Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 5 giugno 2017, n. 2691

Qualora sia fondato su di un riesame della fattispecie, il diniego di autotutela costituisce atto autonomamente lesivo, anche se naturalmente ciò non comporta la riapertura dei termini per la diretta impugnativa dell’atto originario, perché anche se non ha l’obbligo di rispondere al privato in presenza di una situazione già cristallizzata da provvedimenti non più suscettibili di impugnativa l’Amministrazione è tuttavia libera di riesaminare i propri atti e di pronunciarsi sulle richieste degli interessati, i quali sono in tal caso abilitati a far valere dinanzi al giudice amministrativo l’eventuale illegittimità delle valutazioni all’uopo effettuate dal soggetto pubblico

Consiglio di Stato,

sezione VI

sentenza 5 giugno 2017, n. 2691

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3087 del 2011, proposto da:

Ma. Cr. Fa., rappresentata e difesa dagli avvocati Gu. Fr. Ro., Ro. Pi., con domicilio eletto presso lo studio Gu. Fr. Ro. in Roma, via (…);

contro

Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Parma, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Sa. Al. Ro., El. Po., con domicilio eletto presso lo studio Sa. Al. Ro. in Roma, viale (…);

nei confronti di

Si. Pa. ed altri, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA – SEZ. STACCATA DI PARMA: SEZIONE I n. 00043/2011, resa tra le parti, concernente diniego annullamento in autotutela degli atti della selezione interna per la copertura di tre posti di cat. d, posizione economica d1.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Parma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 maggio 2017 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Ro. Pi., e Sa. Al. Ro.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con sentenza n. 43/2011 del 22-2-2011 il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna- Sezione staccata di Parma, in parte dichiarava irricevibile ed in parte rigettava il ricorso proposto dalla signora Fa. Ma. Cr., diretto ad ottenere l’annullamento della deliberazione della Giunta della Camera di Commercio, Industria e Artigianato e Agricoltura di Parma n. 309 del 23-12-2003, con cui era stata respinta la richiesta di annullamento in autotutela degli atti della selezione interna, per titoli ed esami, per la copertura di tre posti di categoria D, posizione economica D1, nonché la condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni.

La sentenza esponeva in fatto quanto segue.

” Effettuata la prova scritta della selezione interna, per titoli ed esami, per la copertura di tre posti di cat. D, posizione economica D1, profilo professionale “Gestore servizi amministrativi, contabili e di supporto”, presso la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di Parma, la ricorrente non veniva ammessa alla prova orale, sicchè – presa visione dei verbali della Commissione esaminatrice – ella presentava un esposto all’ente camerale in data 3 dicembre 2003, ed in particolare denunciava la circostanxza che il giudizio negativo fosse stato formulato sulla base del solo punteggio numerico, nonostante l’omessa predeterminazione dei criteri di valutazione delle prove. Ma con deliberazione n. 309 del 23 dicembre 2003, trasmessa alla ricorrente con nota del Segretario generale prot. n. 0017350 in data 30 dicembre 2003, la Giunta camerale disponeva il rigetto dell’istanza in quanto “…ritenute assolutamente non condivisibili le censure formulate e ritenuto, per contro, che gli atti della selezione in parola siano stati posti in essere nel rispetto della normativa vigente…”. Avverso tali atti e avverso gli atti della procedura selettiva ha proposto ricorso l’interessata. Imputa all’ente camerale di avere respinto l’istanza con motivazione inidonea a renderne comprensibili le ragioni, nonché di avere omesso di tenere conto che l’esito delle prove dei concorsi pubblici venga corredato da giudizio non espresso con il solo voto numerico – soprattutto quando non ne siano stati predeterminati i criteri di valutazione. Di qui la richiesta di annullamento degli atti impugnati e di condanna dell’Amministrazione al risarcimento dei danni”.

Avverso la decisione del Tribunale Amministrativo la signora Fa. ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità e chiedendone la riforma, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado.

Premessa la sussistenza in materia della giurisdizione del G.A. e la persistenza dell’interesse al ricorso, ella ha lamentato: Violazione ed erronea interpretazione, sotto diversi profili, degli articoli 2 e 3 della legge n. 241/1990 – eccesso di potere per illogicità e irrazionalità manifeste.

Si è costituita in giudizio la Camera di Commercio di Parma, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza dell’appello e chiedendone il rigetto.

In corso di giudizio le parti hanno depositato memorie illustrative e di replica.

La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 25-5-2017.

DIRITTO

Deve in primo luogo essere respinta l’eccezione di inammissibilità prospettata dalla Camera di Commercio, secondo cui l’atto di diniego di autotutela sarebbe un atto meramente confermativo e che il diniego totale o parziale di autotutela è impugnabile solo unitamente all’atto originario o mediante motivi aggiunti.

