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9.5. Più in generale, si ribadisce l’impossibilità di configurare la tutela del c.d. interesse strumentale nell’attuale ordinamento del processo amministrativo, caratterizzato dalla peculiare disciplina delle condizioni delle azioni (in particolare interesse ad agire e legittimazione), che mira alla realizzazione del giusto processo ex art. 111 Cost..
Univoca è la giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato, Ad. plen., 27 aprile 2015, n. 5, specie §§ 5 ss., e 9.2. ss.; Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 272, oltre alla già menzionata Ad. plen. n. 9 del 2014) nel senso:
a) di non consentire la tutela del c.d. interesse strumentale perché in contrasto con le esigenze di evitare l’abuso del processo ed il sindacato su poteri non ancora esercitati dalla amministrazione;
b) di considerare il processo quale risorsa scarsa da attingere solo dopo essere stato superato il filtro delle condizioni dell’azione in cui è insito un giudizio di meritevolezza della pretesa;
c) di esigere che il processo sia volto a tutelare interessi concreti ed attuali e non futuri ed incerti, di mero fatto quando non emulativi, per giunta rimessi ad una incoercibile nuova determinazione dell’Amministrazione.
9.6. Da tutto quanto considerato deriva l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del diniego di autotutela oggetto del presente giudizio.
9.7. Invero, l’interesse dell’appellante-ricorrente in primo grado a vedere revocata o decaduta la concessione di rivendita ordinaria di tabacchi e generi di monopolio (n. (omissis)) rilasciata alla sig.ra Sa. An. Ma. (poi ceduta alla signora Ra. Ca.) deve essere qualificato come di mero fatto, tale, pertanto, da non essere sufficiente a fondare la legittimazione ad agire da parte dell’istante nel presente giudizio.
10. Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso di primo grado discende l’improcedibilità dei tre atti di motivi aggiunti al ricorso medesimo e dell’appello principale.
11. La pronuncia sulle spese del doppio grado di giudizio, conseguenza inevitabile dell’accoglimento dell’appello proposto dalla signora Sa., rende superfluo (e dunque improcedibile), l’esame del secondo motivo dell’appello incidentale, afferente all’erroneità della pronuncia di primo grado laddove ha compensato le spese del giudizio tra le parti.
12. Non può trovare accoglimento, infine, il terzo motivo dell’appello incidentale, volto ad ottenere la condanna della signora Bu., per lite temeraria, al risarcimento dei danni da determinarsi in via equitativa: invero, in assenza di prova specifica del danno subito in conseguenza della lamentata condotta processuale – che costituisce elemento essenziale della fattispecie disciplinata dall’art. 96, comma 1, c.p.c. (cfr. ex plurimis Cass., sez. lav., 2 dicembre 2015, n. 24526, secondo cui la parte istante “….deve altresì assolvere all’onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato….”) – la domanda deve ritenersi infondata.
13. Le spese di ambedue i gradi di giudizio, regolamentate secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono liquidate in dispositivo tenuto conto dei parametri stabiliti dal regolamento 10 marzo 2014, n. 55 e dell’art. 26, comma 1, c.p.a., ricorrendone i presupposti applicativi, anche in relazione ai profili di sinteticità e chiarezza, secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sostanzialmente recepita, sul punto in esame, dalla novella recata dal decreto-legge n. 90 del 2014 all’art. 26 c.p.a. [cfr. sez. V, 9 luglio 2015, n. 3462; sez. V, 21 novembre 2014, n. 5757; sez. V, 11 giugno 2013, n. 3210; sez. V, 26 marzo 2012, n. 1733; sez. V, 31 maggio 2011, n. 3252, cui si rinvia ai sensi degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della misura indennitaria conformemente, peraltro, ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. da ultimo sez. VI, 2 novembre 2016; sez. VI, 12 maggio 2017, n. 11939)].
14. La condanna dell’appellante principale, ai sensi dell’art. 26, comma 1, c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, nr. 208.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso (n. r.g. 6336/2012), come in epigrafe proposto:
a) accoglie l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiara inammissibile il ricorso di primo grado e improcedibili i tre atti di motivi aggiunti;
b) dichiara improcedibile l’appello principale;
c) condanna la signora Pa. Bu. alla refusione delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in euro 6.000,00 (seimila/00), in favore di ciascuna parte costituita, anche ai sensi dell’art. 26, comma 1 c.p.a., oltre agli accessori di legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Nicola D’Angelo – Consigliere
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