Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 5 luglio 2017, n. 3307

Nel caso in cui il giudicato richieda il rinnovo di una procedura concorsuale, è di regola preferibile che la commissione sia riconvocata in diversa composizione, tutte le volte in cui il vizio ravvisato dal giudicato attenga proprio alle operazioni di giudizio della commissione stessa. Nel caso di specie, il vizio ravvisato riguarda proprio, come si è evidenziato, le operazioni di giudizio della commissione, considerato il riscontrato eccesso di potere tradottosi nella modifica immotivata dei giudizi collegiali finali

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 5 luglio 2017, n. 3307

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7486 del 2016, proposto da Pa. St., rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. Ca., Fr. Sa. Ma., Er. St. Da., con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, Via (…);

contro

Università degli studi di Macerata, Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via (…);

nei confronti di

Va. Nu., rappresentata e difesa dagli avvocati Fa. Me. e Gi. To., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, Corso (…);

Ca. Su., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. MARCHE – ANCONA: SEZIONE I n. 438/2016, resa tra le parti, concernente valutazione comparativa per copertura di un posto di ricercatore universitario settore scientifico-disciplinare ius/12 – diritto tributario

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Università degli studi di Macerata, del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, nonché di Nu. Va.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il Cons. Italo Volpe e uditi per le parti gli avvocati Ma. Ca., Fr. Sa. Ma., dello Stato Pa. De Nu. e Gi. To.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Col ricorso in epigrafe la persona fisica ivi pure indicata (di seguito “appellante”) ha impugnato la sentenza n. 438/2016, pronunciata dal Tar per le Marche, Ancona, che, con compensazione delle spese, le ha respinto il ricorso proposto per ottenere l’ottemperanza della sentenza dello stesso Tribunale n. 615/2014.

1.1. Vale brevemente premettere che la sentenza n. 615/2014 – pronunciata su ricorso avverso il D.R. n. 398, prot. 4991, del 26.7.2013, recante l’approvazione degli atti concorsuali della procedura di valutazione comparativa per la copertura di un posto di ricercatore universitario per il settore scientifico-disciplinare IUS/ 12-diritto tributario, presso il Dipartimento di giurisprudenza (ex facoltà di giurisprudenza) dell’Università di Macerata – aveva in particolare:

– riscontrato “l’obiettiva difficoltà (se non l’impossibilità) nel comprendere l’iter logico attraverso cui ciascun commissario ha quindi ritenuto di esprimere il proprio giudizio complessivo (sufficiente, più che sufficiente, buono, più che buono, ottimo), con conseguente obiettiva difficoltà (se non l’impossibilità) di verificare la coerenza logica con il giudizio complessivo espresso collegialmente su ciascun candidato”;

– stabilito che “Le risultanze della V riunione [della commissione di valutazione] sono quindi illegittime per le ragioni sopra indicate, aventi carattere assorbente rispetto ad ulteriori profili di doglianza contenuti nel motivo in esame, e ciò si riflette sulle valutazioni comparative finali svolte nelle riunioni IX e X (peraltro anch’esse prive di adeguata motivazione riguardo alle ragioni per cui un candidato è stato ritenuto prevalente o non prevalente su un altro)”;

– aggiunto che “Per le medesime ragioni vanno altresì condivise le analoghe censure contenute nel secondo motivo di cui al ricorso incidentale” della controinteressata vincitrice (di seguito “appellata”) (…) “che va quindi accolto sotto tale profilo volto a contestare carenza di motivazione nella mancata valutazione di alcuni elementi a proprio favore”;

– precisato che “Le illegittimità che colpiscono la X e ultima riunione assumono carattere assorbente rispetto all’ulteriore censura contenuta nel quarto motivo di gravame, rendendo così irrilevante il primo motivo di cui al ricorso incidentale”;

– concluso per l’accoglimento parziale del ricorso introduttivo, nonché del ricorso incidentale, e per l’effetto annullato “i provvedimenti impugnati nei limiti di cui in motivazione”.

Questa sentenza, non appellata, è passata in giudicato.

2. La sentenza n. 438/2016, in breve, ha ritenuto infondato:

– sia il primo motivo di ricorso, teso a dedurre la nullità degli atti impugnati, per violazione del giudicato, perché il nuovo giudizio comparativo avrebbe dovuto essere svolto da una commissione in diversa composizione invece che dalla stessa commissione che aveva dato origine agli atti precedentemente annullati;

– sia i motivi successivi di ricorso – esaminati congiuntamente riguardo ai contestati profili di inottemperanza – secondo i quali la nuova valutazione avrebbe sofferto degli stessi vizi di motivazione rilevati con la sentenza n. 615/2014, che dunque sarebbe rimasta sostanzialmente inadempiuta.

