Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 30 giugno 2017, n. 3206

Non costituisce ragione di incompatibilità la sussistenza sia di rapporti di mera collaborazione scientifica, sia di pubblicazioni comuni, essendo ravvisabile un obbligo di astensione del componente di detta commissione solo in presenza di una comunanza di interessi anche economici, di intensità tale da porre in dubbio l’imparzialità del giudizio

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 30 giugno 2017, n. 3206

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9126 del 2014, proposto da:

PA. RO., rappresentato e difeso dagli avvocati An. Pe. e Pi. Ri., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Gi. Ma. Gr. in Roma, corso (…);

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE DELL’UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA – UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale Dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);

COMMISSIONE GIUDICATRICE, non costituita in giudizio;

nei confronti di

MI. LA., rappresentata e difesa dagli avvocati Fa. Me. e Gi. To., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fa. Me. in Roma, corso (…);

per la riforma:

della sentenza del T.A.R. TOSCANA – FIRENZE – SEZ. I n. 713 del 2014;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, della Università degli Studi di Pisa e di Mi. La.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 marzo 2017 il Cons. Dario Simeoli e uditi per le parti gli avvocati Fa. Me., Pi. Ri., per delega dell’avvocato An. Pe., e Pa. De Nu. dell’Avvocatura Generale dello Stato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.? Con un primo ricorso (NRG 86 del 2009), il signor PA. RO. ha impugnato innanzi al TAR il decreto del Rettore dell’Università di Pisa (prot. n. 16084 del 13.11.2008), con il quale erano stati approvati gli atti della commissione giudicatrice per la valutazione comparativa per la copertura di n. 1 posto di ricercatore universitario per il settore scientifico disciplinare M-GGR/02 “Geografia economico-politica” presso la facoltà di Economia. All’esito del concorso era risultata vincitrice la candidata MI. LA.. Il ricorrente prospettava vizi di violazione di legge e di eccesso di potere, anche con riferimento alla violazione della regola dell’anonimato.

1.1.? Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, con sentenza n. 1943 del 2011, ha accolto il ricorso, avendo accertato che i candidati avevano sostenuto le prove scritte su fogli privi del timbro prescritto dall’art. 13, comma 2, del d.p.r. n. 487 del 1994. Le restanti censure sono state assorbite.

1.2.? In esecuzione della sentenza di primo grado, l’Università degli Studi di Pisa ha disposto (con decreto del Rettore del 26.7.2012) la reiterazione del procedimento di valutazione comparativa, a partire dalla riunione della Commissione giudicatrice relativa alla prima prova scritta. L’istanza di ricusazione e di nomina di un nuovo collegio esaminatore ? presentata dal dottor RO. in data 5.9.2012 ? è stata respinta dall’amministrazione, con nota del 18.09.2012.

1.3.? A conclusione del nuovo procedimento concorsuale, la dottoressa MI. LA. è risultata nuovamente vincitrice. Avverso il decreto rettorale del 29.10.2012, di approvazione degli atti concorsuali, il signor RO. è insorto ancora una volta lamentando che: – la composizione della Commissione giudicatrice avrebbe dovuto essere interamente rinnovata; – la controinteressata, a decorrere dal 31.12.2008, aveva operato in stretto contatto con il presidente della Commissione, quale sua collaboratrice, cosicché era impensabile che il Presidente della Commissione non avesse riconosciuto la scrittura della sua collaboratrice nei testi delle prove scritte; – il Rettore non aveva formalmente autorizzato la riunione preliminare in forma telematica; – gli argomenti delle prove scritte rientravano nel campo di ricerca della controinteressata; – la vincitrice non aveva presentato, in luogo dei titoli in originale, copia di essi corredata da dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

2.? Il Tribunale amministrativo regionale per la Toscana, con sentenza n. 713 del 2014, ha respinto il ricorso sulla base dei seguenti argomenti.