Va, invero, sottolineato che il Tribunale Amministrativo si è pronunciato sulla questione, ritenendo che “quando sia fondato su di un riesame della fattispecie, il diniego di autotutela costituisce atto autonomamente lesivo, anche se naturalmente ciò non comporta la riapertura dei termini per la diretta impugnativa dell’atto originario…perché anche se non ha l’obbligo di rispondere al privato in presenza di una situazione già cristallizzata da provvedimenti non più suscettibili di impugnativa l’Amministrazione è tuttavia libera di riesaminare i propri atti e di pronunciarsi sulle richieste degli interessati, i quali sono in tal caso abilitati a far valere dinanzi al giudice amministrativo l’eventuale illegittimità delle valutazioni all’uopo effettuate dal soggetto pubblico”.

Orbene, attesa la specifica statuizione da parte del giudice di primo grado, la sua contestazione sarebbe dovuta avvenire mediante proposizione di ricorso incidentale avverso la sentenza, che nella specie non è stato proposto.

Trattasi di questione, pertanto, sulla quale questo giudice di appello non può pronunciarsi.

Venendo ora all’esame del merito dell’appello, va osservato che la signora Fa., con unico ed articolato motivo, lamenta: violazione e/o erronea interpretazione, sotto diversi profili, degli artt. 2 e 3 della legge n. 241/1990; eccesso di potere per illogicità ed irrazionalità manifeste.

Ella censura in primo luogo la gravata sentenza, laddove si pone in evidente contraddizione argomentativa, laddove, pur facendo riferimento al corretto orientamento secondo il quale la motivazione espressa con il solo punteggio numerico deve trovare adeguato riscontro nei criteri di valutazione predeterminati dalla Commissione, opera applicazione di tale principio anche nel caso di specie nonostante la commissione non abbia provveduto alla definizione di alcun criterio di valutazione delle prove.

La pronuncia sarebbe errata nella parte in cui ritiene sufficiente il richiamo all’articolo 6 del bando, considerandosi che tale norma non contiene alcun riferimento ai criteri di valutazione, ma unicamente a circoscrivere le materie delle prove di esame e a prevedere per esse l’assegnazione di punteggi espressi in trentesimi.

Da ciò deriva che l’attività della commissione è illegittima in quanto fondata su valutazioni sostanzialmente arbitrarie, fondate sul solo voto numerico, con violazione delle regole di trasparenza ed imparzialità.

La doglianza non merita favorevole considerazione.

La sentenza impugnata così motiva sul punto.

” Per la prevalente giurisprudenza…, quando occorre provvedere in un concorso pubblico all’accertamento dell’idoneità dei candidati, la motivazione espressa con un punteggio numerico, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità dell’attività amministrativa, assicura la necessaria chiarezza circa le valutazioni compiute dalla commissione esaminatrice, giacchè con il suo collocarsi all’interno di una scala parametrale comunemente riconosciuta rappresenta una formula sintetica, ma eloquente ed adeguata, del giudizio in tale sede formulato, con la conseguenza che non occorre di norma integrare il voto numerico con un’apposita ulteriore motivazione, soprattutto se esso trova un’adeguata base di riscontro nei criteri di valutazione predeterminati dalla commissione, così da consentire al candidato di comprendere i giudizi riferiti alla sua prova e al giudice di ricostruire in sede giurisdizionale l’iter logico seguito. Ora, è pur vero che nella fattispecie la commissione esaminatrice non aveva definito i criteri di valutazione delle prove ma si era limitata a far rinvio a quanto a tali fini stabilito dall’articolo 6 del bando, ciò nonostante la circostanza che la prova scritta consistesse in una esercitazione a contenuto teorico-pratico e che il programma di esame recasse l’analitica elencazione degli argomenti oggetto della prova (legislazione delle Camere di Commercio) rivelava in sé la sussistenza di prescrizioni idonee ad indirizzare sufficientemente l’attività degli esaminatori, nel senso di richiedere loro la verifica della conoscenza di nozioni specifiche e della capacità di traduzione della stessa in atti e decisioni, rispetto alle quali il giudizio espresso con un voto numerico non abbisognava dunque di ulteriori specificazioni o spiegazioni, perché erano evidenti le caratteristiche degli elaborati di cui la Commissione avrebbe dovuto tenere conto in sede di valutazione tecnico-discrezionale di sua pertinenza”.

Il Collegio condivide la determinazione reiettiva del giudice di primo grado per le ragioni che di seguito si espongono.

Occorre, invero, tener conto della peculiarità della fattispecie in esame.

E’ ben vero in linea generale che, in assenza di una “griglia” di valutazione, l’attribuzione del voto numerico deve essere accompagnato da una motivazione.

Tuttavia, nel caso di specie, essa poteva essere omessa in relazione alla peculiare e circoscritta prefissazione del contenuto della prova di esame, indicata nell’articolo 6 del bando di gara, nonché della specifica indicazione degli argomenti oggetto della stessa, contenuti analiticamente nel programma di esame allegato al bando.

Va, infatti, considerato che l’articolo 6 del bando specifica che “La prova scritta consisterà in una esercitazione a contenuto teorico-pratico sulla Legislazione delle Camere di Commercio”, precisando che “la prova si intenderà superata…quando il candidato abbia ottenuto un punteggio non inferiore a 21/30”.

Orbene, non ci si riferisce semplicemente alla materia oggetto della prova, ma questa viene specificata come “esercitazione a contenuto teorico-pratico”.