3. L’appello è affidato – oltre alla riproposizione, come da apposita enunciazione, delle stesse censure fatte valere in primo grado – ai seguenti motivi:

– illegittimità dell’esperimento dei nuovi lavori della commissione da parte della commissione in identica composizione – necessità della nomina di nuova commissione, in assenza dell’ordine di ripeterne i lavori a quella preesistente – violazione ed errata applicazione dell’art. 112 c.p.a. ed elusione del principio ad una corretta ottemperanza dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria amministrativa – violazione ed errata applicazione degli artt. 3 e 97 Cost. – violazione del giudicato formatosi in esecuzione della sentenza del Tar Marche n. 615/2014 – contraddittorietà intrinseca e con il precedente pronunciamento giurisdizionale – ingiustizia manifesta – disparità di trattamento;

– in riferimento al giudizio di ottemperanza: violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 615/2014 – contraddittorietà con la medesima – difetto di motivazione – violazione e/o errata applicazione degli arti. 1, 2 e 3 del d.m. n. 89/2009 – violazione art. 8 del bando di concorso – violazione dei criteri predeterminati dalla commissione nella riunione del 17.6.2015 – eccesso di potere – difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, incoerenza, illogicità e perplessità dell’azione amministrativa – disparità di trattamento – violazione artt. 3 e 97 Cost.;

– in riferimento al giudizio di legittimità: violazione del giudicato di cui alla sentenza n. 615/2014 – contraddittorietà con la medesima – difetto di motivazione – violazione e/o errata applicazione degli arti. 1, 2 e 3 del d.m. n. 89/2009 – violazione art. 8 del bando di concorso – violazione dei criteri predeterminati dalla commissione nella riunione del 17.6.2015 – eccesso di potere – difetto assoluto di motivazione e di istruttoria, incoerenza, illogicità e perplessità dell’azione amministrativa – disparità di trattamento – violazione artt. 3, e 97 Cost..

Ad avviso di parte, in estrema sintesi, male i primi Giudici avevano fatto a non rilevare e pronunciare che il giudizio valutativo andava compiuto da una commissione in diversa composizione (così come si sarebbe sostanzialmente tratto dai contenuti della sentenza da ottemperare) e a non cogliere che i nuovi giudizi espressi in seconda valutazione dalla stessa commissione, giacchè sostanzialmente iterativi dei precedenti, manifestavano una sostanziale inottemperanza della sentenza da eseguire.

4. L’appellata, nel costituirsi, ha controbattuto agli argomenti avversari, in pratica dicendo che:

– la necessità che la commissione giudicatrice fosse convocata in diversa composizione non derivava né testualmente dalla sentenza da eseguire né da alcun appiglio normativo né da pertinenti precedenti giurisprudenziali, soprattutto perché nella specie non erano stati annullati tutti i precedenti lavori della commissione (sibbene solo una parte) e comunque perché l’annullamento era stato disposto esclusivamente per un deficit di motivazione, cui poi la (stessa) commissione aveva adeguatamente sopperito nella seconda tornata dei suoi lavori;

– la commissione, alla fine, aveva dato esauriente conto delle ragioni per le quali l’appellata era stata preferita all’appellante.

5. L’appellante ha depositato proprie note il 7.11.2016 e l’appellata in data 4.11.2016. In prosieguo, le parti hanno scambiato memorie depositate il 24.4.2017. L’appellata ha depositato memoria di replica il 4.5.2017.

Nei suoi scritti l’appellata ha, tra l’altro, sottolineato che se l’appellante avesse voluto conseguire un’espressa pronuncia di obbligatorio rinnovo della composizione della commissione giudicatrice lo stesso, allora, avrebbe dovuto appositamente impugnare la sentenza n. 615/2014 e non lasciare – come accaduto – che la stessa passasse in giudicato.

6. La causa, chiamata quindi alla pubblica udienza di discussione del 25.5.2017, è stata ivi trattenuta in decisione.

7. L’appello è fondato.

7.1. Questione centrale del presente giudizio è quella posta coi primi due motivi di appello, i quali, giacchè meritevoli di accoglimento, consentono di assorbire il terzo.

7.2. Per quanto, dal punto di vista strettamente letterale, la sentenza da eseguire, n. 615/2014, non abbia disposto che il giudizio valutativo – nel caso di specie – dovesse essere effettuato da una commissione giudicatrice in composizione diversa da quella i cui lavori erano stati censurati, non si può tuttavia ignorare la portata dell’orientamento giurisprudenziale, ormai consolidatosi, che – quale diritto vivente, come tale pure da osservare – ha ormai chiarito la linea di demarcazione tra i casi in cui un giudizio valutativo può essere rinnovato dalla stessa commissione che ha emesso quello censurato ed i casi nei quali, invece, non può farsi a meno di rimettere la rinnovazione del giudizio ad una commissione differente, nella sua composizione.

