Corte di Cassazione, sezione seconda civile, ordinanza 16 maggio 2019, n.13229.
La massima estrapolata:
In materia di condominio, ai fini della corretta ripartizione delle spese tra i condomini di un edificio, riguardanti, nella specie, il risanamento di alcuni pilastri di un complesso immobiliare costituito da più fabbricati, necessari per sostenere la struttura di un singolo edificio sovrastante, nonché quella del camminamento su un porticato esterno condominiale, non è rilevante la titolarità del diritto di proprietà, quanto la funzione della parte dell’edificio bisognosa degli interventi di ristrutturazione, con conseguente applicazione del criterio generale stabilito all’art. 1123 c.c., comma 1, secondo il quale tutti i condomini sono tenuti al pagamento pro-quota, quando i pilastri siano elementi strutturali portanti l’intero complesso
Ordinanza 16 maggio 2019, n.13229
Presidente Orilia
Relatore Scarpa
Ritenuto in fatto
N.U. ha proposto ricorso articolato in due motivi avverso la sentenza n. 470/2014 della Corte d’Appello di Ancona, depositata il 17 giugno 2014.
Resiste con controricorso il Condominio (omissis) .
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1, c.p.c.
N.U. , con ricorso del 19 gennaio 2004, aveva impugnato la deliberazione dell’assemblea 27 novembre 2003 del Condominio di via (OMISSIS) , assumendo, in particolare, che le spese per i lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio approvate in quella sede fossero pertinenti ai soli comparti dei numeri civici 37 e 39, e non anche al corpo di fabbrica del civico 31, ove il N. abita.
Con sentenza del 12 marzo 2007 il Tribunale di Ancona accolse la domanda del condomino N. , ritenendo l’invalidità della impugnata delibera per violazione dell’art. 1123, commi 2 e 3, c.c. e del regolamento condominiale. La Corte d’Appello di Ancona ha riformato poi la sentenza di primo grado, osservando, quanto alla mancata informazione dei partecipanti sulle questioni in trattazione all’assemblea del 27 novembre 2003, come la stessa era stata convocata con riguardo alla “situazione lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio”, sicché la decisione di ripartire le relative spese in base ai millesimi rappresentava lo sviluppo logico ed ordinario della discussione, anche alla luce delle provvisoria suddivisione di tali spese già deliberata nella precedente assemblea del 27 agosto 2003. La Corte d’Appello ha quindi preso atto delle risultanze della CTU, la quale aveva evidenziato come l’edificio condominiale di via (omissis) non costituisce un corpo unico, in quanto, pur avendo fondazioni uniche, è separato in tre distinti corpi da giunti tecnici, e come i lavori in oggetto fossero relativi ai pilastri dei numeri civici 32 e 34 bis, dei quali il primo ha funzione di sostegno anche della struttura del numero civico 39 e del soprastante camminamento comune. Da ciò i giudici di secondo grado hanno tratto la conclusione che le spese per i lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio Condominio di via (OMISSIS) rientrassero tra gli oneri di manutenzione e conservazione gravanti su tutti i condomini, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1, (nonché dell’art. 19 del regolamento condominiale), non trovando applicazione le diverse fattispecie di ripartizione di cui al medesimo art. 1123 c.c., commi 2 e 3
Considerato in Diritto
[omissis] Vanno dapprima superate le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dal controricorrente. La procura rilasciata a margine del ricorso per cassazione con riferimento esplicito ‘al presente giudizio’ è certamente provvista del requisito della specialità, nel senso richiesto dall’art. 365 c.p.c.. Inoltre, il ricorso rispetta i requisiti di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, consentendo a questa Corte, in relazione ai motivi proposti, di avere una sufficiente cognizione dei fatti che hanno originato la controversia, dell’oggetto dell’impugnazione e degli atti e documenti su cui essa fonda.
I. Il primo motivo di ricorso di N.U. deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1100, 1117 e 1123 c.c., e l’omesso esame circa un fatto decisivo, evidenziandosi come dalla relazione di CTU fosse emerso che l’edificio condominiale di via (omissis) non è da considerare un corpo unico e che i lavori erano stati effettuati interamente all’interno del numero civico 39, mentre l’atto di trasferimento di alloggio compreso nel corpo 31, intercorso tra la Cooperativa (omissis) e il N. in data 27 maggio 1982, includeva fra i beni comuni i soli porticati al piano terreno. Il primo motivo di ricorso riporta le considerazioni svolte dal CTU ed assume che le spese per i lavori di rafforzamento delle strutture dovessero essere solo in parte poste a carico dell’intero complesso edilizio 31/39, in quanto le stesse strutture coinvolte nell’intervento manutentivo svolgono una funzione primaria di sostegno del civico 39, nonché una funzione accessoria (al 50%) di sostegno al camminamento comune.
