Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 5 dicembre 2016, n. 5106

La ristrutturazione edilizia presuppone che vi sia un precedente fabbricato di consistenza e caratteristiche identiche del manufatto che si intende ricostruire Nella motivazione della sentenza si è precisato che è necessario dimostrare l’esatta consistenza dell’immobile precedente, individuato nei suoi connotati essenziali

 

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 5 dicembre 2016, n. 5106

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8562 del 2012, proposto da:

Be. Ru., rappresentato e difeso dagli avvocati Vi. Ca. C.F. (omissis), Gu. Pr. C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Li. Au. in Roma, via (…);

contro

Ministero Per i Beni e Le Attività Culturali, Soprintendenza Per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Salerno e di Avellino, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Roma, via (…);

nei confronti di

Comune di (omissis) non costituito in giudizio;

per la riforma

per la riforma

della sentenza n. 608 del T.A.R. CAMPANIA – SALERNO (Sezione Prima) del 28 marzo 2012, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero Per i Beni e Le Attività Culturali e di Soprintendenza Per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Salerno e di Avellino;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2016 il Cons. Roberto Giovagnoli e uditi per le parti gli avvocati Pi. per delega di Pr. e di Ca., e dello Stato Ba.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Gli originari ricorrenti e attuali appellanti hanno proposto ricorso al T.a.r. Campania – Salerno per l’annullamento del provvedimento del 16 marzo 2010 adottato dalla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Salerno e Avellino, con cui era stata annullata l’autorizzazione paesaggistica n. 39/2009 rilasciata dal Comune di (omissis) per la ristrutturazione di un fabbricato da adibire a bar e gelateria. In particolare, i ricorrenti deducevano il mancato rispetto del termine di cui all’articolo 159, comma 3 del d.lgs. n. 42/2004 e l’inesistenza di un valido provvedimento di annullamento, nonché il mancato rispetto dell’articolo 8 della legge n. 241/90 e l’eccesso di potere per erroneità e contraddittorietà della motivazione.

2. Con la sentenza impugnata, il primo giudice rigettava il ricorso, evidenziando che:

a. pur se l’annullamento in questione era stato adottato prima della scadenza del richiesto atto di sospensione per consentire all’Amministrazione l’esame della documentazione presentata dai ricorrenti circa la natura giuridica della ricostruzione di un rudere e pur se nessun provvedimento era stato assunto dopo detta scadenza, detta sospensione impedisce unicamente il decorso del termine di decadenza, ma non priva l’Amministrazione del potere di provvedere anche nel corso della sospensione finalizzata all’esame della documentazione prodotta. Se l’attività istruttoria è stata, infatti, ultimata, prima della scadenza del termine della sospensione, può essere adottato il provvedimento finale che costituisce il naturale sbocco dell’istruttoria medesima;

b. il provvedimento di annullamento del nulla osta paesaggistico, per pacifica affermazione giurisprudenziale, non ha natura di atto recettizio e il termine perentorio di sessanta giorni previsto per l’eventuale annullamento attiene alla sua adozione e non anche alla sua comunicazione, essendo la successiva notifica un incombente esterno rispetto al perfezionamento dell’iter procedimentale relativo al controllo ministeriale. Medesime considerazioni valgono pure per il regime transitorio previsto dall’articolo 159 del d.lgs. n. 42/2004, né a diverse conclusioni induce la disposizione di cui all’articolo 21 bis della legge n. 240/1990, risultando la medesima non avere rilievo sul rispetto del termine decadenziale ancorato alla sola adozione del provvedimento di annullamento e dunque all’esercizio del potere;

c. nel caso di specie, il termine di legge è stato rispettato atteso che la citata documentazione è pervenuta alla Soprintendenza in data 21 dicembre 2009 e il provvedimento di annullamento è stato adottato il 16 marzo 2010, dopo la scadenza della sospensione disposta;

d. la sollevata questione di legittimità costituzionale della norma per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione risulta infondata, poiché è ragionevole e non discriminatorio ancorare la scadenza del termine di decadenza al momento dell’adozione del provvedimento conclusivo dell’esercizio del potere amministrativo della cui estinzione si tratta. Neppure sono rilevabili profili di pregiudizio per la posizione giuridica dei privati, considerato che essi possono azionare il proprio diritto di difesa all’atto della notificazione del provvedimento, decorrendo da tale momento il termine decadenziale per l’impugnazione;