Di questo orientamento avrebbe dovuto farsi carico – tenendone conto – la sentenza di ottemperanza ora impugnata, senza superare semplicemente la questione ritenendo che – all’opposto – sarebbe dovuta essere la parte interessata a farsi carico dell’appello della sentenza n. 615/2014, allo scopo sostanzialmente di conseguire (attraverso una riforma parziale di tale decisione, in secondo grado) la statuizione secondo la quale la rinnovazione del giudizio valutativo dovesse essere rimessa ad una commissione giudicatrice diversa.

Tra l’altro, facendosene carico, la sentenza qui in scrutinio avrebbe evitato di pervenire a quello che, nei fatti, altro non è se non un aggravamento dell’onere difensivo della parte vittoriosa nell’originario giudizio di legittimità di primo grado.

7.3. Vale ricordare quanto espresso dal Consiglio di Stato, Sezione VI, con la decisione 13.9.2012, n. 4858, in tema di giudizio per la copertura di un posto di professore universitario di prima fascia.

Nell’occasione è stato affermato che “il Collegio intende dar seguito al più recente orientamento giurisprudenziale secondo il quale, nel caso in cui il giudicato richieda il rinnovo di una procedura concorsuale, è di regola preferibile che la commissione sia riconvocata in diversa composizione, tutte le volte in cui il vizio ravvisato dal giudicato attenga proprio alle operazioni di giudizio della commissione stessa. Nel caso di specie, il vizio ravvisato riguarda proprio, come si è evidenziato, le operazioni di giudizio della commissione, considerato il riscontrato eccesso di potere tradottosi nella modifica immotivata dei giudizi collegiali finali.”.

Si può aggiungere il ricordo di quanto detto dal Consiglio di Stato, Sezione VI, con la decisione 11.3.2015, n. 1248, in tema di concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici.

Nell’occasione si è riepilogato che “La questione se, in seguito all’annullamento giurisdizionale di atti di una procedura concorsuale, la ripetizione della procedura annullata e, in particolare, la ricorrezione delle prove scritte vada, o meno, affidata a – ed effettuata da – una commissione giudicatrice in una composizione diversa da quella dell’organo collegiale che aveva proceduto a compiere le operazioni annullate dal giudice amministrativo, non è nuova.

In alcuni casi (v., ad es., Cons. St., sez. V, n. 3882 del 2009), a sostegno della tesi per cui il riesercizio dell’attività, per essere legittimo, dev’essere demandato a una commissione in composizione diversa (…) la giurisprudenza di questo Consiglio ha valorizzato l’esigenza di evitare “qualunque condizionamento collegabile alla pregressa vicenda concorsuale” (v. anche Cons. St., sez. VI, n. 5407 del 2012).

In altre occasioni, invece (v., ad es., Cons. St., sez. VI, n. 3896 del 2011), allo scopo di avvalorare la possibilità e la legittimità della conferma, nella sua composizione originaria, della commissione del procedimento concorsuale annullato, è stato posto in risalto il fatto che la garanzia d’imparzialità richiesta dall’art. 97 della Costituzione “scaturisce dalla qualità di pubblici ufficiali dei commissari, i quali, nello svolgimento della loro attività, sono tenuti a operare nel rispetto dei principi dell’ordinamento e sono responsabili di eventuali danni arrecati al candidato o all’amministrazione per la quale operano, mentre nell’ordinamento non è rinvenibile – salvo il diverso caso della concomitante violazione della normativa sulla formazione dell’organo – un principio generale per cui a seguito dell’annullamento giurisdizionale di atti si debba procedere, per ciò solo, al mutamento del titolare dell’organo che li abbia adottati al fine della loro rinnovazione”.

Per Cons. St., sez. VI, n. 396 del 2012, infine, la questione (…) va risolta riconducendo a unità i differenziati orientamenti della giurisprudenza e considerando che la scelta in ordine alla sostituzione necessaria, o meno, della commissione di concorso in seguito all’annullamento giurisdizionale dei suoi atti “non si fonda sull’applicazione necessaria di un preciso comando legislativo, ma comporta la valutazione discrezionale delle circostanze che hanno portato all’annullamento degli atti (…).”, ricavandone che “(…) certamente non ogni errore procedimentale comporta la necessità di rinnovare la commissione. Tale scelta costituisce anzi una sorta di “extrema ratio”, alla quale ricorrere solo in caso di dimostrata necessità. (…)”.

