Controversie in materia di pagamento di indennità e canoni relativi a beni demaniali

Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 14 febbraio 2020, n. 1184.

La massima estrapolata:

Appartengono al giudice ordinario le controversie in materia di pagamento di indennità e canoni relativi a beni demaniali che abbiano un contenuto meramente patrimoniale, mentre le controversie coinvolgenti l’esercizio di poteri di valutazione preliminari alla determinazione del canone, incidenti sull’an e non solo sul quantum, sono attratte nella cognizione del giudice amministrativo.

Sentenza 14 febbraio 2020, n. 1184

Data udienza 14 novembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 1791 del 2019, proposto da
Regione Autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Pa. e Fl. Is., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
contro
Ma. di Po. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC Registri di Giustizia;
Agenzia del demanio di Cagliari, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna (sezione prima) n. 789/2018, resa tra le parti.
Visto il ricorso in appello;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ma. di Po. s.p.a.;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Agenzia del demanio di Cagliari;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 14 novembre 2019 il Cons. Anna Bottiglieri e uditi per le parti gli avvocati Sa. in dichiarata delega di Pa. e di Is., Ma. e dello Stato Ge.;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Ma. di Po. s.p.a., titolare dal 2004 di concessione cinquantennale di aree demaniali e specchi acquei per la gestione di un approdo turistico sito in località (omissis) del Comune di (omissis), di originari mq 97.881,00 poi ampliati per ulteriori mq 21.131,33, impugnava innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna il provvedimento 10 agosto 2017, n. 41065, con cui la Regione Autonoma della Sardegna aveva intimato alla società il pagamento del canone demaniale per l’anno 2017 (Euro 153.617,43), ai sensi della l. 296/2006 (legge finanziaria 2007), che ha esteso, rideterminandoli, i criteri di quantificazione dei canoni precedentemente stabiliti per le concessioni demaniali turistico-ricreative a quelle relative alla nautica da diporto.
La società lamentava in via principale che l’Amministrazione aveva computato nel canone anche il corrispettivo previsto dalla norma per le opere di difficile rimozione realizzate dal concessionario su una superficie pari a mq 10.726,00, che non poteva trovare applicazione alla luce dell’interpretazione dell’art. 1, comma 252 della predetta l. 296/2006 derivante dalla sentenza n. 29 del 2017 della Corte Costituzionale.
L’adito Tribunale, nella resistenza della Regione, accoglieva il ricorso con sentenza n. 789/2018, compensando tra le parti le spese di giudizio.
Il primo giudice, in particolare:
– respingeva l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice amministrativo spiegata dalla Regione, richiamando costante giurisprudenza (Cass. civ., Sez. un., 7 luglio 2017, n. 16829; 23 ottobre 2006, n. 22661) secondo cui appartengono al giudice ordinario le controversie in materia di pagamento di indennità e canoni relativi a beni demaniali che abbiano un contenuto meramente patrimoniale, mentre le controversie coinvolgenti, come quella di specie, l’interpretazione della concessione e l’esercizio di poteri di valutazione preliminari alla determinazione del canone, incidenti sull’an e non solo sul quantum, sono attratte nella cognizione del giudice amministrativo;
– rilevava che l’art. 03 del d.l. 400/1993, convertito dalla l. 494/1993, come sostituito dall’art. 1, commi 251 e 252, della legge 296/2006, nell’operare la già richiamata estensione, prevede al comma 1, lett. b) che la misura del canone annuo per l’area “occupata con impianti di difficile rimozione”, a decorrere dal 1º gennaio 2007, è fissata in Euro 4,13 al mq per la categoria A (aree, manufatti, pertinenze e specchi acquei, o parti di essi, concessi per utilizzazioni a uso pubblico ad alta valenza turistica) e in Euro 2,65 al metro quadrato per la categoria B (aree, manufatti, pertinenze e specchi acquei, o parti di essi, concessi per utilizzazione a uso pubblico a normale valenza turistica);
– osservava che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 29 del 2017, ha escluso, pena la violazione degli artt. 3 e 41 Cost., “l’applicabilità, generale ed indifferenziata, dei canoni commisurati ai valori di mercato a tutte le concessioni di strutture dedicate alla nautica da diporto, rilasciate prima della entrata in vigore della disposizione in esame”, questi attagliandosi, ai sensi del dettato di legge, solo alle opere costituenti pertinenze demaniali marittime, qualificazione che presuppone, alla luce dell’art. 49 Cod. nav., la proprietà statale al momento del rilascio della concessione demaniale, non ravvisabile nelle opere realizzate dal concessionario in costanza del rapporto di concessione, sino alla sua scadenza;
– in applicazione di tali coordinate, riteneva, sulla base della tabella di calcolo del canone prodotta dalla Regione, trattarsi nel caso di specie di opere di difficile rimozione che al momento del rilascio della concessione non erano ancora divenute pertinenze demaniali di proprietà statale, in quanto realizzate dalla concessionaria in costanza di rapporto;
– riteneva conclusivamente che le relative aree non potevano essere assoggettate al nuovo canone concessorio.