Ritiene la Sezione che tale prefissazione puntuale e circoscritta non rivesta una mera portata descrittiva, ma abbia anche una indubbia valenza metodologica in ordine alla valutabilità della prova, limitando il potere tecnico-discrezionale valutativo dei commissari e rendendo così palesi i necessari criteri ai quali gli stessi avrebbero dovuto attenersi nella valutazione.

Non può, pertanto, parlarsi – come sostenuto dall’appellante – di valutazioni arbitrarie, violative dei principi di trasparenza e di imparzialità.

Parimenti, la suddetta specificazione e circoscrizione consente ai candidati la intellegibilità del voto numerico attribuito e delle relative ragioni, verificando la corrispondenza della valutazione e dei suoi esiti agli specifici indirizzi declinati nel citato articolo 6 del bando, risultando chiaramente il parametro di valutazione la conoscenza teorica dell’argomento (ripetesi, da individuare in quelli dettagliati nel programma di esame allegato al bando) e la capacità di tradurre le richiamate conoscenze in atti amministrativi di competenza dell’Amministrazione.

Deve, di conseguenza, ritenersi che non sia ravvisabile alcuna contraddittorietà nella pronuncia del giudice di primo grado, il quale ha valorizzato, per affermare la sufficienza del voto numerico, proprio le richiamate circostanze; evidenziandosi, pure, che in tale peculiare fattispecie non è ravvisabile un vizio di difetto di motivazione invalidante.

L’appellante denunzia, sotto altro profilo, la contraddittorietà e l’erroneità della sentenza di primo grado.

Evidenzia che, a fronte della argomentata istanza di autotutela prodotta, l’Amministrazione avrebbe fondato il diniego senza esplicitarne in concreto le ragioni.

Sottolinea che, benchè il potere di autotutela rientri nella discrezionalità della pubblica amministrazione, la P.A. ha l’obbligo di evidenziare le ragioni per le quali ritiene di non provvedere al ripristino della legalità violata, ponderando gli eventuali profili di legittimità con le concrete ragioni di pubblico interesse.

La gravata sentenza così motiva sul punto.

“Quanto, poi, alla motivazione del diniego di autotutela, non vertendo tale determinazione sui profili discrezionali legati all’apprezzamento dell’interesse pubblico all’autoannullamento degli atti concorsuali ma basandosi piuttosto la stessa sull’insussistenza del vizio di legittimità denunciato, non occorreva fornire indicazioni specifiche circa una conclusione che era insita nella comunemente riconosciuta sufficienza dell’attribuzione del voto numerico”.

La Sezione condivide la determinazione reiettiva del giudice di primo grado.

La motivazione della deliberazione n. 309 del 23-12-2003 della Giunta Camerale viene espressa nei seguenti termini: ” Visto l’esposto pervenuto in data 3-12-2003, con il quale la dipendente Ma. Cr. Fa…..asserisce l’illegittimità degli atti della selezione interna per titoli ed esami….e ne chiede conseguentemente l’annullamento in sede di autotutela; rilevato in particolare che i lamentati vizi di legittimità afferirebbero alla mancata esternazione delle ragioni della valutazione della prova scritta espressa con indicazione numerica, in assenza della predeterminazione dei criteri di valutazione della prova stessa; sentito sull’argomento il Segretario Generale dell’Ente; ritenute assolutamente non condivisibili le censure formulate e ritenuto, per contro, che gli atti della selezione in parola siano stati posti in essere nel rispetto della normativa vigente; ad unanimità di voti DELIBERA di non accogliere la richiesta di cui all’esposto in narrativa.”.

Ritiene la Sezione, anche in considerazione della affermata legittimità della valutazione numerica così come sopra esposto, che il lamentato vizio di difetto motivazionale non sussista.

Invero, l’organo camerale ha dato atto dei profili di illegittimità lamentati ed ha espresso la propria determinazione in termini di non condivisibilità delle doglianze proposte e di conformità dell’operato della commissione alla normativa vigente.

Orbene, risulta evidente, in relazione alle doglianze proposte, che l’affermazione di non condivisibilità delle stesse e di legittimità dell’operato della commissione, risulta riferito alla possibilità di operare la valutazione con l’assegnazione del solo voto numerico, onde risulta ricavabile dal decisum dell’amministrazione la ragione del rigetto dell’istanza di autotutela.

D’altra parte, è stata più sopra evidenziata, in relazione alla peculiarità della fattispecie ed ai limiti e criteri valutativi derivanti dal bando, la legittimità dell’azione amministrativa.

Né, ritenuta insussistente la illegittimità lamentata, era necessario operare alcuna valutazione comparativa degli interessi contrapposti.

Infine, la ritenuta legittimità dell’operato dell’Amministrazione esclude la sussistenza di un danno ingiusto, presupposto indispensabile per l’accoglimento della domanda risarcitoria.

Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, pertanto, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.

Ragioni di equità e la peculiarità della vicenda esaminata giustificano l’integrale compensazione tra le parti costituite delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2017 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Bernhard Lageder – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consigliere

Francesco Mele – Consigliere, Estensore

Francesco Gambato Spisani – Consigliere

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