Quanto precede vale a dimostrare come i Giudici della sentenza qui in scrutinio dovessero affrontare e risolvere, in primo luogo, la questione sopra detta, anche perché formalmente a loro posta col primo dei motivi del ricorso introduttivo del giudizio chiusosi con la sentenza n. 438/2016.

In particolare, essa avrebbe dovuto approfondire quale sarebbe dovuto essere il comportamento più appropriato dell’Amministrazione per dare adeguata esecuzione alla sentenza n. 615/2014.

7.4. La circostanza per cui, dal punto di vista tipologico, le fattispecie alle quali si riferiscono i due precedenti giurisprudenziali sopra ricordati non coincidano esattamente non può incrinare la linea logica basilare sottostante ai principi dagli stessi enunciati, dato che pur sempre si è trattato – nell’una e nell’altra vicenda – di casi riguardanti giudizi valutativi (espressi nel quadro di una griglia di criteri sostanzializzati, rispetto a ciascuno dei quali si è dovuto misurare il grado qualitativo di una pluralità di fattori espressivi della maturità dei candidati) del merito professionale di persone che ambiscono al superamento di un ulteriore, importante gradino della loro carriera.

In primo grado dunque, onde preliminarmente misurare l’eccepito difetto di ottemperanza da parte dell’Amministrazione, cui era stato di fatto lasciato l’onere di decidere per la nomina di una commissione in diversa composizione, si sarebbe dovuta affrontare la questione sopra detta, ora qui riproposta, non limitando il suo scrutinio alla constatazione che “L’Amministrazione ha deciso di non agire in via di autotutela annullando o revocando d’ufficio gli atti salvaguardati da questo Tribunale, ma ha deciso per l’ottemperanza in senso stretto, limitando quindi gli oneri esecutivi alla rinnovazione dei giudizi con libertà dei commissari di confermare le precedenti conclusioni che difficilmente avrebbero potuto essere solo motivate, qualora non condivise, da una commissione in diversa composizione.”

7.5. Ciò posto, non pare inutile rammentare – anche se solo per arricchire meglio il ricordo del contesto procedurale entro il quale si è maturato quanto ha poi formato oggetto di giudizio – che la sentenza n. 615/2014 aveva affrontato (rigettandolo) il profilo di illegittimità dedotto dal ricorrente in primo grado per cui il Rettore aveva già deciso di rimettere gli atti (della procedura) alla (stessa) commissione per ripetere la valutazione che si era conclusa (all’esito della IX riunione) senza l’individuazione di un candidato prevalente, e ciò perché lo stesso aveva già individuato specifici profili di irregolarità nell’operato della commissione, rilevando (a suo parere) incoerenza tra i giudizi collegiali formulati nel corso della procedura e la valutazione comparativa finale.

Quanto alla censura ritenuta fondata, poi, i primi Giudici, premesso che nella prima riunione del 20.3.2013 la “Commissione predeterminava i criteri cui attenersi nella valutazione comparativa dei candidati; criteri che riprendono quelli indicati all’art. 8 del Bando che, a sua volta, recepisce i criteri di cui al DM 28.7.2009”, hanno quindi ritenuto, relativamente alle attività valutative immediatamente successive, che “questa fase non può tuttavia considerarsi rispettosa dei criteri di valutazione e dell’obbligo motivazionale che incombeva sulla Commissione”.

Invero, gli stessi Giudici hanno constatato che “Dall’esame delle schede di ciascun candidato non è dato innanzitutto comprendere come sia avvenuto l’esame di ciascun elemento (rilevabile dai dati curriculari, pubblicazioni o altri titoli), ai fini della relativa ammissibilità o inammissibilità (totale o parziale), poiché ritenuta coerente o incoerente (totalmente o parzialmente) con il settore scientifico disciplinare in argomento. Tale decisione preliminare (o scrematura), da svolgere su ciascun titolo e pubblicazione, avrebbe poi dovuto essere adeguatamente motivata e circostanziata, ai fini della sua verificabilità. La motivazione sugli elementi ritenuti significativi (totalmente o parzialmente), sconta infatti difetti motivazionali poiché estremamente sintetica (mentre per i titoli avrebbe dovuto essere analitica), svolta anche attraverso accorpamenti descrittivi di pubblicazioni da cui non è dato altresì comprendere i profili qualitativi e quantitativi poi ritenuti valutabili ai fini comparativi. Sotto il profilo quantitativo emerge esclusivamente il numero delle pubblicazioni presentate, che non può certo considerarsi un valore utile, dovendo invece entrare nel merito dei relativi contenuti attraverso una pesatura.”.

