Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 23 febbraio 2018, n. 1147. Le modalità di redazione della domanda di giustizia siano tali da consentire al giudice la precisa individuazione del bene giuridico cui l’interessato aspira ma negatogli dall’attività amministrativa

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Con la citata sentenza di primo grado, il Tribunale amministrativo ha disposto l’annullamento dell’aggiudicazione, in capo all’ATI Vi. On., della gara d’appalto bandita dall’Aeronautica militare per la realizzazione della nuova torre di controllo dell’aeroporto militare di Cameri ed ha condannato “il Ministero della Difesa al risarcimento in forma specifica in favore delle società ricorrenti, secondo domanda”.

La domanda recata dal ricorso riguardava l’aggiudicazione della gara e la conseguente stipula del relativo contratto.

2. Il Collegio rileva che fin dall’originario ricorso di primo grado (doc. n. 6 della parte appellante) e, dunque, non solo in sede di ricorso per ottemperanza, come assume l’atto di appello, si formulava espressamente e letteralmente, in modo inequivocabile, istanza di risarcimento del danno (in forma specifica e, solo in via subordinata, per equivalente).

Infatti, si chiedeva in via principale:”risarcimento in forma specifica, mediante annullamento dell’aggiudicazione impugnata e con subentro nella posizione di aggiudicataria (e nel contratto ove stipulato) dell’odierna esponente: per il che, ai sensi dell’art. 122 c.p.a. si formula anche espressa domanda di subentro nel contratto medesimo”.

Solo in via residuale e subordinata si formulava domanda di condanna della stazione appaltante a risarcire il danno in forma equivalente.

3. In tema di interpretazione della domanda giudiziale, il giudice non è condizionato dalle formali parole utilizzate dalle parti, ma deve considerare la situazione dedotta in causa e la volontà effettiva, nonché le finalità che la parte intende perseguire (cfr., ex multis, Cass., II, 28 aprile 2004, n. 8140).

La giurisprudenza (es. Cons. Stato, V, 22 settembre 2011, n. 5345) afferma che le modalità di redazione della domanda di giustizia non possono limitare la tutela giurisdizionale, essendo sufficiente che siano tali da consentire al giudice, seppur mediante un’operazione d’interpretazione del suo testo, la precisa individuazione del bene giuridico cui l’interessato aspira ma negatogli dall’attività amministrativa e le ragioni a fondamento della pretesa, sempreché il giudice non si sostituisca al domandante integrando la domanda giudiziale.

Nel caso di specie, l’ATI Be., seconda classificata nella gara bandita dal Ministero, ha impugnato l’aggiudicazione a favore dell’ATI Vi. On., contestando la mancata esclusione di quest’ultima, perché sprovvista dei necessari requisiti SOA. Pertanto appare evidente che il “risarcimento in forma specifica” prima disposto in primo grado e poi confermato in appello consiste nell’aggiudicazione della gara alla ricorrente di primo grado, fatta salva la verifica dei requisiti.

3. Sotto quest’ultimo profilo, si deve rilevare che la verifica dei requisiti non è condizione per addivenire all’aggiudicazione definitiva, ma presupposto della sua successiva efficacia ex art. 11, comma 8, d.lgs. n. 163 del 2006, da applicare ratione temporis.

Pertanto, l’aggiudicazione definitiva della gara all’ATI Be., quale risarcimento in forma specifica, è logicamente antecedente alla verifica dei requisiti dichiarati in gara dalle imprese componenti l’ATI.

Peraltro, l’obbligo della pubblica amministrazione di ripristinare la situazione controversa a seguito del giudicato non incide sui tratti non pregiudicati dell’azione amministrativa ad opera del giudicato: in primo luogo, sui poteri non esercitati e fondati su presupposti fattuali e normativi diversi e successivi rispetto a quest’ultimo. Tuttavia, il principio non è applicabile alla verifica dei requisiti, riguardo alla quale la stazione appaltante esplica un’attività di accertamento, ai cui esiti il suo operato resta vincolato.

Risulta agli atti che la verifica dei requisiti in capo alle società componenti l’ATI Be. è già stata svolta da parte dell’Amministrazione, come da documentazione acquisita in sede di accesso agli atti (doc. 19 dell’ATI Be.).

4. Pertanto, bene il Tribunale amministrativo ha affermato che l’esecuzione del giudicato rappresenta un prius logico all’esercizio dei poteri di autotutela; e che quei poteri non sono esercitabili a fini elusivi del giudicato, come invece nella specie.

Poiché il giudicato prevedeva l’aggiudicazione della gara all’ATI Be., questo prius logico dovrà essere preventivamente assicurato rispetto all’esercizio dei poteri di autotutela esercitati dal Ministero appellante.

Si impone, in sostanza, alla Amministrazione di dare concretamente luogo, “ora per allora”, alla fase rinnovatoria imposta dall’esecutività della sentenza di annullamento dell’aggiudicazione e di condanna al risarcimento in forma specifica.

È appena il caso di precisare, ove mai occorra, che resta ferma la facoltà di procedere poi, in alternativa alla stipula del contratto, in autotutela alla rimozione degli atti di indizione della gara, ai sensi dell’art. 21-nonies l. n. 241 del 1990, con atti che bene ne manifestino le ragioni di interesse pubblico.

5. In questa situazione, bene il primo giudice ha delineato la violazione del giudicato, che rende nulla la revoca degli atti di indizione della gara: il Ministero ha eluso l’ottemperanza, dando immediato e immotivato luogo all’esercizio del potere di autotutela.

Consegue che non occorre approfondire il fondamento delle censure dedotte contro l’autotutela, perché, se si riscontra che il potere così esercitato è sintomaticamente in elusione, volontaria o involontaria che sia, dell’accordata tutela giurisdizionale, l’atto è nullo e non solo illegittimo ex art. 21-septies l. n. 241 del 1990.

Il rilievo riguarda anche la revoca degli atti di gara per sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria, oggetto della presente controversia: è indispensabile, anche a bilanciamento degli interessi pubblici e privati tutelati dall’art. 21-quinquies l. n. 241 del 1990, che l’Amministrazione motivi e comprovi in modo stringente l’effettiva sussistenza di tale impossibilità, con elementi concreti e non mere e generiche affermazioni di principio.

In presenza di un giudicato, infatti, il giudice è tenuto a un’analisi particolarmente approfondita delle ragioni poste a fondamento della nuova valutazione dell’interesse pubblico al fine di stabilire se la mancata riedizione del potere in conseguenza della revoca della gara originariamente indetta sia dettata da sopravvenute esigenze di pubblico interesse o non sia invece un espediente per eludere il contenuto del giudicato: il che appare, invece, nella specie.

Peraltro, la revoca degli atti di gara per sopravvenuta mancanza di copertura finanziaria è dubbia anche in punto legittimità, atteso che detta condizione non può ascriversi alla categoria dei “sopravvenuti motivi di pubblico interesse”, ovvero a quella del “mutamento della situazione di fatto non prevedibile”.

5. Pertanto ed ulteriormente, bene l’appellata sentenza ha affermato che qualora il risarcimento in forma specifica non fosse possibile, l’ATI Be. avrà diritto al risarcimento per equivalente dei danni subiti per mancata possibilità di eseguire l’appalto; e che il danno andrà liquidato quale risarcimento dell’interesse positivo, la presenza del giudicato escludendo che l’illecito dell’Amministrazione possa essere ricondotto ad una forma di responsabilità di tipo precontrattuale: si tratta invero di responsabilità per inosservanza degli obblighi derivanti dal giudicato.

Del resto, un conto è la conduzione di una trattativa contrattuale, da cui non deriva obbligo di stipulare il contratto, ma solo il rispetto del dovere immanente di buona fede (con conseguente responsabilità precontrattuale se lo si viola); un conto è la presenza di un obbligo specifico, che ha la fonte nel giudicato, di procedere ad aggiudicazione e stipulazione, come nel caso di specie.

Alla luce delle predette argomentazioni, l’appello va respinto in quanto infondato.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore della parte appellata, spese che liquida in euro 8.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini – Presidente

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere, Estensore

Alessandro Maggio – Consigliere

Giovanni Grasso – Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere

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