La Regione ha appellato la predetta sentenza deducendone l’erroneità per: 1) Difetto di giurisdizione; 2) Omessa pronuncia sulla inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione in ordine ai pagamenti relativi alle annualità precedenti; 3) Omessa pronuncia sulla inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione delle convenzioni; 4) Erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti, erroneità, contraddittorietà e insufficienza della motivazione, violazione dell’art. 39 del Codice della navigazione e degli art. 10, 16, 17 e 37 del relativo regolamento di esecuzione, violazione dell’art. 8 del d.l. 400/1993; 5) Erroneità dei presupposti e travisamento dei fatti, erroneità, contraddittorietà e insufficienza della motivazione. Ha concluso per la riforma della sentenza appellata e conseguente declaratoria dell’inammissibilità e dell’infondatezza del ricorso di primo grado.
Ma. di Po. si è costituita in resistenza, esponendo l’infondatezza dell’appello e riproponendo le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado ex art. 101 Cod. proc. amm..
Si è costituita in giudizio con mera memoria formale anche l’Agenzia del demanio di Cagliari.
La Regione e la società hanno affidato a memorie lo sviluppo delle proprie argomentazioni difensive e la confutazione delle tesi avverse.
Con ordinanza n. 2433/2019 la Sezione ha respinto la domanda cautelare formulata dalla Regione.
La causa è stata indi trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 14 novembre 2019.

DIRITTO

1. Le questioni di carattere preliminare sollevate dalla appellante Regione Autonoma della Sardegna con i primi tre motivi di gravame sono infondate.
1.1. Non può essere condivisa l’affermazione di cui al primo mezzo secondo cui la sentenza impugnata avrebbe errato nel ritenere sussistente la giurisdizione amministrativa, avendo la controversia in esame un contenuto meramente patrimoniale, discendente da un rapporto di natura negoziale (la concessione-contratto), in cui non viene in rilievo né l’esercizio di poteri autoritativi né l’interpretazione della concessione.
Se è vero, infatti, che si verte in tema di canone annuale (2017) dovuto da Ma. di Po. s.p.a. in dipendenza della concessione cinquantennale di aree demaniali e specchi acquei per la gestione di un approdo turistico di cui è titolare dal 2004, tuttavia la verifica da effettuarsi in giudizio in rapporto alle censure sollevate dalla società non attiene allo stretto profilo della misura del canone, estendendosi, a monte, alla verifica delle modalità di esercizio dei poteri valutativi amministrativi propedeutici (applicabilità della normativa sopravvenuta; venuta a esistenza del relativo presupposto), che è fattispecie per la quale non vi è dubbio sussistere la giurisdizione amministrativa.
Il giudice di primo grado ha quindi fatto corretta applicazione dei criteri di riparto della giurisdizione che regolano la materia, che ha richiamato in uno alla costante giurisprudenza che li ha enucleati (da ultimo, Cass. civ., Sez. un., 7 luglio 2017, n. 16829), che afferma appartenere al giudice ordinario le controversie in materia di pagamento di indennità e canoni relativi a beni demaniali che abbiano un contenuto meramente patrimoniale, mentre le controversie coinvolgenti l’esercizio di poteri di valutazione preliminari alla determinazione del canone, incidenti sull’an e non solo sul quantum, sono attratte nella cognizione del giudice amministrativo.