L’effetto conformativo della sentenza del 2011 vincolava l’Università a ripetere il procedimento selettivo a partire dalla prima prova scritta, non contenendo la motivazione alcun accertamento degli asseriti vizi nella composizione della Commissione giudicatrice o negli atti endoprocedimentali antecedenti alla fase dell’espletamento delle prove scritte.

Per giurisprudenza consolidata, la semplice sussistenza di rapporti accademici o di ufficio tra commissario e candidato non è idonea ad integrare gli estremi delle cause di incompatibilità di cui all’art. 51 c.p.c., e nel caso specifico non era emersa alcuna comunanza di vita e di interessi economici tra commissario e controinteressata.

Anche nei concorsi a ristretta partecipazione, nei quali non si può escludere a priori che un componente della commissione giudicatrice venga a conoscenza della calligrafia di un candidato, si deve ritenere che non viene lesa la regola dell’anonimato quando sia mantenuto il segreto documentale, ossia quando manchi, agli atti del concorso, un qualsiasi elemento che possa in concreto consentire il collegamento tra candidato e prova scritta, ovvero che possa consentire di risalire all’autore della prova stessa.

Le altre censure ? segnatamente: la terza (relativa alla mancanza della necessaria autorizzazione del Rettore allo svolgimento tramite strumenti telematici della riunione preliminare della Commissione giudicatrice), la quarta (secondo cui i criteri di valutazione delle prove scritte dovevano essere stabiliti prima dell’apertura dei plichi contenenti i curricula dei candidati) e la quinta doglianza (con la quale si deduceva che la vincitrice del concorso non aveva presentato all’Amministrazione i titoli in originale o in copia corredata da dichiarazione sostitutiva) ? sono state dichiarate inammissibili “per violazione del divieto scaturente dal principio del “ne bis in idem””, dal momento che i medesimi motivi erano già stati promossi nel precedente giudizio di impugnazione (sebbene assorbiti nella sentenza del TAR n. 1943 del 2011) e che si trattava comunque di vizi riferiti alle fasi procedimentali reiterate con gli atti adesso impugnati.

3.? Il signora PA. RO., ricorrente in primo grado, ha quindi proposto appello avverso la sentenza da ultimo citata, chiedendo, in riforma della stessa, l’accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

L’appellante insiste nel contestare l’affidamento della ripetizione della procedura alla medesima Commissione giudicatrice, tenuto conto che la controinteressata aveva nelle more operato continuativamente e a strettissimo contatto con il prof. PA. GH., presidente della commissione. Da ciò deriverebbe anche una violazione della regola dell’anonimato: essendo infatti i testi delle prove scritte stati redatti a mano dai candidati, sarebbe impensabile che il Presidente della Commissione, in presenza di soli due candidati, non avesse riconosciuto la scrittura della sua stretta collaboratrice.

La sentenza impugnata sarebbe erronea anche nella parte in cui ha dichiarato inammissibili tutti i motivi di ricorso attinenti alla fase della procedura anteriore a quella rinnovata in attuazione della sentenza n. 1943/2011. Non sarebbe ravvisabile alcuna violazione del principio del ne bis in idem, sia per mancanza di identità di cause (i provvedimenti impugnati sono diversi), sia perché il TAR non si era pronunciato sui motivi in questione ma li aveva dichiarati assorbiti.

4.? La signora MI. LA. si è costituita in giudizio chiedendo che l’avversario appello venga respinto.

5.? All’udienza del 16 marzo 2017, la causa è stata discussa ed è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1.? Sono fondati i motivi di appello incentrati sulla violazione del principio di imparzialità nella composizione della Commissione giudicatrice.

