita’ di impresa, assumendo, quindi, la natura di corrispettivo di prestazione di servizio, non e’ appagante la qualificazione effettuata dal Tribunale cautelare come “reato in contratto”, dal momento che il progetto a sostegno della domanda di finanziamento risultava a monte caratterizzato dalla fraudolenza, avendo le societa’ consorziate previsto l’entita’ degli utili da trarne e prospettato costi agli stessi funzionali piuttosto che al servizio da offrire. La sovrafatturazione non e’, dunque, un’opzione che connota l’esecuzione del rapporto ma il frutto di una scelta originariamente condivisa e destinata a condizionare la stessa elaborazione del progetto, la sua realizzazione e la rendicontazione finale. Pertanto, la prospettiva da cui muove l’ordinanza impugnata nella riduzione del profitto confiscabile alla sola quota di contributo ” non dovuto” omette di considerare la “mala fede” che segna ab origine l’operazione, canalizzando in una prospettiva di personale lucro le finalita’ pubblicistiche perseguite dall’ente.

4.2 L’erroneita’ dei criteri valutativi adottati dal provvedimento censurato, contrariamente all’assunto della difesa dell’indagato, s’appalesa, pertanto, anche alla luce delle coordinate ermeneutiche delle SS.UU. (OMISSIS), secondo cui il profitto confiscabile va identificato nel ricavo lordo quando “s’inserisce… validamente, senza alcuna possibilita’ di letture piu’ restrittive, nello scenario di un’attivita’ totalmente illecita”. E’ solo quando l’illecito penale si innesta in maniera spuria in un’attivita’ imprenditoriale lecita, e, specialmente, “nel settore della responsabilita’ degli enti coinvolti in un rapporto di natura sinallagmatica”, che l’identificazione del profitto con il ricavo lordo “puo’ subire, per cosi’ dire, una deroga o un ridimensionamento, nel senso che deve essere rapportata e adeguata alla concreta situazione che viene in considerazione”, dovendo verificarsi quali conseguenze abbia la commissione di un reato sul titolo giuridico che giustifica il trasferimento.

Nella specie, il rapporto con la P.a., anche se interpretato secondo parametri contrattualistici quale appalto di servizi, deve ritenersi nullo per contrarieta’ a norme imperative ex articolo 1418 c.c., risultandone illecita la causa poiche’ l’offerta e’ sottesa da motivo illecito, in quanto finalizzata al perseguimento del lucro personale con mezzi fraudolenti, e, comunque, contraria all’ordine pubblico economico (sull’applicabilita’ dell’articolo 1345 c.c. agli atti unilaterali Cass. civ. 2, n. 20197 del 19/10/2005, Rv. 584149).

La radicalita’ del vizio, che affonda nella genesi illecita dell’iniziativa degli indagati, rende sine causa anche le prestazioni parziali (di cui – peraltro – l’accusa sembra contestare l’esistenza oltre che la consistenza in ragione degli ulteriori approfondimenti in corso) e priva di plausibile giustificazione, tanto piu’ nell’attuale fase cautelare caratterizzata dalla fluidita’ delle acquisizioni investigative, la decurtazione operata dal Tribunale cautelare sull’importo originariamente vincolato e pari all’integrale erogazione di fondi in favore del consorzio. E cio’ anche a voler ritenere che la revoca integrale del contributo disposta ex articolo 4 del Decreto Ministeriale n. 138 costituisca mero atto di autotutela dell’amministrazione a seguito dell’acquisizione di elementi in ordine all’inaffidabilita’ del soggetto destinatario dei finanziamenti e non invece esercizio di una potesta’ risolutiva del rapporto riconducibile alla lesione ex tunc dell’interesse pubblico perseguito.

5.Pertanto l’ordinanza impugnata deve essere annullata senza rinvio nella parte in cui ha ridotto l’importo originariamente assoggettato a sequestro preventivo (in funzione della confisca diretta o per equivalente) pari a Euro 623.053,44, limitandolo all’ammontare di Euro 350.000,00.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nella parte in cui si annulla, limitatamente alla somma di Euro 273.053,54, il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia in data 12 Luglio 2017 nei confronti di (OMISSIS).

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