Può solo aggiungersi che questo Consiglio di Stato, in relazione a controversie analoghe a quella qui in esame, ha più volte affermato la propria giurisdizione, rilevando che “In giurisprudenza è stata affermata la giurisdizione del giudice amministrativo sul contenzioso concernente i provvedimenti di rideterminazione del canone demaniale sulle concessioni marittime, in applicazione dell’art. 1, comma 251, della legge finanziaria 2007 (ritenuto costituzionalmente legittimo da Corte Cost. 22 ottobre 2010, n. 302; da applicare anche, ai sensi del successivo comma 252, per le misure dei canoni sulle concessioni per la realizzazione e gestione di strutture per la nautica da diporto), qualora non si tratti di mera quantificazione del canone, ma di integrale revisione, previa ricognizione tecnico-discrezionale del carattere di pertinenze demaniali marittime delle opere realizzate in precedenza dal concessionario, nonché in considerazione dell’inamovibilità o meno delle stesse (ex multis, Cons. St., sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 336; Cons. Stato: sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2371 e giurisprudenza ivi citata)” (Cons. Stato, V, 30 marzo 2017, n. 1466).
1.2. Non merita favorevole valutazione il secondo mezzo, con cui la Regione ripropone l’eccezione, non esaminata dal primo giudice, di inammissibilità del ricorso di primo grado della società avverso il ridetto canone concessorio 2017, per mancata impugnazione dei provvedimenti determinativi dei canoni degli anni precedenti.
Sul punto, va innanzitutto rammentato il consolidato principio per cui, in virtù dell’effetto devolutivo dell’appello, l’omessa pronuncia del giudice di primo grado su uno o più motivi non è idonea a viziare la sentenza, in quanto in secondo grado il giudice è chiamato a valutare tutte le domande, integrando – ove necessario – le argomentazioni della sentenza appellata senza che, quindi, rilevino le eventuali carenze motivazionali di quest’ultima (ex plurimis, Cons. Stato, VI, 6 febbraio 2019, n. 897; 21 marzo 2016, n. 1158; 14 aprile 2015, n. 1915; V, 23 marzo 2018, n. 1853; 19 febbraio 2018, n. 1032; 13 febbraio 2009, n. 824; IV, 5 febbraio 2015, n. 562). La regola trova applicazione anche per le eccezioni, riguardando, in correlazione con i capi della sentenza di primo grado oggetto di appello, l’automatica riemersione nel secondo grado di giudizio di tutto il materiale cognitorio (domande, eccezioni, deduzioni, difese ecc.) introdotto in prime cure (Cons. Stato, V, 23 gennaio 2007, n. 191).
Ciò posto, passando all’esame del motivo, è agevole osservare che le obbligazioni del concessionario di corrispondere il previsto canone annuale nel corso della concessione, pur discendendo da una unica fonte negoziale, quali prestazioni periodiche, sono tra loro indipendenti, così come le corrispondenti pretese dell’amministrazione concedente (si veda Cass. Civ., Sez. un. 9 febbraio 2011, n. 3162, in tema di concessione di acque pubbliche, secondo cui i canoni rappresentano “più prestazioni aventi un titolo unico e però ripetute nel tempo ed autonome le une dalle altre, nel senso che ciascuna di esse non ha con quelle precedenti e successive altro legame che non sia quello di essere fondata sul medesimo, comune rapporto giuridico”): sicchè la contestazione in giudizio di ciascuna pretesa non è condizionata dall’impugnazione delle precedenti, e, in carenza, le modalità di calcolo non possono dirsi consolidate, essendo l’istituto dell’acquiescenza estraneo ai diritti soggettivi perfetti che vengono in rilievo al riguardo, né l’azione giudiziale può ritenersi priva di interesse ad agire, restando connotata da una sua propria utilità, che è quella di accertare la correttezza del canone siccome determinato per lo specifico anno oggetto di contestazione.