1.1?. Secondo un diffuso indirizzo giurisprudenziale, non costituisce ragione di incompatibilità la sussistenza sia di rapporti di mera collaborazione scientifica, sia di pubblicazioni comuni, essendo ravvisabile un obbligo di astensione del componente di detta commissione solo in presenza di una comunanza di interessi anche economici, di intensità tale da porre in dubbio l’imparzialità del giudizio (ex plurimis: Cons. St., sez. VI, 3 luglio 2014, n. 3366; id., sez. III, 20 settembre 2012, n. 5023; id., sez. VI, 31 maggio 2012, n. 3276). Nei concorsi universitari, l’esistenza di rapporti scientifici di collaborazione costituiscono ipotesi ricorrenti nel mondo accademico, che non sono tali da inficiare in maniera giuridicamente apprezzabile il principio di imparzialità dei commissari, visto che nel campo degli specialisti è assai difficile trovare un esperto che in qualche modo non abbia avuto contatti di tipo scientifico o didattico con uno dei candidati (Cons. St., sez. II, 7 marzo 2014, n. 3768). La sussistenza di rapporti di collaborazione meramente intellettuale, cui siano estranei interessi patrimoniali, non appare elemento tale da inficiare in maniera giuridicamente apprezzabile il principio di imparzialità, tenuto conto della composizione collegiale della Commissione e delle equipollenti esperienze e competenze dei membri, che introducono un controllo intrinseco, idoneo a pervenire ? pur nella possibile inclinazione di qualche componente ad apprezzare maggiormente l’operato di chi sia stato proprio allievo ? alla scelta dei più meritevoli (Cons. St., sez. VI, 24 ottobre 2002, n. 5879).

1.2.? Il Collegio non ignora il predetto indirizzo ma ritiene che le predette enunciazioni debbano comunque valutarsi caso per caso, non potendo essere richiamate in modo avulso dallo specifico contesto di riferimento.

Non può essere posto in dubbio che in qualsiasi selezione concorsuale assuma importanza centrale il principio, di rilevanza costituzionale, di imparzialità della commissione esaminatrice, tanto che ad essa è pacificamente ritenuto applicabile l’art. 51 del codice di procedura civile, che disciplina l’astensione del giudice (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. St., sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5279; Cons. St., sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2188 e 8 maggio 2001, n. 2589; Cons. St., sez. VI, 17 luglio 2001, n. 3957, 18 agosto 2010, n. 5885, 5 maggio 1998, n. 631, 6 novembre 1997, n. 1617 e 23 dicembre 1996, n. n. 1757). È pure pacifico che le cause di astensione obbligatoria ? da ricondurre a ragioni di parentela, amicizia o inimicizia personale, interessi da intendere nel senso strettamente economico sopra indicato, o ancora a peculiari rapporti con una delle parti ? debbono essere adattate alla realtà del mondo accademico, in cui rapporti continuativi di collaborazione scientifica rappresentano di per sé non solo indice di conoscenza (se non anche di familiarità e apprezzamento personale), ma anche fonte di sostanziale utilità sia per il professore, che di tale collaborazione si avvale per le proprie attività di ricerca e di didattica, sia per l’allievo, che acquisisce nozioni e possibilità di introduzione nel mondo scientifico, con presumibile convergenza di interessi.

Tuttavia ? come statuito in un recente precedente della Sezione (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 aprile 2015, n. 1788) ? non può che ritenersi incompatibile con il ruolo di commissario d’esame il docente, chiamato ad esprimere una valutazione comparativa di candidati, uno dei quali sia dello stesso stabile e assiduo collaboratore, anche soltanto nell’attività accademica e/o pubblicistica. L’apprezzamento da esprimere in tale contesto, circa le attitudini dei concorrenti, potrebbe infatti essere determinato da fattori di stima e conoscenza a livello personale, o dalle possibili ricadute delle scelte da operare sul rapporto di collaborazione instaurato. Il giudizio di valore, da esprimere sui lavori scientifici dei concorrenti, difficilmente potrebbe restare pienamente imparziale, quando una parte rilevante della produzione pubblicistica di un candidato fosse riconducibile anche al soggetto, chiamato a formulare tale giudizio. L’incompatibilità deve escludersi nei soli casi di collaborazione che possa essere ricondotta alle ordinarie relazioni accademiche o resa inevitabile dal settore particolarmente specialistico di ricerca, in modo tale da rendere non presumibile una qualsiasi preferenza personale del commissario d’esame per un singolo candidato.