I.1. Il primo motivo di ricorso di N.U. è infondato.
Va dapprima ribadito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori (nella specie, delle considerazioni svolte nella consulenza tecnica d’ufficio) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nella specie, la consistenza del complesso immobiliare del Condominio di via (omissis) e la funzione dei pilastri oggetto dei lavori di consolidamento strutturale approvati dall’assemblea del 27 novembre 2003), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (si vada da ultimo Cass. Sez. 2, 29/10/2018, n. 27415).
La Corte d’Appello di Ancona ha affermato in sentenza, invero, che il fabbricato di via (OMISSIS) non costituisce un corpo unico, essendo separato in tre distinti corpi mediante giunti tecnici, e che i lavori per cui è causa erano relativi ai pilastri dei numeri civici 32 e 34 bis, accertando, tuttavia, che tali pilastri hanno funzione di sostegno non solo della struttura del numero civico 39, ma anche del soprastante camminamento condominiale, e per tale ragione chiamando a concorrere alle spese di consolidamento tutti i condomini, ai sensi dell’art. 1123 c.c., comma 1.
È noto come il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all’art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell’art. 1117 c.c., con la riserva ‘se il contrario non risulta dal titolo’. Anzi, la ‘condominialità’ si reputa non di meno sussistente pur ove sia verificabile un insieme di edifici ‘indipendenti’, e cioè manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, ciò ricavandosi dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui ‘un gruppo di edifici… si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi’, sempre che ‘restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell’art. 1117 del codice’ (arg. anche dall’art. 1117 bis c.c., introdotto dalle L. n. 220 del 2012). Peraltro, è agevole ipotizzare come possano esservi, nell’ambito dell’edificio condominiale, delle parti comuni che risultino destinati al servizio o al godimento di una porzione soltanto del fabbricato. Secondo la giurisprudenza, è in siffatte ipotesi automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale ‘ex lege’: tutte le volte, cioè, in cui un bene, come detto, risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo (e non, dunque, solo prevalente), di una parte soltanto dell’edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene. Mancano i presupposti per l’attribuzione, ex art. 1117 c.c., della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali, appaiano necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero siano destinati all’uso o al servizio non di tutto l’edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso. Il fondamento normativo, che limita in tal senso la proprietà di cose, servizi ed impianti dell’edificio, si rinviene nell’art. 1123 c.c., comma 3. A tale parziale attribuzione della titolarità delle parti comuni corrispondono conseguenze di rilievo per quanto attiene alla gestione, nonché all’imputazione delle spese. Relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarità, per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all’assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare. A carico dei medesimi condomini, privi di contitolarità con riguardo a quel dato bene, neppure ovviamente si pone un problema di contribuire alle spese. Peraltro, verificare se un bene rientri, o meno, tra quelli necessari all’uso comune, agli effetti dell’art. 1117 c.c., ovvero appartenga ad un unico condominio complesso, costituito, come nella specie, da più fabbricati, in quanto gruppo di edifici che, seppur indipendenti, hanno in comune alcuni beni, suppone valutazioni in fatto, sottratte al giudizio di legittimità. Allorché il ricorrente censura la sentenza della Corte d’Appello per non aver rilevato che si tratterebbe di edifici del tutto distinti e di beni appartenenti soltanto all’uno o all’altro di essi, si invoca da questa Corte un inammissibile diverso apprezzamento, in via inferenziale, di un fatto di causa esaminato dal giudice di merito, oppure si adduce una falsa percezione della realtà in cui sarebbero incorsi i giudici di secondo grado con riguardo a circostanza la cui inesistenza risulterebbe incontestabilmente accertata, profilo comunque estraneo al contenuto cognitivo del giudizio di legittimità.