Deve ancora osservarsi che la proposizione della censura in esame è stata correlata ai rischi paventati dalla Regione per l’ipotesi della reiezione dell’appello (segnatamente: che l’accertata illegittimità della misura del canone 2017 coinvolga le annualità anteriori a tale anno, precedentemente non contestate; che la società possa, sempre in conseguenza di tale illegittimità, rimettere in discussione i pagamenti già eseguiti per gli anni 2007-2014), rischi che si ritengono evocati dall’epigrafe del ricorso di primo grado della società, che ha esteso l’impugnativa, oltre che alla richiesta di pagamento del canone 2017, anche agli atti “anteriori, preparatori, conseguenziali e comunque connessi”.
Ma tale prospettazione non coglie nel segno, essendo evidente da un lato che l’estensione richiamata dalla Regione altro non è che l’utilizzo di una formula di proposizione della domanda demolitoria abbastanza consueta nel giudizio amministrativo, mentre dall’altro le ipotesi avanzate dalla Regione attengono ai riflessi che la decisione giudiziale relativa al canone 2017 può assumere nei complessivi rapporti patrimoniali intercorrenti tra la società e la Regione, che è scenario futuro e del tutto estraneo all’odierno giudizio di legittimità .
Quanto, poi, al parere dell’Agenzia del demanio 21 dicembre 2015, che, come riferisce l’appellante, ha validato l’interpretazione adottata dalla Regione nell’atto annullato e nelle richieste precedenti, si tratta di un atto endo-procedimentale, che può ritenersi impugnato, nei limiti del suo recepimento da parte della richiesta gravata nel giudizio in esame e per quanto di interesse della società, a mezzo della rituale formula impugnatoria dianzi citata.
1.3. Va respinto anche il terzo mezzo, con cui la Regione lamenta l’omessa pronunzia del primo giudice sull’eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione della convenzione-contratto, nella parte in cui disciplina gli accordi economici tra le parti (art. 6), e del d.m. Trasporti 14 aprile 2008.
Alla luce delle osservazioni dianzi formulate, non si ravvisa infatti alcuna specifica ragione, che del resto la parte appellante non evidenzia, per cui l’impugnazione del canone anno 2017 risentirebbe della mancata contestazione di tali atti, afferenti il primo alle generali condizioni economiche del rapporto, il secondo alla rideterminazione del canone a decorrere dal 1° gennaio degli anni 2007 e 2008 (come rilevato in fatto dal primo giudice).
2. Non sono meritevoli di favorevole considerazione le censure che la Regione rivolge all’iter argomentativo della sentenza gravata con il quarto mezzo, preceduto da una articolata esposizione dei termini della riforma introdotta dalla legge finanziaria 2007, per come ricostruita dalla parte appellante.
2.1. Sul punto, il Collegio non ravvisa ragione per discostarsi dalle conclusioni assunte da questo Consiglio di Stato con la sentenza della Sezione VI 16 gennaio 2018, n. 218, che risultano pienamente aderenti, come del resto la sentenza appellata, ai principi, che la società ha invocato nel ricorso di primo grado, esposti dalla Corte costituzionale n. 29 del 2017, all’esito di un giudizio di costituzionalità promosso anche dalla predetta Sezione VI.
2.2. Va allora rilevato, in estrema sintesi, che con la sentenza interpretativa di rigetto n. 29 del 2017 la Corte costituzionale ha conferito alla disciplina normativa sottoposta al suo giudizio termini diversi da quelli prospettati da questo Consiglio di Stato nell’ordinanza di rimessione, che hanno consentito di superare il possibile contrasto della previsione dell’aumento dei canoni anche per i rapporti concessori in corso con gli artt. 3 e 41 Cost..