Hanno aggiunto i primi Giudici che “Anche i giudizi individuali soffrono di carenza motivazionale, oltre a presentarsi disomogenei e di non facile comprensione” e che “consegue l’obiettiva difficoltà (se non l’impossibilità) nel comprendere l’iter logico attraverso cui ciascun commissario ha quindi ritenuto di esprimere il proprio giudizio complessivo (sufficiente, più che sufficiente, buono, più che buono, ottimo), con conseguente obiettiva difficoltà (se non l’impossibilità) di verificare la coerenza logica con il giudizio complessivo espresso collegialmente su ciascun candidato”.

Pertanto essi sono giunti alla conclusione che “Le risultanze della V riunione sono quindi illegittime per le ragioni sopra indicate, aventi carattere assorbente rispetto ad ulteriori profili di doglianza contenuti nel motivo in esame, e ciò si riflette sulle valutazioni comparative finali svolte nelle riunioni IX e X (peraltro anch’esse prive di adeguata motivazione riguardo alle ragioni per cui un candidato è stato ritenuto prevalente o non prevalente su un altro).”.

7.6. Come si evince dai diversi brani citati della sentenza cui l’Amministrazione avrebbe dovuto dare corretta esecuzione, nel caso di specie non sarebbe bastato un mero impegno della (medesima) commissione (che, detto incidentalmente, già forse in un momento anteriore avrebbe dovuto essere, più opportunamente, già sostituita dal Rettore) nel rendere più chiare – sul solo piano della motivazione – le ragioni e la portata delle valutazioni da essa effettuate, quanto piuttosto una vera e propria riedizione complessiva delle valutazioni stesse sia in stretto ossequio ai parametri che la normativa di settore ha fissato e che, pertanto, occorre seguire nel corso delle attività valutative sia nel concreto ed effettivo giudizio di tutti gli elementi distintivi sottoposti a valutazione dai candidati in lizza (inclusi lavori scientifici ed altri titoli).

Ricorre allora – in funzione di quel gradiente valutativo emerso dai precedenti giurisprudenziali sopra ricordati – un caso di necessitata opportunità che la commissione che avrebbe dovuto insediarsi dopo (ed in esecuzione del)la sentenza n. 615/2014) fosse di diversa composizione rispetto a quella i cui atti erano già stati annullati.

In verità, ad un’attenta lettura della sentenza da ottemperare, nel caso di specie non poteva essere sufficiente una semplice integrazione, da parte della commissione originariamente insediata, delle motivazioni dei giudizi (comunque insufficienti) che essa aveva espresso e ciò perché, in realtà, alcuni dei giudizi dovuti erano stati completamente omessi ovvero erano rimasti condizionati da una sostanziale divaricazione dei lavori della commissione rispetto ai criteri normativamente predeterminati, oltre a quelli che dalla medesima commissione erano stati introduttivamente dati.

Occorreva, dunque, una ampia e profonda riedizione di attività che difficilmente poteva essere onorata da quella medesima commissione che, in un primo tempo, era incorsa in errore.

E questo non tanto e non solo per una comprensibile (ma non giustificabile) ritrosia della medesima commissione ad ammettere propri errori ma, più in generale, probabilmente anche per la difficoltà, da parte della medesima commissione, di annullare preventivamente i sui stessi lavori, già conclusi.

Diversamente opinando rispetto alla sentenza qui impugnata, era piuttosto onere della stessa Amministrazione – letta la sentenza n. 615/2014 – a dover procedere ad un tale radicale annullamento e, quindi, ad affidare il compito della riedizione delle valutazioni – alla luce delle statuizioni della predetta sentenza – ad una nuova commissione, in diversa composizione.

7.7. Ciò non essendo avvenuto, perché l’Amministrazione si è riaffidata alla medesima commissione i cui lavori erano stati già ritenuti illegittimi con la sentenza n. 615/2014 e perché i primi Giudici non hanno colto l’esigenza che, invece, le valutazioni dei candidati dovevano essere più opportunamente rimesse ad una commissione in diversa composizione, gli atti di ritenuta ottemperanza di detta sentenza – in conclusione ed in accoglimento dell’appello – vanno annullati giacchè sostanzialmente elusivi del giudicato formatosi, previa riforma della sentenza impugnata.

7.8. Ricorrono nondimeno giustificati motivi per compensare integralmente fra le parti le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti indicati in motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Bernhard Lageder – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consigliere

Francesco Mele – Consigliere

Italo Volpe – Consigliere, Estensore

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