Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 17 maggio 2019, n. 13360.
La massima estrapolata:
Il consorzio costituito per gli scopi previsti dall’art. 2602 c.c., non potendo avere per sé alcun vantaggio, in quanto lo stesso, al pari dell’eventuale svantaggio, appartiene unicamente e solo alle imprese consorziate, ha l’obbligo di ribaltare sulle stesse, secondo i criteri di legge o quelli legittimamente fissati dallo statuto, se non elusivi della causa consortile e delle relative norme fiscali, tutte le operazioni economiche realizzate da una o più imprese consorziate, oppure dallo stesso consorzio con strutture proprie o con impiego di imprese terze, sicché le singole consorziate sono tenute ad emettere fattura – ai fini IVA – nei confronti del consorzio in proporzione della quota consortile, per il ribaltamento dei proventi delle commesse ad essa attribuiti, nonché autofattura, in proporzione della quota consortile, per il ribaltamento dei relativi costi.
Sentenza 17 maggio 2019, n. 13360
Data udienza 14 marzo 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente
Dott. CATALDI Michele – Consigliere
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere
Dott. DI MARZIO Paolo – rel. Consigliere
Dott. MAISANO Giulio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale notarile depositata in udienza, dall’Avv.to (OMISSIS) del Foro di Cosenza, il quale ha indicato recapito PEC, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, al (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore, legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, ed elettivamente domiciliata presso i suoi uffici, alla via dei Portoghesi n. 12 in Roma;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 108, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro il 25.03.2010, e pubblicata il 19.12.2011;
raccolte le conclusioni rassegnate dal P.M. di udienza, Dott.ssa Tassone Kate, la quale ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso a causa del difetto di autosufficienza;
ascoltate le discussioni proposte dal difensore della ricorrente, Avv. (OMISSIS), il quale ha pure depositato procura conferita per atto del Notaio (OMISSIS) del 12.03.2019, e dal procuratore di controparte, Avv. (OMISSIS), che ha domandato il rigetto del gravame;
udita, in camera di consiglio, la relazione svolta dal Consiglier Di Marzio Paolo.
la Corte osserva:
FATTI DI CAUSA
l’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Paola, in data 2.02.2005 effettuava operazioni di verifica fiscale, relativamente agli anni d’imposta 2002 e 2003, nei confronti della contribuente (OMISSIS) Srl (ora Spa), operativa nel settore della costruzione di strade ed impianti sportivi.
Tale accertamento, finalizzato al controllo del corretto adempimento delle disposizioni fiscali previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 52 e 63 e dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articoli 32 e 33, riguardava non solo l’attivita’ espletata dalla (OMISSIS), ma si estendeva altresi’ al rapporto di partecipazione intrattenuto da questa con le societa’ consortili (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ con il consorzio (OMISSIS), del cui operato l’odierna ricorrente si avvaleva per la realizzazione dei lavori pubblici oggetto della sua attivita’ d’impresa.
Dall’esame documentale emergeva “una ripartizione dei costi e dei ricavi ribaltati dai consorzi poco attendibile e non conforme ai principi economici in quanto nella fattispecie, l’utile dell’appalto dato dalla differenza tra le fatture emesse nei confronti degli enti pubblici committenti con successivo ribaltamento dei ricavi da un lato e dei costi dall’altro non si e’ verificato”. Si registrava, inoltre, la confusione fra le rimanenze della Societa’ verificata e quelle dei consorzi, nonche’ “la mancanza di una contabilita’ analitica per centro di costo e di ricavi in grado di ripartire in modo diretto i vari costi e ricavi per ogni commessa, o lavoro espletato” (contr. p. 3).
Pertanto i verificatori accertavano, per l’anno 2002, un maggior imponibile ai fini IRPEG, IRAP ed IVA, nella misura di Euro 434.664,00, cosi’ determinato: Euro 433.012,00 quale differenza fra costi e ricavi ribaltati dalle societa’ consortili (OMISSIS) e (OMISSIS), nonche’ dal consorzio (OMISSIS), ed Euro 1.692,00 quali costi di competenza, portati in detrazione nel 2002, oltre a sanzioni ed interessi per complessivi Euro 513.995,73. Con riguardo al periodo d’imposta 2003, i verificatori accertavano un maggior imponibile IRPEG ed IRAP, oltre a sanzioni ed interessi, per un importo pari ad Euro 354.214,66.