In particolare, la Corte costituzionale con la decisione in commento ha rilevato che la nuova disciplina dettata dalla legge finanziaria 2007, art. 1, commi 251 e 252, ha modificato il precedente impianto normativo contenuto nell’art. 03 del d.l. 400/1993, stabilendo una nuova modulazione dei criteri di quantificazione dei canoni, che si sostanzia nella previsione, accanto al canone c.d. “tabellare”, che continua ad applicarsi per le concessioni previste dall’art. 03, comma 1, lettera b), n. 1, di un canone commisurato al valore di mercato, sia pure mitigato da alcuni accorgimenti e abbattimenti e da specifiche misure agevolative per determinate categorie di utilizzatori, che costituisce un elemento di novità particolarmente significativo, finalizzato al perseguimento di obiettivi di equità e razionalizzazione dell’uso dei beni demaniali, che riguarda, in particolare, le concessioni comprensive di strutture costituenti “pertinenze demaniali marittime destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi”, come qualificate dall’art. 29 del Codice della navigazione.
Nel descritto contesto, ribadita, con riferimento alle concessioni demaniali per attività turistico-ricreative, la legittimità dei nuovi criteri di calcolo dei canoni già riconosciuta con la sentenza n. 302 del 2010, la Corte costituzionale ha ritenuto “possibile e doverosa” una interpretazione della disposizione di cui al citato comma 252 “che porta ad escludere l’applicabilità, generale ed indifferenziata, dei canoni commisurati ai valori di mercato a tutte le concessioni di strutture dedicate alla nautica da diporto, rilasciate prima della entrata in vigore della disposizione in esame”, con ciò escludendo l’irragionevolezza delle relative previsioni a condizione che “la commisurazione del canone venga parametrata alle concrete caratteristiche dei rapporti concessori, nonché dei beni demaniali che ne formano l’oggetto. Invero, l’art. 03 del d.l. n. 400, nel testo sostituito dall’art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006, prevede che il criterio della media dei valori indicati dall’Osservatorio del mercato immobiliare si applica alle concessioni demaniali marittime comprensive di strutture permanenti costituenti ‘pertinenze demaniali marittime destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi'”.
In tal modo, la Corte ha conferito decisiva rilevanza al tenore letterale della disposizione che, nel delimitare l’ambito applicativo dei nuovi canoni commisurati ai valori di mercato, fa espresso riferimento a opere costituenti pertinenze demaniali marittime.
Con la conseguenza che:
– “al fine di stabilire la proprietà statale dei beni di difficile rimozione edificati su suolo demaniale marittimo in concessione, è determinante la scadenza della concessione, essendo questo il momento in cui il bene realizzato dal concessionario acquista la qualità demaniale”;
– “i criteri di calcolo dei canoni commisurati ai valori di mercato, in quanto riferiti alle opere realizzate sul bene e non solo alla sua superficie, risultano applicabili, quindi, soltanto a quelle che già appartengano allo Stato e che già possiedano la qualità di beni demaniali. Nelle concessioni di opere da realizzare a cura del concessionario, ciò può avvenire solo al termine della concessione, e non già nel corso della medesima”;
– “un’interpretazione costituzionalmente corretta della disposizione in esame impone, quindi, la necessità di considerare la natura e le caratteristiche dei beni oggetto di concessione, quali erano all’avvio del rapporto concessorio, nonché delle modifiche successivamente intervenute a cura e spese dell’amministrazione concedente. Mentre con riferimento agli aumenti dei canoni tabellari (art. 03, comma 1, lettera b, n. 1, del D.L. n. 400 del 1993) valgono i principi affermati nella sentenza n. 302 del 2010, viceversa va esclusa l’applicabilità dei nuovi criteri commisurati al valore di mercato alle concessioni non ancora scadute che prevedano la realizzazione di impianti ed infrastrutture da parte del concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007”.
Per tali ragioni, la proposta questione di legittimità costituzionale è stata ritenuta non fondata, essendo frutto di una “non adeguata utilizzazione dei poteri interpretativi che la legge riconosce al giudice”.
2.3. A sua volta, la già citata decisione n. 218/2018 di questo Consiglio di Stato ha ritenuto che la predetta sentenza della Corte costituzionale indichi il percorso della interpretazione costituzionalmente conforme della disposizione in esame con riferimento alla specifica categoria dei rapporti concessori aventi a oggetto le strutture dedicate alla nautica da diporto, occorrendo pertanto considerare, nell’ottica di un’interpretazione conforme a Costituzione, “la natura e le caratteristiche dei beni oggetto di concessione, quali erano all’avvio del rapporto concessorio…”, elemento di fatto da cui dipende il calcolo del canone.
Per tale via è giunta alla conclusione – che merita convinta adesione – che i nuovi criteri normativi introdotti dalla legge finanziaria 2007 si applicano alle sole concessioni demaniali comprensive di pertinenze demaniali, vale a dire qualora vi sia la presenza di infrastrutture statali al momento dell’inizio del rapporto concessorio, mentre, in armonia con quanto segnalato dal Giudice delle leggi, va esclusa l’applicabilità dei nuovi criteri commisurati al valore di mercato alle concessioni non ancora scadute, che prevedano la realizzazione di impianti e di infrastrutture da parte del concessionario, ivi incluse quelle rilasciate prima del 2007.
Ciò in quanto, se è vero che la Corte costituzionale ha considerato applicabili i nuovi importi tabellari anche alle concessioni rilasciate per la costruzione e gestione di porti turistici prima dell’entrata in vigore della legge n. 296/2006, è vero anche che l’interpretazione costituzionalmente corretta di tale criterio impone di fare riferimento alla configurazione che i beni demaniali avevano al momento del rilascio della concessione.
2.4. A questo punto deve rilevarsi che la ricostruzione di carattere generale operata dalla Regione appellante nel motivo in esame è totalmente estranea alla prospettiva emergente dalle citate pronunzie, e non può, quindi, trovare accoglimento.
Né le specifiche e diffuse critiche che la Regione muove alla sentenza di primo grado, che, come detto, risulta conforme all’ottica sopra esposta, possono indurre a una rimeditazione dell’impostazione cui il Collegio, come detto, aderisce.
2.5. In particolare, tali critiche, che vengono esaminate non nell’ordine seguito dall’appellante, non sono persuasive in quanto:
– l’annullamento del provvedimento regionale “nella parte in cui ha applicato il canone anche sull’area occupata da opere di difficile rimozione”, non risulta affetto dal vizio di ultra petitum, atteso che la conclusione risulta pienamente coerente con la domanda avanzata dalla società, volta a escludere la determinazione del canone in parola secondo la normativa della legge finanziaria del 2007 anche con riferimento all’area concessoria occupata da opere di difficile rimozione non ancora divenute “pertinenze demaniali” nei sensi sopra considerati. Ulteriormente, la pronunzia demolitoria non risulta illogica o oscura o in contrasto con le premesse correttamente poste dal primo giudice sulla base della ridetta sentenza del Giudice delle leggi, né può dirsi che essa non contenga il “riferimento esplicito alla tipologia di canone da annullare”;
– l’assunto che la corretta lettura della sentenza della Corte costituzionale n. 29/2017 porterebbe alla conferma del canone come determinato dall’atto annullato, è enunciato assertivo, completamente privo di forza persuasiva;
– non convince neanche il parallelismo effettuato in relazione all’art. 39 del Codice della navigazione, che prevede la corresponsione di un canone “di riconoscimento del carattere demaniale dei beni” utilizzati nell’ambito delle concessioni per fini di beneficenza o altri fini di pubblico interesse, dovendosi rilevare la totale estraneità della fattispecie al caso in esame, oltre che la carenza in quello qui di interesse, alla luce degli approdi del Giudice delle leggi, proprio dello specifico presupposto del citato art. 39, trattandosi nel caso in esame, sino alla scadenza della concessione per cui è causa, di opere che non possono essere definite demaniali. Non viene in rilevo, pertanto, neanche la “esenzione” stigmatizzata dalla Regione nell’ambito del predetto parallelismo;
– nulla aggiunge il richiamo alla sentenza della Corte costituzionale n. 302/2010, che, come sopra visto, è stata considerata dalla stessa Corte nella sentenza n. 29/2017, senza che tale considerazione abbia impedito il raggiungimento delle sopra illustrate conclusioni;
– la Regione non può essere seguita quando afferma che con le sentenze nn. 340/2018 e 546/2018 questo Consiglio di Stato avrebbe legittimato il canone qui contestato, in quanto comunque corrisposto in ragione dell’area, divenuta a causa delle opere di difficile rimozione maggiormente redditizia.
Al riguardo, si rileva in primo luogo che tali sentenze non si discostano dalle statuizioni della sentenza n. 29/2017 della Corte costituzionale, di cui fanno espressamente applicazione. Inoltre, il principio che la Regione ritiene di “estrapolare” da tali sentenze non è qui in alcun modo conferente, in quanto correlato a fattispecie che, diversamente da quella in esame, non riguardano la determinazione del canone relativo a “pertinenze”, attenendo all’incremento dei canoni disposti, rispettivamente, “per la sola area di insistenza e non per il bene” e “per le aree occupate e non anche per gli immobili costituenti ‘pertinenzà demaniale”, di cui “non vi è cenno alcuno”;
– non rilevano gli arresti di cui alla sentenza di questo Consiglio di Stato n. 3308/2013, antecedenti alla sentenza n. 29/2017 della Corte costituzionale;
– la pretesa che le opere di difficile rimozione realizzate dall’appellata siano considerate, ai fini dell’applicazione del canone di cui si discute, come “occupazione di area demaniale marittima” è, all’evidenza, del tutto sfornita di fondamento, essendo l’istituto “occupazione” nei sensi evocati dalla censura del tutto estraneo al regime delle concessioni in corso di validità ;
– considerando che la pretesa annullata dal primo giudice riguardava il canone relativo alle opere pertinenziali in parola, ogni questione, pure articolatamente introdotta dalla Regione, relativa alla ipotetica debenza, sempre in relazione a tali opere, quanto meno degli oneri “da costruzione” (valori Omi) o degli “oneri di base da concessione di superficie” è fuori centro, riconvertendosi nella riproposizione, sotto altro profilo, della stessa pretesa rivelatasi illegittima alla luce dell’interpretazione costituzionalmente orientata di cui sopra. Per tale motivo, è del tutto irrilevante che la società abbia confutato tali ipotesi in memoria e non nel ricorso introduttivo del giudizio; non si è, infatti al cospetto di una “nuova domanda” ricorsuale, bensì di una linea difensiva del tutto coerente con le domande a suo tempo tempestivamente formulate dall’interessata.
2.6. Anche il quarto motivo di appello va, pertanto, respinto.
3. Infine, per respingere il quinto e ultimo mezzo, con cui la Regione sostiene che la sentenza gravata non avrebbe potuto affermare, non disponendo di elementi sufficienti, che le opere per cui è causa sono state realizzate nel corso del rapporto concessorio, non occorrono molte parole.
Il primo giudice ha desunto tale circostanza dalla tabella di calcolo del canone prodotta dalla Regione nel corso del giudizio di primo grado.
La Regione, per confutare tale assunto, avrebbe potuto e anzi dovuto produrre elementi documentali, che devono ritenersi senz’altro nella sua disponibilità, volti a comprovare l’erroneità della deduzione mediante la dimostrazione della preesistenza delle opere rispetto alla concessione: ma tali elementi non sono stati offerti in cognizione, né possono essere considerati tali i rilievi con cui la Regione ipotizza che la realizzazione delle opere di cui trattasi non sia stata assistita dalle necessarie autorizzazioni edilizio-paesaggistiche, dal momento che si tratta di mere illazioni, e ulteriormente considerato che la Regione non avanza la pretesa all’eliminazione di tali manufatti, ma afferma di aver diritto alla percezione del relativo canone concessorio.
Parimenti, l’effettiva presenza delle opere di difficile rimozione nell’area oggetto di concessione e la loro estensione sono elementi che la Regione avrebbe potuto agevolmente accertare avvalendosi delle potestà del concedente: in assenza, i dubbi avanzati al riguardo in questa sede non assurgono al livello di argomentazioni scrutinabili in giudizio.
4. Per tutto quanto precede, l’appello, assorbita ogni questione riproposta dalla società appellata ex art. 101 Cod. proc. Amm., deve essere respinto.
Tenuto conto della relativa novità della questione, le spese di giudizio del grado possono essere compensate tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello di cui in epigrafe, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese di giudizio del grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero – Presidente FF
Valerio Perotti – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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