e. non sussiste la violazione dell’articolo 8 della legge n. 241/90, essendo sufficiente nell’avviso di avvio del procedimento la sola indicazione della Soprintendenza, visto che risulta agevole, con uno sforzo di minima diligenza, venire a conoscenza di tutti gli altri elementi di cui al citato articolo 8, elementi non conosciuti dall’ente locale perché riferiti ad altra amministrazione. In ogni caso, la carenza è semmai motivo di irregolarità del provvedimento finale e non di sua illegittimità;

f. la ricostruzione del rudere in questione non può essere qualificabile come ristrutturazione edilizia, trattandosi di nuova costruzione, risultando pacifico che il manufatto oggetto dell’intervento abbia nell’attualità la consistenza di un rudere totalmente diruto, come risulta dagli elaborati prodotti e dalla documentazione fotografica depositata in giudizio dalla difesa erariale, essendo presente nell’attualità’ solo parte della muratura perimetrale ed assenti la copertura e le strutture orizzontali e nessuna consistenza può riferirsi al piano primo;

3. Con l’appello in epigrafe, è stato evidenziato che:

a. l’affermazione del primo giudice, secondo cui la sospensione accordata per l’esame della documentazione avrebbe impedito unicamente il decorso del termine di decadenza, ma non privato l’Amministrazione del potere, conclusa l’istruttoria, di provvedere anche durante il periodo di detta sospensione, si fonda sul presupposto della conclusione dell’istruttoria medesima, senza che ciò sia dimostrato da alcun dato documentale o fattuale;

b. l’affermazione del primo giudice secondo cui il termine per l’adozione del provvedimento di annullamento in questione non riguarda la sua comunicazione o notificazione ed è comunque infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale della norma, non è conforme ai principi costituzionali e a quelli vigenti in materia di rapporti tra pubblica amministrazione e cittadini;

c. la mancata conoscenza dell’ufficio e del responsabile del procedimento, se si traduce in un ostacolo all’esercizio del diritto di partecipazione al procedimento, determina una lesione dei diritti del cittadino e non una semplice irregolarità del procedimento amministrativo trasfusa nel provvedimento;

d. il primo giudice ha errato nell’affermare che l’edificio in questione non esiste più come entità’ edilizia rilevante nell’attualità e dunque la sua ricostituzione si configura come una nuova trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, assoggettata al rispetto delle relative prescrizioni. Ciò non è condivisibile sia alla luce della giurisprudenza del Consiglio di Stato che dei contenuti della legge regionale Campania n. 19 del 28 dicembre 2009, come modificata dall’art. 1 della legge regionale n. 1 del 5 gennaio 2011 che, introducendo l’articolo 8 bis, consente il recupero edilizio in deroga agli strumenti urbanistici vigenti mediante intervento di ricostruzione in sito di edifici diruti e di ruderi, purché ne sia comprovata la preesistenza, la consistenza e l’autonomia funzionale. Nella specie sono, infatti, ricavabili dalla documentazione acquisita le dimensioni dell’edificio ridotto a rudere, risultando così l’esistenza e la consistenza del fabbricato a pianta rettangolare, sviluppato su due piani per il quale fu presentata un’istanza di ristrutturazione già nel 1990. La richiamata legge regionale rende evidente la possibilità di interventi in deroga alle regole urbanistiche vigenti e non è necessaria quindi la qualificazione degli interventi medesimi in termini di ristrutturazione edilizia o nuova costruzione. La ricostruzione in sito non coincide poi con quella di ricostruzione nella medesima area di sedime.

4. Si è costituito in giudizio per resistere all’appello il Ministero per i beni e le attività culturali.

5. Con ordinanza collegiale 13 ottobre 2015, n. 4696, questa Sezione, per un più compiuto esame della vicenda, ha disposto l’acquisizione delle note che parte appellante afferma aver depositato in sede di discussione con documentazione allegata (pagine 11 e 12 dell’appello) da cui risulterebbe evidente la sagoma e la volumetria originale del fabbricato in questione, nonché l’acquisizione presso il TAR Campania – Salerno del fascicolo originale di primo grado.

5. Espletato l’incombente istruttorio, all’udienza del 7 luglio 2016 la causa è stata trattenuta per la decisione.

6. L’appello non merita accoglimento.

7. Con il primo motivo di appello, viene dedotto il mancato rispetto del termine di sessanta giorni previsto dall’art. 159, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004, assumendosi che, adottato, su istanza dei ricorrenti, un atto di sospensione del termine per trenta giorni, l’impugnato annullamento sarebbe stato adottato durante il periodo di sospensione.

Il motivo non ha pregio.