L’Ufficio emetteva, dunque, due distinti avvisi di accertamento, che venivano impugnati dalla Societa’ innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Cosenza insieme alla cartella di pagamento, recante n. (OMISSIS) (Irpeg ed Irap 2002, Irpef, Iva, ed Irap 2003). La CTP, previa riunione dei ricorsi, osservava innanzitutto che il risultato di gestione conseguito dalla societa’, se analizzato in riferimento a piu’ esercizi, risultava comunque positivo. Riteneva, quindi, che la modalita’ di dichiarazione adottata, nella parte in cui, in relazione a quanto ribaltato nei suoi confronti dai consorzi, la societa’ aveva contabilizzato i costi nell’anno 2002 ed i ricavi nell’anno 2003, non risultava illegittima e comunque, se quegli stessi ricavi fossero stati ora imputati anche nell’anno 2002, in mancanza di rettifica in relazione all’anno 2003, si sarebbe verificato il fenomeno della doppia imposizione. Inoltre, in relazione alla societa’ consortile (OMISSIS)., i costi dichiarati attenevano a meri oneri di funzionamento dell’ente collettivo, cui non corrispondeva alcun ricavo. In conseguenza accoglieva l’impugnazione proposta dalla contribuente, in forma integrale in relazione all’anno 2002 e parziale in riferimento all’anno 2003.
L’Ente impositore spiegava appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale di Catanzaro, domandando la riforma della decisione di primo grado e, per l’effetto, la condanna della societa’ al pagamento della maggiore imposta ritenuta dovuta. L’adita Commissione riformava la decisione adottata dai giudici di primo grado, ed affermava la correttezza dell’operato dell’Amministrazione finanziaria. Rilevava, innanzitutto, che “i costi della societa’ consortile costituiscono costi propri delle consorziate quali spese affrontate per mezzo del consorzio; allo stesso modo, la societa’ consortile non affronta costi propri perche’ tutti i costi, anche quelli per il mero funzionamento della societa’ consortile, sono a carico delle societa’ consociate: la societa’ consortile, nei rapporti interni, e’ sempre e soltanto uno strumento operativo ma le sue operazioni, nei confronti del fisco sono operazioni proprie delle consociate che l’hanno costituita” (sent. CTR, p. 2). Ne consegue il principio del ribaltamento dei costi o riaddebito, da cui discende che “i costi ed i ricavi ribaltati dai vari consorzi non possono… essere inseriti nel costo di produzione della ricorrente, essendo, l’esclusione dal calcolo della produttivita’ della contribuente, dei costi e dei ricavi ribaltati dai consorzi, giustificata dalla circostanza che il ciclo produttivo dei consorzi e’ cosa diversa e separata da quello delle societa’ consortili” (sent. CTR, p. 3).
Avverso la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale della Calabria ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS) Spa, affidandosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Con il suo unico motivo di impugnazione, che indica di proporre a norma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, la societa’ ricorrente censura l’ingiustizia ed illegittimita’ della decisione assunta dalla impugnata Commissione Regionale, per aver ritenuto fondata la pretesa tributaria.
2.1. – Con il suo motivo di impugnazione la ricorrente Societa’ ripropone le proprie contestazioni di merito lamentando la pretesa legittimita’ del proprio operato. Osserva che i costi ed i ricavi ribaltati dai consorzi erano stati regolarmente indicati in dichiarazione, soltanto “”spalmati” o distribuiti su piu’ esercizi e che complessivamente generano un risultato economico positivo”, conseguendone “che non venivano omessi ricavi ma” gli stessi erano “semplicemente imputati all’esercizio successivo” (ric., p. 3). Ribadisce, quindi, che in relazione alla societa’ consortile (OMISSIS)., “i costi ribaltati riguardavano spese di funzionamento e quindi non trovavano alcun riscontro in alcun ricavo” (ibidem). Adduce, ancora, che la metodologia di calcolo adoperata dall’Ufficio, in particolare per l’esercizio 2003, risulta viziata e difforme rispetto all’anno d’imposta 2002, in quanto basata induttivamente sul calcolo di una presunta redditivita’ pari all’11,52%, attribuita all’anno 2002, che veniva estesa anche al 2003 e tradotta in una maggiore valutazione delle rimanenze finali (opere in corso di esecuzione), disattendendo cosi’ un doveroso principio di coerenza da osservarsi nell’applicazione dei parametri utilizzati per il ricalcolo della produttivita’ aziendale.
