Consiglio di Stato, sezione quinta, sentenza 14 febbraio 2018, n. 959. Per evitare che risulti ristretta la circolazione, le strade sono protette da una fascia di rispetto.

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[…]

In nessun caso, dunque, è possibile realizzare costruzioni proprio sul confine della strada, in violazione dei limiti di rispetto.

Per contro, è la stessa sentenza impugnata a riconoscere che l’opera in cemento di cui trattasi (una fioriera posata su due pilastri) era stata realizzata proprio sulla linea di confine del fondo privato, ossia in prossimità del bordo della carreggiata, in evidente violazione delle norme imperative del Codice della strada.

A nulla per contro rilevava, in tale contesto, la proprietà pubblica o privata del fondo su cui materialmente veniva ad insistere il manufatto.

L’ordinanza comunale impugnata dava conto delle ragioni della sua adozione, consistenti tra l’altro nel pericolo per la circolazione, atteso che la fioriera “di fatto interrompe la circolazione veicolare e vieta l’accesso alla restante porzione di strada ed alla piazzetta pedonale”.

Appare quindi condivisibile il rilievo dell’appellante, secondo cui “Il primo Giudice, dunque, anziché arrestarsi alla mera disamina dei titoli di proprietà del sedime (su cui si dirà infra), avrebbe invece dovuto apprezzare le ragioni di interesse pubblico sottese all’adozione dell’ordinanza […]”.

Atteso il carattere decisivo della censura, non sarebbe a tal punto indispensabile l’esame degli ulteriori motivi di gravame proposti dall’appellante, che tuttavia brevemente si passano in rassegna, per completezza.

Con il primo motivo di appello si censura il fatto che il primo giudice abbia in concreto escluso la demanialità del sedime su cui è collocata la fioriera sulla sola base delle risultanze delle mappe catastali (peraltro risalenti nel tempo) prodotte in giudizio dalla ricorrente.

Al contrario, l’art. 22 della l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F) prevede che “Il suolo delle strade nazionali è proprietà dello Stato; quello delle strade provinciali appartiene alle provincie, ed è proprietà dei comuni il suolo delle strade comunali”, laddove – ai sensi del comma 3 – “nell’interno delle città e villaggi fanno parte delle strade comunali le piazze, gli spazii ed i vicoli ad esse adiacenti ed aperti sul suolo pubblico, restando però ferme le consuetudini, le convenzioni esistenti ed i diritti acquisiti”.

Anche questo motivo pare fondato. Invero, come già chiarito da Cons. Stato, V, 5 marzo 2001, n. 1240, la norma in questione introduce una presunzione (iuris tantum) secondo cui fanno parte delle strade comunali anche le piazze, gli spazi ed i vicoli ad esse adiacenti ed aperti sul suolo pubblico, laddove la prova contraria (della non demanialità dell’area) non potrebbe essere raggiunta in ogni modo, bensì – in ragione dell’espressa previsione di legge – andrebbe “circoscritta all’esistenza di consuetudini locali – tali da escludere la demanialità dello specifico bene in questione – oppure alla stipulazione di convenzioni che attribuiscano la proprietà ad altro soggetto o, ancora, alla preesistente natura privata”.

Dunque, la prova in questione non potrebbe essere fornita mediante la semplice allegazione delle mappe catastali, come avvenuto nel caso di specie, né appare corretta la sostanziale inversione dell’onere probatorio – parimenti denunciata da parte appellante – che la sentenza appellata sembrerebbe aver ascritto all’amministrazione ed all’odierno appellante, per non aver gli stessi fornito altri elementi di prova atti a smentire quanto in precedenza allegato dalla ricorrente, peraltro con argomenti – come detto – non autosufficienti.

Con il terzo motivo di appello, invece, viene dedotto un vizio di motivazione della sentenza, non essendo esplicitate le ragioni per cui il tratto di strada pubblica, individuato dalla delibera di giunta comunale n. 219 del 13 febbraio 1991, dovrebbe essere circoscritto al percorso denominato “A-B” (avente lunghezza di ml. 70,00), con esclusione del tratto “B-C” – quali descritti in una perizia a firma geom. Santi – anziché estendersi anche a quest’ultima parte (come invero sembrerebbe doversi dedurre dal tenore della medesima perizia) e, quindi, giungere sino alla piazzetta pubblica insistente sul mappale (omissis).

Il motivo appare fondato. Sul punto, la sentenza impugnata così motiva: “è dirimente il rilievo che il tracciato della strada in questione, essendo della lunghezza di m. 70 e della larghezza di m. 5 (così l’elenco allegato alla deliberazione di giunta municipale 13.2.1991, n. 219), non può che coincidere con il solo tratto A – B dell’apposito rilievo allegato alla perizia del Geom. Santi di parte ricorrente (docc. 11 delle produzioni 17.4.2013 – elaborato n. 1), con esclusione del passaggio insistente sul mappale n. (omissis) (tratto B – C)”.

Invero, il primo giudice si limita ad affermare quella che a suo avviso sarebbe una coincidenza obbligata, ma non esplicita le ragioni di ciò, salvo volersi ipotizzare (ma la questione non è precisata in sentenza) che il predetto tratto A-B sia il solo ad avere le caratteristiche indicate nell’allegato alla delibera comunale.

Anche in tal caso, però, tale lettura sembrerebbe contrastare con il tenore della perizia allegata, per cui “dal tornante stradale di via (omissis) si dirama un accesso veicolare asfaltato interessante porzione dei mappali (omissis), sino a giungere ad uno slargo, in prossimità dei mappali (omissis)” (di proprietà dell’appellata e dell’appellante). “Da qui, attraverso un restringimento sul percorso, dovuto alla presenza dei corpi di fabbrica costituenti il piccolo nucleo storico di (omissis) denominato “Le (omissis)” si accede ad una piazzetta, insistente sul mappale (omissis) del foglio (omissis) […]”.

Non è quindi peregrina l’idea che il tratto di strada non si arresti in prossimità dei mappali nn. (omissis) (tratto “A-B”), bensì prosegua sino a raggiungere la piazzetta pedonale, insistente sul mappale n. (omissis), laddove per contro nulla dice, sul punto, la sentenza impugnata.

Infine, con il quarto motivo di appello si contesta la conclusione del giudice, secondo cui quella in esame sarebbe dovuto correttamente qualificarsi come controversia tra privati, con conseguente sviamento del potere di ordinanza, esercitato non per ripristinare un’ipotetica (ma inesistente) servitù pubblica di passaggio, bensì un interesse di parte.

L’accoglimento dei precedenti motivi di appello comporta che non possa condividersi quanto ritenuto, sul punto, nella sentenza gravata.

Alla luce di quanto rilevato, l’appello va dunque accolto.

La particolarità della questione giustifica, ad avviso del Collegio, l’integrale compensazione, tra le parti, delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie, per l’effetto dichiarando infondato – in riforma dell’impugnata sentenza – il ricorso originariamente proposto da Ca. La. Lu..

Compensa integralmente tra le parti le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella – Presidente

Claudio Contessa – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere

Valerio Perotti – Consigliere, Estensore

Federico Di Matteo – Consigliere

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