La richiamata sospensione è stata disposta su richiesta dei privati, al fine di consentire all’Amministrazione l’esame della documentazione dagli stessi presentata. Tale sospensione, essendo finalizzata all’esame della documentazione presentata dai privati su loro istanza, se, da un lato ha impedito il decorso del termine di decadenza, dall’altro non ha, tuttavia, sottratto all’Amministrazione del potere di provvedere durante il relativo ambito temporale.

L’Amministrazione non può adottare il provvedimento oltre il termine di decadenza, ma può provvedere prima della sua scadenza, anche in un momento in cui, su richiesta dei privati, quel termine è sospeso al fine di consentire all’Amministrazione l’esame della documentazione dagli stessi presentata. Se l’Amministrazione riesce ad esaminare la documentazione prima dei trenta giorni previsti, può, completata l’istruttoria, adottare il provvedimento anche quando il termine risulta ancora sospeso. La sospensione riguarda, in altre parole, solo il termine non anche il potere dell’Amministrazione di provvedere.

L’ulteriore censura mossa dagli appellanti, secondo cui, al momento dell’adozione del provvedimento, l’istruttoria non sarebbe stata completata, è infondata in fatto, non risultando allegato alcun elemento probatorio a supporto di tale assunto.

8. Parimenti è infondato il motivo di appello diretto a lamentare la violazione del termine previsto dall’art. 159, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004, per l’esercizio del potete di annullamento da parte della Soprintendenza.

La giurisprudenza amministrativa (cfr., da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2016, n. 356; Cons. Stato, Sez. VI, 10 novembre 2015, n. 5101; Cons. Stato, sez. VI, 10 febbraio 2015, n. 700) è pacificamente orientata nel ritenere che entro il termine perentorio di sessanta giorni previsto dall’art. 159, comma 3, per l’esercizio del potere di controllo da parte della Soprintendenza debba avvenire solo l’adozione e non anche la successiva comunicazione del provvedimento di annullamento d’ufficio.

In senso contrario, non assume rilevanza alcuna la previsione ora contenuta nell’art. 21-bis legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale, nel prevedere che il “provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione dello stesso”, non offre elementi per ritenere che la norma speciale di cui all’art. 159, comma 3, d.lgs. n. 42 del 2004 debba essere interpretata nel senso di includere nel termine decadenziale per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio anche la fase della comunicazione.

9. Nel caso di specie, peraltro, la comunicazione del provvedimento di annullamento, sebbene avvenuta dopo la scadenza del termine di sessanta giorni dalla ricezione degli atti, è stata compiuta dalla Soprintendenza in un termine ragionevolmente contenuto (nella specie inferiore ai sessanta giorni dall’adozione del provvedimento), tale da escludere l’insorgenza di un affidamento qualificato in capo al privato e, comunque, inidoneo a far emerge sintomi di condotte elusive o scorrette da parte della Soprintendenza.

La norma in esame, così come costantemente interpretata dalla giurisprudenza amministrativa, non fa sorgere dubbi di legittimità costituzionale, considerato che la scelta legislativa (di sottoporre a termine di decadenza l’adozione e non anche la comunicazione del provvedimento) risulta espressione di una valutazione di merito non sindacabile, volta a realizzare un equo e ragionevole contemperamento tra le esigenze di tutela del privato (salvaguardate attraverso la previsione di una termine che, in deroga alla regola generale, è in questo caso eccezionalmente previsto a pena di decadenza) e quelle dell’Amministrazione, che deve, a sua volta, avere la possibilità di utilizzare interamente quel termine perentorio ai soli fini dell’adozione del provvedimento, senza farsi carico, nel compimento delle valutazioni che precedono l’eventuale annullamento d’ufficio, anche del tempo che richiederà la successiva attività di comunicazione.

Potrebbero certo verificarsi situazioni particolari in cui il rigore espresso dall’interpretazione giurisprudenziale tradizionale può richiedere un correttivo laddove l’intervallo temporale trascorso tra l’adozione del provvedimento e la successiva comunicazione al privato del provvedimento sia talmente consistente da lasciare trasparire un atteggiamento elusivo dell’Amministrazione, determinando, nel contempo, l’insorgenza in capo al privato un ragionevole affidamento in ordine al consolidamento della sua posizione, ma come si è detto, non è quello che si verifica nel caso oggetto del presente giudizio, in cui la comunicazione è avvenuta, comunque, in tempi ragionevolmente contenuti.