Secondo la prospettazione della contribuente, i costi e i ricavi ribaltati dai consorzi, nonche’ la sopravvenienza rinveniente dalle provvidenze previste dalla L. n. 388 del 2000, articolo 8, debbono essere inclusi nel calcolo della produttivita’, i primi (costi e i ricavi ribaltati), in quanto “per loro natura sono valori economici inerenti la produzione. Che tale processo produttivo avvenga direttamente o anche attraverso organismi quali i consorzi o le societa’ consortili, ha la medesima valenza.” Nel calcolo della redditivita’, andrebbero, quindi, inclusi elementi di costo e ricavo rinvenienti sia dalla produzione effettuata direttamente, sia derivanti dai lavori realizzati attraverso l’interposizione dei consorzi.
L’esclusione dei costi e dei ricavi ribaltati, secondo la verificata, condurrebbe, infatti, a risultati falsati e non aderenti alla realta’ produttiva dell’impresa. “A titolo esemplificativo qualora l’impresa agisse esclusivamente attraverso le forme di associazione predette, non avrebbe possibilita’ di calcolare alcun costo di produzione”, atteso che tutti i costi ed i ricavi, passando attraverso i consorzi, sarebbero esclusi dal calcolo della propria redditivita’ (ric. introdut. p. 3; ric. p. 5).
Parimenti, il contributo in conto impianti di cui alla L. n. 388 del 2000, articolo 8), “deve essere considerato ai fini della produttivita’ aziendale, in quanto contrapposto agli ammortamenti relativi ai beni strumentali acquisiti in seguito alla cd. agevolazione, ammortamenti che l’ufficio ha incluso nel calcolo dei costi” (ric. p. 5). In particolare, la ricorrente asserisce che legittimamente avrebbe fatto uso del metodo di rendicontazione indiretta, contabilizzando i beni strumentali al costo storico, al lordo del contributo, ed ammortizzandolo in rapporto a tale valore. “La sopravvenienza di cui alla citata L. n. 388 del 2000, articolo 8, e’ stata contabilizzata fra i ricavi ed imputata ai vari esercizi in proporzione agli ammortamenti dei beni acquisiti. Questa metodologia consente quindi di contrapporre il costo degli ammortamenti alla sopravvenienza riscontrata, neutralizzando nel tempo l’importo dell’agevolazione” (ric. p. 6).
Il motivo di ricorso, cosi’ come prospettato, risulta per ampia parte inammissibile e deve valutarsi comunque infondato.
In primo luogo deve osservarsi che il ricorso non rispetta le previsioni di cui all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo l’impugnante premesso l’esposizione sommaria dei fatti di causa, che sono parzialmente ricostruiti solo all’interno del testo del motivo di ricorso. Come correttamente rilevato dalla controricorrente, inoltre, sebbene la (OMISSIS) dichiari di voler proporre la propria impugnazione (anche) per violazione di legge, nel ricorso non si rinviene “nessun riferimento alle norme (ritenute) violate ma solo un generico e laconico riferimento” viene operato alla “violazione e falsa applicazione di cui all’articolo 360 c.p.c., nn. 4 e 5, sul punto della decisione”. Ancora, la ricorrente critica la “contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ma senza che possano evincersi dal suo scritto specifiche contestazioni dei difetti di legittimita’ della impugnata sentenza (contr. p. 10).
La ricorrente non propone, in effetti, una critica specifica delle ragioni della decisione della sentenza impugnata. Dall’esame degli atti versati in causa, invero, emerge solo la riproposizione, nel ricorso introduttivo, delle argomentazioni di merito gia’ introdotte, a sostegno della propria tesi, dalla contribuente societa’ nei pregressi gradi del giudizio. Non e’ dato ravvisare, invece, la sussistenza di analitiche contestazioni proposte avverso l’iter logico-giuridico seguito dal giudice dell’appello, tali da poter far ritenere erronea la valutazione operata della Commissione Tributaria Regionale della Calabria e, conseguentemente, infondata la pretesa erariale per cui e’ causa.
In sostanza, la ricorrente intende demandare al giudice di legittimita’ una rivalutazione nel merito del fatto per cui e’ causa, aspirando a conseguire la trasformazione del giudizio di cassazione in un terzo grado del giudizio di merito, nel quale ridiscutere circa la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di seconde cure, non condivisa e percio’ censurata al solo fine di domandarne la sostituzione con altra piu’ consona alle proprie aspettative processuali. Questa richiesta appare di per se’ inammissibile, in quanto “e’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’articolo 360 c.p.c. non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformita’ a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilita’ e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile)”, Cass. sez. III, sent. 22.11.2012, n. 20575.
Pare ancora opportuno rammentare che questa Corte ha gia’ avuto modo di chiarire, in piu’ occasioni, che “spetta, in via esclusiva, al giudice di merito, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, non e’ sindacabile per vizio di motivazione la sentenza di merito che abbia adeguatamente e logicamente valorizzato le circostanze ritenute decisive e gli elementi necessari per chiarire e sorreggere la ratio decidendi”, Cass. sez. V, 01.07.2003, n. 10330. Ai condivisibili principi appena richiamati s’intende, pertanto, assicurare seguito.
Tanto premesso, la doglianza si appalesa comunque infondata.
Orbene, nella specie risulta pacifico, per stessa ammissione della ricorrente (v. ric. introd. p. 3), che il potere di organizzazione dell’impresa, siccome costituisce “esercizio della liberta’ d’iniziativa economica” (articolo 41 Cost.), consente che un certo numero di societa’ commerciali possa istituire, ai sensi dell’articolo 2615 ter c.c., per mutuo accordo fra loro, un consorzio, (anche) nella forma legale della societa’ di capitali, assegnandogli il compito di provvedere ad un certo ordine, concordato, di attivita’ e di spese generati, genericamente utili all’intero gruppo ed a ciascuna consorziata, la cui gestione unitaria sia considerata economicamente vantaggiosa sotto gli aspetti dell’efficienza e della convenienza (cfr. Cass., sez. V, 28.10.2009 n. 22790). In particolare, l’articolo 2602 c.c., come riformulato dalla L. 10 maggio 1976, n. 377, articolo 1, prevede al comma 1 che “con il contratto di consorzio piu’ imprenditori istituiscono una organizzazione comune per la disciplina o per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese”. Deve essere peraltro osservato che, nell’assumere obbligazioni consistenti, essenzialmente, nell’esecuzione dei patti consortili mediante la gestione esclusiva di determinati affari d’interesse comune, finalizzati all’esecuzione di appalti di opere pubbliche o alla gestione o compimento di servizi, nonche’ nel sopportarne la spesa pro quota, il consorzio, costituito per gli scopi previsti dall’articolo 2602 c.c., non assume la posizione di appaltatore, ma il piu’ modesto rilievo di una struttura operativa, avente carattere strumentale e servente rispetto a quella delle imprese consorziate (Cass. n. 1636 del 2014). L’impresa consorziata, pertanto, non viene spogliata della propria soggettivita’ giuridica e fiscale, essendo configurabile nei rapporti interni un mandato senza rappresentanza, atteso che la societa’ consortile agisce in nome proprio per conto dei consorziati e l’attivita’ dalla stessa posta in essere e’ imputabile direttamente ai consorziati.
Ne discende che, dal punto di vista tributario, le operazioni ed i costi sostenuti dalla societa’ consortile non possono che essere direttamente riferibili alle societa’ consociate. Questa Corte, del resto, ha gia’ chiarito che i costi della societa’ consortile costituiscono costi propri delle consorziate quali spese affrontate dalle partecipanti per mezzo del consorzio. E’ stato pure gia’ specificato che la societa’ consortile non affronta costi propri perche’ tutti i costi, ed anche quelli per il mero funzionamento della societa’ consortile, sono posti a carico delle societa’ consociate (Cass., sez. V, 18.06.2008 n. 16410). In conseguenza – non potendo il consorzio conseguire per la sua natura, sostanzialmente neutra, e funzione, oltre che per scopo, alcun vantaggio, poiche’ lo stesso, al pari dell’eventuale svantaggio, appartiene unicamente e solo alle imprese consorziate – l’ente consortile ha l’obbligo di ribaltare sulle stesse, secondo i criteri di legge e quelli legittimamente fissati dallo statuto, se non elusivi della causa consortile e delle relative norme fiscali, tutte le operazioni economiche da esso poste in essere che siano state realizzate da una o piu’ imprese consorziate, oppure dallo stesso consorzio con strutture proprie o con impiego di imprese terze (cfr. Cass. sez. V, 17.12.2014, n. 26480; in senso conforme vedi, ex multis, Cass. 14780 del 2011; 14781 del 2011; 14782 del 2011; 13293 del 2011; 20778 del 2013; 24014 del 2013).
Alla luce di quanto esposto, deve ritenersi che l’impugnata Commissione abbia correttamente statuito l’esclusione dal costo di produzione della ricorrente Societa’, dei costi e dei ricavi ribaltati dalle imprese consortili.
Per completezza pare poi opportuno aggiungere che la Suprema Corte, pronunziando a Sezioni Unite, ha statuito pure che “la societa’ consortile puo’ svolgere una distinta attivita’ commerciale con scopo di lucro ed e’ questione di merito accertare i rapporti tra la societa’ stessa e i consorziati nell’assegnazione dei lavori o servizi per stabilire la necessita’ del “ribaltamento” integrale o parziale di costi e ricavi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto”, Cass. sez. U, 14.06.2016, n. 12190. Nella sostanza, la parte di spesa affrontata da ciascuna soci s in base al patto consortile, per assicurarsi i vantaggi derivanti dall’attivita’ del consorzio, non ha in se’ stessa, indefettibilmente, la connotazione d’inerenza, ai sensi ed ai fini del Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 75, comma 5, cit. TUIR., essendo ogni consorziata tenuta a dimostrare se, ed in quale misura, tale spesa sia stata effettivamente sostenuta dal consorzio e si riferisca (anche) ad attivita’ o beni propri (inerenza), da cui siano derivati ricavi od altri proventi che abbiano concorso a formarne il reddito. In mancanza di tale dimostrazione, la spesa non sara’ deducibile (Cass. n. 10257 del 2008).
Per quanto concerne la tesi sostenuta dalla contribuente per contraddire la sussistenza di una pretesa anomalia nelle modalita’ utilizzate per il ribaltamento dei costi e dei ricavi – secondo cui avrebbe dovuto farsi riferimento all’andamento generale dei costi e ricavi “spalmati” e/o distribuiti su piu’ esercizi e che complessivamente avrebbero ingenerato un risultato economico positivo, rilevando peraltro che non sarebbero stati omessi ricavi, ma semplicemente imputati all’esercizio successivo – deve rilevarsi come non possa ragionevolmente sostenersi che l’imputazione dei costi ad un esercizio piuttosto che ad un altro sia neutra ai fini impositivi, atteso che il contribuente non puo’ “essere lasciato arbitro della scelta del periodo in cui registrare le passivita’, in quanto l’imputazione di un determinato costo ad un esercizio anziche’ ad un altro puo’… comportare l’alterazione dei risultati della dichiarazione, mediante i meccanismi di compensazione dei ricavi e dei costi nei singoli esercizi” (cosi’, ancora, Cass. n. 18401 del 2018, cit.).
Del resto la societa’ ricorrente non ha chiarito in base a quale normativa abbia ritenuto di poter superare il generale principio della competenza, contabilizzando i ricavi, conseguiti in un determinato anno, nell’esercizio successivo. Costituisce, in proposito, orientamento ormai consolidato e recentemente ribadito della giurisprudenza di legittimita’, il fondamentale principio di diritto secondo cui “nel caso di una societa’ consortile, costituita dalle imprese operanti in raggruppamento temporaneo per l’esecuzione di un contratto di appalto pubblico, e non svolgente attivita’ commerciale autonoma, i costi sostenuti dalla societa’ per l’esecuzione dell’appalto devono essere ribaltati integralmente sulle imprese consorziate e fatturati nello stesso esercizio in cui detti costi sono stati sostenuti, nel rispetto del principio di competenza”, Cass. sez. V, 28.12.2018, n. 33596.
Infine, con riguardo alla mancata inclusione nel costo di produzione del contributo di cui alla L. n. 388 del 2000, articolo 8, imputato alla Societa’ soccombente quale contributo in conto impianti, deve ritenersi che la Commissione Tributaria calabrese ne abbia correttamente motivato l’esclusione dal calcolo della produttivita’ aziendale, sul presupposto che detto contributo, per espressa previsione legislativa di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articoli 88 e 55, non costituisce ne’ sopravvenienza attiva, ne’ ricavo.
In conseguenza di quanto argomentato, non risultano fondate le contestazioni proposte dalla (OMISSIS) Spa, ed il suo ricorso deve essere pertanto respinto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto dalla (OMISSIS) Spa, che condanna alla rifusione, in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese di lite del presente giudizio di legittimita’, che liquida nella misura di Euro 10.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente Societa’, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. articolo 13, comma 1 bis.
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