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Al riguardo ci si limita ad osservare che il ricorso di primo grado risulta proposto successivamente all’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo (esso risulta infatti proposto nel corso del 2012) il cui articolo 30, comma 5 ha consentito la proposizione di un’azione risarcitoria autonoma rispetto a quella di annullamento entro il termine di centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di annullamento comunque proposta (si tratta di un termine che nel caso di specie risulta rispettato).
La sentenza ha invece nella sostanza ritenuto che la pendenza di un ricorso per l’annullamento dell’atto amministrativo asseritamente foriero di un pregiudizio patrimoniale non potrebbe impedire che, nelle more, decorra il termine di prescrizione del diritto risarcitorio.
Si tratta, tuttavia, di un’impostazione in evidente contrasto con l’orientamento codicistico in tema di proponibilità dell’azione risarcitoria autonoma, il quale postula – al contrario – la sospensione del termine prescrizionale per l’intera durata del giudizio di annullamento e che impone – invece – la tempestiva attivazione dell’azione risarcitoria autonoma entro un breve termine decadenziale successivo al passaggio in giudicato della sentenza di annullamento.
2.1. E’ qui appena il caso di osservare che la sentenza Cass., SS.UU., 8 aprile 2008, n. 9040 (richiamata alle pagine 7 e 8 della sentenza appellata a sostegno della tesi dell’intervenuta prescrizione del diritto risarcitorio) enuncia in realtà un principio contrario e certamente ostativo alla declaratoria di prescrizione del diritto.
La sentenza in parola ha infatti statuito che la domanda di annullamento dell’atto amministrativo illegittimo proposta al giudice amministrativo prima della concentrazione davanti allo stesso anche della tutela risarcitoria, pur non costituendo il prodromo necessario per conseguire il risarcimento dei danni, dimostra la volontà della parte di reagire all’azione amministrativa reputata illegittima ed è idonea ad interrompere per tutta la durata di quel processo il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria.
Si tratta di un principio certamente applicabile nel caso in esame, atteso che il dott. Re. aveva tempestivamente impugnato (nel 1997) gli atti dell’Amministrazione asseritamente forieri di danno e che, una volta intervenuta (nel 2011) la favorevole sentenza di annullamento, egli aveva tempestivamente proposto (ai sensi dell’articolo 30 Cod. proc. amm.) il ricorso risarcitorio autonomo all’origine della presente fase della vicenda.
3. Il ricorso di primo grado (il quale, per le ragioni appena esaminate, era tempestivo) risulta tuttavia infondato nel merito.
3.1. Non si tratta in questo caso di stabilire se il dottor Re. potesse vantare o meno una effettiva chance di conseguire l’utilità sperata (nomina quale Presidente di Collegi dei revisori di enti siciliani).
Si tratta, piuttosto, di stabilire se il pregiudizio lamentato dal dott. Re. fosse in radice passibile di un ristoro patrimoniale.
Sul punto si tornerà fra breve.
3.1.1. Ad ogni modo (e ai ben limitati fini che qui rilevano) si ritiene che una siffatta chance neppure sussistesse in concreto in quanto:
i) per quanto riguarda la nomina presso l’Ente Acquedotti Siciliani (infine attribuita al dottor Coppola) l’appellante non vantava affatto una possibilità di conseguire la nomina pari al 30 per cento del totale, in ragione del punteggio fisso ben maggiore riconosciuto agli altri candidati, il quale rendeva del tutto residuali le effettive possibilità di vittoria dell’odierno appellante;
ii) per quanto riguarda, poi, la nomina presso l’Ente Sviluppo Agricolo (Infine attribuita al dottor Dagnino) l’appellante non aveva di fatto alcuna chance di vittoria, essendo risultato dal primo classificato da un distacco che sarebbe risultato incolmabile anche se avesse ottenuto un punteggio discrezionale massimo. Inoltre, l’appellante non ha allegato alcuna ragione giuridica di carattere dirimente atta a suffragare la tesi secondo cui il dottor Dagnino non avrebbe potuto partecipare alla procedura in parola.
3.2. Ma, come si è già accennato, la pretesa vantata dall’odierno appellante non risultava in radice passibile di ristoro patrimoniale atteso che – diversamente da quanto potrebbe configurarsi in tema di mere autorizzazioni allo svolgimento di attività private che già appartengono alla capacità dell’interessato – il conferimento di incarichi pubblici avviene nell’interesse pubblico ed è per sua natura riservato alla latissima discrezionalità dell’Amministrazione che se ne avvale e per questo fatto, riguardo al risvolto economico, non pare giuridicamente configurabile in capo al magistrato un’aspettativa qualificata all’attribuzione di un tale incarico remunerato, con conseguente ristoro patrimoniale per il caso di suo conferimento indebitamente impedito.
A conclusioni diverse non si può giungere sul rilievo per cui, talvolta, gli organi di governo autonomo delle magistrature predeterminino (come nel caso in esame) criteri o modalità di attribuzione.
Una tale predeterminazione delle modalità, infatti, non modifica i caratteri di fondo di tali incarichi, la causa della loro attribuzione e l’assenza di una pretesa in senso proprio alla relativa attribuzione.
4. Per le ragioni esposte l’appello va respinto, sia pure per ragioni diverse da quelle poste a fondamento della sentenza impugnata.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti ed eccezionali motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta,
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Claudio Contessa – Consigliere, Estensore
Fabio Franconiero – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
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