10. Anche gli ulteriori motivi di appello non hanno pregio

La mancata indicazione nell’atto recante la comunicazione dell’avvio del procedimento (che in questo caso è, per l’espressa previsione contenuta nell’art. 159 d.lgs. n. 42 del 2004, la stessa comunicazione con la quale l’ente locale trasmette gli atti alla Soprintendenza per l’esercizio del potere di controllo), di tutte le informazioni contenute nell’art. 8 della legge n. 241 del 1990 e, in particolare, del nominativo del responsabile del procedimento (o dell’ufficio in cui prendere visione degli atti) rappresenta, secondo una consolidata giurisprudenza amministrativa, un’ipotesi di mera irregolarità, che non inficia la validità del provvedimento finale.

11. Infondato, infine, il motivo di appello diretto a sostenere che la ricostruzione del rudere sia intervento qualificabile come ristrutturazione edilizia tutte le volte in cui sia possibile risalire comunque alla originaria consistenza del manufatto.

La ristrutturazione edilizia presuppone come elemento indispensabile la preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole ricostruire (Cons. Stato Sez. IV 15 settembre 2006 n. 5375)

Non è sufficiente che si dimostri che un immobile in parte poi crollato o demolito è esistente, ma è necessario che si dimostri oltre all’an anche il quantum e cioè l’esatta consistenza dell’immobile preesistente del quale si chiede la ricostruzione.

Occorre, quindi, la possibilità di procedere, con un sufficiente grado di certezza, alla ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio, in modo tale che, seppur non necessariamente “abitato” o “abitabile”, esso possa essere comunque individuato nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione (in casi analoghi la giurisprudenza ha preteso che l’immobile esista quanto meno in quelle strutture essenziali che, assicurandogli un minimo di consistenza, possano farlo giudicare presente nella realtà materiale: Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2014, n. 5174; Cons. Stato, V, 15 marzo 1990, n. 293 e 20 dicembre 1985, n. 485).

Del resto, come chiarito dalla giurisprudenza, la c.d. demo-ricostruzione – ovvero un’incisiva forma di recupero di preesistenze comunque assimilabile alla ristrutturazione edilizia – tradizionalmente pretende la pressoché fedele ricostruzione di un fabbricato identico a quello già esistente, dalla cui strutturale identificabilità, come organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, non si può dunque, in ogni caso, prescindere (Cons. Stato, sez. V, 10 febbraio 2004, n. 475).

L’attività di ricostruzione di ruderi è stata invece concordemente considerata, a tutti gli effetti, realizzazione di una nuova costruzione (cfr. Cass. pen. 20 febbraio 2001, n. 13982; Cons. Stato, V, 1° dicembre 1999, n. 2021), avendo questi perduto i caratteri dell’entità urbanisitco-ediliza originaria sia in termini strutturali che funzionali.

Sicché, come correttamente ha rilevato la sentenza appellata, a nulla rileva che, attraverso complesso attività tecniche, si riesca a risalire all’originaria consistenza dell’edificio, considerato che quest’ultimo in esista più come entità edilizia nell’attualità e dunque la sua ricostruzione si configura, comunque, come una nuova costruzione,

Non risulta dirimente, in senso contrario il richiamo fatto dall’appellante all’art. 7, comma 8-bis, della legge regionale Campania n. 19 del 2009, ai sensi del quale “E’ consentito il recupero edilizio […] in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, mediante intervento di ricostruzione in sito, di edifici diruti e ruderi, purché sia comprovata la preesistenza […] nonché la consistenza e l’autonomia funzionale, con obbligo fi destinazione del manufatto ad edilizia residenziale […]”.

La norma non è applicabile al caso di specie, in quanto l’immobile oggetto della presente controversia non viene ricostruito in sito (ma è delocalizzato rispetto all’originaria aria di sedime) ed inoltre non è destinato ad edilizia residenza ma a bar gelateria. In relazione a tale circostanza ostativa all’applicazione della norma peraltro l’appello non contiene specifiche censure.

12. Alla luce delle considerazioni che precedono l’appello deve, pertanto, essere respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate, tenendo conto della soccombenza dell’odierno appellante anche in un altro giudizio tra le stesse parti definito all’odierna camera di consiglio e vertente su analoghe questioni, in complessivi € 2.500, oltre agli accessori di legge.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese del giudizio che liquida in complessivi € 2.500, oltre agli accessori di legge, a favore del Ministero per i beni e le attività culturali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2016 con l’intervento dei magistrati:

Ermanno de Francisco – Presidente

Roberto Giovagnoli – Consigliere, Estensore

Dante D’Alessio – Consigliere

Andrea Pannone – Consigliere

Vincenzo Lopilato – Consiglier

 

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *