Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 27 febbraio 2018, n. 1207. La conclusione della procedura va individuata con l’approvazione della graduatoria

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II – Osserva il Collegio che, seppure l’appellante risulta effettivamente transitata al ruolo amministrativo, per sua richiesta, non risultando più praticabile l’assunzione nella qualifica oggetto di contenzioso, si può prescindere dalle eccezioni di rito, in quanto l’appello si appalesa infondato nel merito.

In primo luogo, per individuare l’esatto adempimento degli obblighi commissariali è necessario evidenziare che l’ordinanza del Tribunale di prime cure n. 195 del 2008 recava – in caso di permanente inerzia della p.a. – l’incarico di concludere il procedimento “previa puntuale e rigorosa valutazione e verifica di legittimità della esperita procedura selettiva”. L’ordine del giudice era emesso, dunque, chiaramente, nell’ambito di un giudizio volto a ottenere la dichiarazione dell’illegittimità dell’inadempimento inerente all’omessa osservanza del dovere di provvedere e la conseguente condanna a concludere il procedimento senza che il giudice di prime cure si sia pronunziato sul contenuto di quell’obbligo (se non per quanto concerne la verifica della regolarità del procedimento in discussione come precisato) o l’interesse sostanziale implicato.

Dunque, nessun affidamento poteva ingenerare siffatto provvedimento, stimolato dal ricorso avverso il silenzio proposto dalla ricorrente medesima, in ordine all’esito della procedura. Anzi, la precisazione contenuta in ordinanza non poteva che comportare l’obbligo per il Commissario ad acta di effettuare una verifica precisa della legittimità degli atti posti in essere.

Quanto ai tempi, lo stesso atto commissariale gravato dà atto delle successive proroghe dell’incarico in ragione della “complessità delle valutazioni necessarie a rimediare con provvedimento espresso all’Amministrazione” (ordinanze nn. 17 e 55 del 1999).

Quanto sin qui esposto in ordine alle censure relative all’esercizio dei poteri da parte del Commissario, costituisce anche valida risposta con riferimento ai dedotti vizi di lesione del principio di affidamento.

II – Appare sin troppo palese, inoltre, la non conferenza del riferimento ai principi che regolano il potere di autotutela della pubblica amministrazione, in quanto nel caso che occupa, non si è verificato l’annullamento di un provvedimento di conclusione di una procedura selettiva (che avrebbe potuto ingenerare l’affidamento dell’interessata e rispetto al quale l’Amministrazione e – per essa – il Commissario avrebbe dovuto svolgere la comparazione degli interessi), bensì la conclusione, con esito negativo, di una procedura selettiva per vizi dell’intero procedimento, essendo stata accertata l’ammissione dei candidati in assenza del requisito previsto dal bando, ovvero ” diploma di istruzione secondaria di 2° grado, obbligatorio ove sia abilitante per la specifica attività”. E’ ben noto che gli atti posti in essere dalla Commissione nel corso del procedimento non sono definitivi, assumendo invece valenza definitiva – e quindi esterna – solo quando siano fatti propri con il provvedimento finale.

Nella specie, correttamente, era stato infatti impugnato il silenzio dell’amministrazione, in quanto di per sé lesivo, avendo comportato un’illegittima interruzione della procedura amministrativa.

III – Ma non va neppure trascurato il fatto che il provvedimento commissariale risulta motivato anche con riferimento alla mancata individuazione dei criteri per lo svolgimento del colloquio – aspetto non censurato dalla originaria ricorrente.

Al riguardo, il Commissario individuava, altresì, un'”indebita ingerenza” dell’organo amministrativo (direttore amministrativo) nei lavori della commissione, in quanto questi, con la nota n. 482 del 17 giugno 2004, ad esito di un quesito formulato dal Presidente della commissione esaminatrice, precisava che “può procedere alla valutazione in modo uniforme dei vari diplomi di istruzione secondaria di 2° grado in possesso dei candidati, indipendente mente dalla loro “specialità””.

Di contro, non può trovare conforto la tesi dell’appellante in ordine alla genericità delle previsioni del bando; tale affermazione risulta smentita per tabulas dall’individuazione dei posti da assegnare ai vincitori, indicati per profilo professionale, ruolo ed aree di destinazione nell’allegato A e B della delibera d.g. n. 611 dell’8 luglio 2003, come integrata con la delibera n. 878 del 9 ottobre 2003, richiamate negli atti di procedura.

Del resto nella nota del direttore amministrativo n. 863 del 21 ottobre 2010 si dava conto della circostanza che la massima parte degli aspiranti non avesse svolto le mansioni del profilo di operatore tecnico posseduto. Nella specie che occupa, l’istante era assunta come puericultrice, successivamente inquadrata nel ruolo tecnico, senza svolgere le relative mansioni – come affermato dalla stessa appellante nell’istanza di passaggio al ruolo amministrativo di cui alla deliberazione n. 443 del 2015.

Tale rilievo è, peraltro, sufficiente a smentire la dedotta mancata considerazione dell’esperienza professionale maturata dalla ricorrente, in sede di esame del primo ricorso.

IV – Vale, da ultimo, precisare che la Suprema Corte di Cassazione (Sezioni Unite, 2 ottobre 2012, n. 16728) – pronunziandosi sulle conseguenze in sede concorsuale delle sopravvenienze (soppressione della posizione funzionale) – ha precisato che la conclusione della procedura va individuata con l’approvazione della graduatoria, sicché è in tale fase che si radica un interesse qualificato, rispetto al quale gli eventuali interventi della pubblica amministrazione non possono che prendere in considerazione la ponderazione dei rispettivi interessi.

Con riferimento al caso che occupa appare sin troppo evidente che il lungo tempo trascorso nello svolgimento della procedura è indice rilevatore delle problematiche riscontrate dallo stesso Commissario ad acta. Né può rilevare in alcun modo il mancato ricorso alla tutela giudiziaria da parte dei soggetti non ammessi alla procedura.

IV – Quanto alla condanna alle spese del giudizio di primo grado, non appare censurabile il ricorso al principio di soccombenza da parte del primo giudice.

Con riferimento al grado di appello sussistono giusti motivi per compensare le spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto, conferma la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la PUGLIA – Sede di BARI: SEZIONE III n. 1318/2010.

Spese del presente grado compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari – Presidente

Gabriele Carlotti – Consigliere

Luca Lamberti – Consigliere

Giovanni Pescatore – Consigliere

Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore

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