La soluzione in diritto raggiunta dalla Corte di Ancona, sulla base dei richiamati accertamento di fatto, è peraltro corretta. Tra alcune parti comuni, quali, appunto, i muri, i pilastri, le travi portanti, i tetti, le fondazioni, ecc., e le unità immobiliari di proprietà esclusiva sussiste un legame materiale di incorporazione, che rende le prime indissolubilmente legate alle seconde ed essenziali per la stessa esistenza o per l’uso di queste, dalle quali i beni comuni non possono essere separati (Cass. Sez. 2, 18/01/2005, n. 962; Cass. Sez. 2, 07/03/1992, n. 2773; Cass. Sez. 2, 10/05/1996, n. 4391). Operando, dunque, rispetto ai pilastri, la presunzione di condominialità di cui all’art. 1117 c.c. (ovvero, altrimenti detto, secondo l’assunto di Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449, rientrando essi nel novero di quelle cose che, per le loro caratteristiche strutturali, non risultano destinate oggettivamente al solo servizio esclusivo di una o più unità immobiliari dell’edificio), non ha rilievo alcuno il rinvio che il ricorrente fa all’atto di trasferimento del proprio alloggio dalla Cooperativa (omissis) del 27 maggio 1982, giacché innanzitutto non emerge che tale alienazione costituisse il titolo costitutivo del condominio di via Brecce Bianche 31/39, ovvero il primo frazionamento della proprietà dell’edificio dall’originario unico proprietario, e poi perché dal titolo dovrebbe risultare non una espressa inclusione di tali pilastri tra le parti comuni, quanto, semmai, una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente ad uno dei condomini la proprietà di dette parti e di escluderne gli altri.
Deve infine ribadirsi che, ai fini della corretta ripartizione delle spese tra i condomini di un edificio, riguardanti, nella specie, il risanamento di alcuni pilastri di un complesso immobiliare costituito da più fabbricati, necessari per sostenere la struttura di un singolo edificio sovrastante, nonché quella del camminamento su un porticato esterno condominiale, non è rilevante la titolarità del diritto di proprietà, quanto la funzione della parte dell’edificio bisognosa degli interventi di ristrutturazione, con conseguente applicazione del criterio generale stabilito all’art. 1123 c.c., comma 1, secondo il quale tutti i condomini sono tenuti al pagamento pro-quota, quando i pilastri, come accertato nella specie, siano elementi strutturali portanti l’intero complesso (cfr. Cass. Sez. 2, 13/02/2008, n. 3470).
II. Il secondo motivo di ricorso di N.U. denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1105 c.c., e l’omesso esame di fatto decisivo, deducendo l’estraneità della adottata delibera di ripartizione delle spese rispetto alla voce ‘situazione lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio’, contemplata nell’ordine del giorno dell’assemblea del 27 novembre 2003.
II.1. Anche questo secondo motivo è infondato.
La Corte d’Appello di Ancona ha affermato che, poiché l’assemblea del 27 novembre 2003 era stata convocata per deliberare sulla ‘situazione lavori di consolidamento delle opere strutturali dell’edificio’, la decisione di ripartire le relative spese rappresentava nient’altro che lo sviluppo logico ed ordinario della discussione, anche alla luce di quanto già deliberato nella precedente assemblea del 27 agosto 2003.
La decisione della questione di diritto operata dalla Corte d’Appello è conforme all’interpretazione costante della giurisprudenza, consolidatasi prima dell’entrata in vigore dell’art. 66 disp. att. c.c., comma 3, (introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220, e perciò qui non applicabile ratione temporis), secondo cui, affinché la delibera di un’assemblea condominiale sia valida, è necessario che l’avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso, specificamente gli argomenti da trattare sì da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione alla deliberazione. In particolare la disposizione dell’art. 1105 c.c., comma 3 – che si riteneva applicabile anche in materia di condominio di edifici, in difetto di una analoga prescrizione quale quella ora contenuta nel richiamato art. 66 disp. att. c.c., comma 3, – la quale stabilisce che tutti i partecipanti debbano essere preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare, non comporta che nell’avviso di convocazione debba essere prefigurato lo sviluppo della discussione ed il risultato dell’esame dei singoli punti da parte dell’assemblea. In ogni modo, l’accertamento della completezza o meno dell’ordine del giorno di un’assemblea condominiale – nonché della pertinenza della deliberazione dell’assemblea al tema in discussione indicato nell’ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione – rimane demandato all’apprezzamento del giudice del merito insindacabile in sede di legittimità se, come nel caso della sentenza impugnata, adeguatamente motivato (cfr. Cass. Sez. 2, 27/03/2000, n. 3634; Cass. Sez. 2, 22/07/2004, n. 13763; Cass. Sez. 2, 10/06/2014, n. 13047). Né, anche con riguardo a questa seconda censura, risulta ben invocato il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, mancando ogni riferimento ad un fatto che abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), come anche il rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.
III. Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente Condominio (omissis) Brecce Bianche n. 31-39(OMISSIS) le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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