In definitiva, se non è possibile negare, in linea di principio, l’ammissibilità di una commissione esaminatrice composta da membri che abbiano avuto un rapporto di collaborazione scientifica con uno dei candidati, ciò deve escludersi in relazione all’intensità della collaborazione, qualora sia essa stata tale da negare radicalmente qualsiasi possibilità di valutazione indipendente dello stesso candidato.

2.? Ebbene, nel caso in esame, risulta ? alla luce delle allegazioni documentate dall’appellante e non specificatamente contestate da controparte ? che, a seguito della vittoria del concorso poi annullato dal TAR Toscana (con la più volte citata sentenza n. 1943 del 2011), la controinteressata ha prestato servizio (con decorrenza dal 31.12.2008) come ricercatrice fino a quando la sua nomina non è stata annullata con il Decreto rettorale del 26.7.2012. Per un periodo significativo (quasi 3 anni e mezzo), ella è stata collaboratrice del prof. GH. (presidente della Commissione del concorso per cui è causa), supportandolo nell’attività didattica, partecipando alla commissione d’esame per gli insegnamenti e condividendone addirittura la stanza. La lunga assidua e stabile vicinanza professionale (finanche logistica) tra un commissario e una candidata è di per sé astrattamente idonea a porre in dubbio la distanza e l’oggettività di giudizio che i concorsi pubblici debbono sempre assicurare, a maggior ragione quelli universitari connotati da ampia discrezionalità e pochissimi partecipanti (nel caso in esame, due). Del resto, a fronte di due soli candidati, non è eliminabile il dubbio che il presidente della Commissione fosse in grado di riconoscere gli elaborati della sua collaboratrice.

Neppure è emerso che, per il settore di ricerca di cui trattasi, non fossero disponibili altri commissari d’esame, in possesso di adeguata competenza e non ampiamente coinvolti nell’attività di uno dei concorrenti.

2.1.? In definitiva, le ragioni sopra esposte imponevano all’Amministrazione, in sede di rinnovazione, di modificare la composizione della Commissione. È errata dunque la sentenza del TAR nella parte in cui afferma che nel caso in esame non sussistevano elementi che determinassero l’incompatibilità del presidente della Commissione prof. GH..

3.? Da ultimo, è destituita di fondamento l’eccezione sollevata dalla controinteressata secondo cui i motivi appena scrutinati sarebbero inammissibili avendo il ricorrente prestato acquiescenza, sia al decreto rettorale decreto Rettorale del 26.07.2012 che ha eseguito la sentenza del 2011, sia alla nota di rigetto dell’istanza di ricusazione del settembre del 2012.

È dirimente osservare che, secondo consolidati canoni processuali, l’illegittima composizione della Commissione esaminatrice non è idonea di per sé ad arrecare nella sfera del candidato una lesione diretta ed immediata, che potrà aversi solo nell’ipotesi in cui l’esito dovesse risultare sfavorevole per lui, come appunto avviene nel caso di mancato superamento delle prove scritte o orali.

4.- L’appello è, dunque, fondato. Ne consegue l’annullamento della procedura concorsuale, con conseguente assorbimento delle altre doglianze di natura procedimentale pure prospettate. L’effetto conformativo della presente pronuncia implica, infatti, la reiterazione della procedura concorsuale da parte di una diversa commissione, composta in termini conformi ai criteri indicati.

4.1.- Le spese di lite seguono la soccombenza come di norma.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 9126 del 2014, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza in primo grado, annulla i provvedimenti impugnati.

Condanna gli appellati, in solido tra loro, al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio in favore dell’appellante, che si liquida in complessivi € 6.000,00, oltre IVA e CPA come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 marzo 2017 con l’intervento dei magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Bernhard Lageder – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere

Dario Simeoli – Consigliere, Estensore

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *