Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 9 febbraio 2018, n. 829. La richiesta dei privati, rivolta all’amministrazione, di esercizio dell’autotutela, è qualificabile come “denuncia”

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9.1. Al riguardo, l’appellata – appellante in via incidentale Sa. – sostiene che andrebbe esclusa la legittimazione attiva della sig.ra Bu. in quanto la stessa riveste una posizione tale che non potrebbe direttamente e automaticamente beneficiare della cessazione del rapporto tra la P.A. e il terzo concessionario. Si sostiene, infatti, che l’eventuale revoca interesserebbe solo la titolarità della rivendita, non certo l’esistenza della rivendita n. (omissis) che persisterebbe.

Invero, l’eventuale vacanza di titolarità obbligherebbe certamente l’Amministrazione a provvedere al ripristino della stessa nei modi previsti dalla normativa (art. 28 della l. 1293 del 22 dicembre 1957; art. 7 della l. n. 25 del 29 gennaio 1986) e, solo nell’impossibilità di provvedere in uno dei modi suddetti, essa avrebbe la facoltà di riassegnare la rivendita mediante asta pubblica (artt. 56 e 51 del d.P.R. n. 1074 del 14 ottobre 1958).

Non sarebbe configurabile qualsivoglia nesso diretto tra la revoca della titolarità della concessione alla signora Sa. An. Ma. e l’assegnazione alla signora Bu. Pa. d’una rivendita ordinaria di generi di monopolio.

9.2. Il Collegio ritiene fondato il primo motivo dell’appello incidentale, sebbene in virtù di un percorso argomentativo in parte divergente da quello proposto.

9.3. Come chiarito dall’Adunanza plenaria n. 9 del 2014, “il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata alla circostanza che l’instaurazione del giudizio non solo sia proposta da chi è legittimato al ricorso, ma anche che non appaia finalizzata a tutelare interessi emulativi, di mero fatto, pretese impossibili o contra ius”.

Ebbene, fermo rimanendo l’accertamento delle ordinarie condizioni dell’azione (interesse ad agire, titolo o legittimazione al ricorso, legitimatio ad causam), assume importanza centrale proprio il riscontro dell’interesse ad agire che presuppone l’inadempimento dell’obbligo di provvedere. Invero, in linea generale, perché si radichi l’interesse, è necessario che sia configurabile un obbligo di provvedere, un termine (officioso, perché individuato in via immediata dalla disciplina di settore, ovvero ritraibile dalla presenza di una istanza di parte non evasa nei termini direttamente o indirettamente divisati dall’art. 2, l. 241 del 1990) e la sua violazione (in termini è la costante giurisprudenza: cfr. Cons. Stato, sez. IV, 26 agosto 2014, n. 4309; sez. V, 4 agosto 2014, n. 4143; sez. V, 11 luglio 2014, n. 3561; sez. IV, 9 maggio 2013, n. 2511; sez. V, 27 giugno 2012, n. 3787; Cons. giust. amm., 26 aprile 2012, n. 430; Cons. giust. amm., 19 aprile 2012, n. 396; Cons. Stato, sez. V, 12 marzo 2010, n. 1468 e n. 1469; sez. IV, 7 luglio 2009, n. 4351; Corte cost., 17 luglio 2002, n. 355).

9.3. Tuttavia, l’obbligo di procedere a carico dell’amministrazione (e simmetricamente la legittimazione al ricorso della parte che agisce in giudizio) non si configura, tra i vari casi enucleati dalla giurisprudenza, a fronte di sollecitazioni all’adozione di provvedimenti di autotutela.

Invero, i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell’amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi l’adozione dell’atto.

Da ciò ne deriva che la richiesta dei privati, rivolta all’amministrazione, di esercizio dell’autotutela, è qualificabile come “denuncia”, con mera funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’amministrazione alcun obbligo di provvedere (cfr. ex plurimis Cons. giust. amm., 6 settembre 2017, n. 380; Cons. Stato, sez. V, 7 novembre 2016, n. 4642; Id., 22 gennaio 2015 n. 273; Id., 3 ottobre 2012, n. 5199; sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1469; sez. IV, 16 settembre 2008 n. 4362; sez. IV, 9 agosto 2005, n. 4227; sez. VI, 4 febbraio 2002, n. 4453; sez. VI, 1 aprile 1992, n. 201, cui si rinvia a mente dell’art. 88, co. 2, lett. d), c.p.a.; in particolare su: istanza di riesame di un provvedimento edilizio, sez. V, 17 giugno 2014 n. 3095; istanza di riesame, annullamento o revoca d’ufficio di un provvedimento divenuto inoppugnabile per mancata tempestiva impugnazione, sez. III, 22 ottobre 2009 n. 1658, sez. VI, 12 novembre 2003, n. 7250, sez. V, 14 aprile 2008, n. 1610).

Coerentemente, del resto, si ritiene che il denunciante non assuma la veste di contro interessato nel giudizio instaurato dal destinatario dell’ordine di demolizione ovvero del diniego del titolo edilizio seguito a tale denuncia vantando un interesse di mero fatto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 5198 del 2016).

9.4. In senso contrario non possono valere le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza in ordine alla doverosità della decisione, da parte del comune, sull’esercizio di poteri repressivi, sollecitato da terzi, in materia di D.I.A. – S.C.I.A. (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, n. 625 del 2017 che fa leva sulla unicità del rimedio, ex art. 19, comma 6-ter, l. n. 241 del 1990, stante l’impossibilità di impugnativa diretta della D.I.A. da parte del terzo leso; in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, sez. IV, n. 3281 del 2017); ovvero da parte delle autorità amministrative indipendenti (in relazione alle quali, comunque, la giurisprudenza richiede, ai fini della legittimazione, la prova del danno derivante al terzo dal mancato esercizio del potere di reprimere una attività direttamente lesiva della propria sfera giuridica, cfr. Cons. Stato, sez. VI, ordinanza cautelare 7 dicembre 2011, n. 5364; sez. VI, 22 giugno 2011, n. 3751; sez. VI, 23 luglio 2009, n. 4597).

La natura eccezionale di tali fattispecie, disciplinate da specifiche normative, impedisce di estendere analogicamente tali previsioni in deroga ai principi generali sopra richiamati.

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