Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 27 gennaio 2017, n. 340

Il titolo ex art. 87 del Dlg 259/2003 assorbe in sé, sostituisce e sintetizza, all’esito del procedimento colà previsto, anche la valutazione urbanistico-edilizia per la realizzazione degli impianti per telecomunicazioni; pertanto, pur nella sua specialità di settore, tale titolo soggiace ai principi, ove non diversamente regolati, che presiedono alla gestione del permesso di costruire, tra cui pure le norme sulla relativa decadenza di cui all’art. 15, c. 2 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 e, in particolare, sulla proroga dei termini per iniziare i lavori o concludere l’opera, proroga la quale può esser accordata «…, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare…»; quindi, se è vera, come per i casi ex art. 15, c. 2 del DPR 380/2001, la natura dichiarativa e vincolata anche della decadenza ex art. 38, c. 10 CCE -che presuppone l’accertamento di un effetto conseguente ex lege al presupposto indicato dalla norma -, tal risultato non è ineluttabile se sopravvengano fatti estranei alla volontà del soggetto attuatore, quali sono, tra gli altri, i facta principis, ossia quelle cause d’impossibilità oggettiva ad adempiere agli obblighi scaturenti dal titolo edilizio tanto per ordini espressi della P.A., quanto per comminatorie di sanzioni o di conseguenze negative extra ordinem sul titolo autorizzativo senza al contempo assumere statuizioni in autotutela sullo stesso

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 27 gennaio 2017, n. 340

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 38 e 60 c.p.a., sul ricorso n. 9574/2016 RG, proposto dalla Wi. Telecomunicazioni s.p.a., corrente in Roma, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Gi. Sa., con domicilio eletto in Roma, via (…),

contro

il Comune di Ancona, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ma. De. Sg. e Gi. Bo., con domicilio eletto in Roma, p.le (…),

per la riforma

della sentenza del TAR Marche, n. 651/2016, resa tra le parti e concernente la decadenza della Società appellante dall’autorizzazione per i lavori per un impianto di telecomunicazioni;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ancona;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla camera di consiglio del 19 gennaio 2017 il Cons. Silvestro Maria Russo e uditi altresì, per le parti, gli avvocati Sa. e Sa. (per delega dell’avv. Sg.);

Sentite le stesse parti ai sensi dell’art. 60 c.p.a.;

Ritenuto in fatto che:

– la Wi. Telecomunicazioni s.p.a., corrente in Roma, individuò in una piazzola della rotatoria stradale tra via Flaminia e via Leonardo da Vinci il sito idoneo in Ancona per costruirvi un impianto SRB per telefonia mobile;

– detta Società dichiara d’aver allora stipulato il 2 dicembre 2012 con il Comune di Ancona il contratto di concessione della relativa area (mq 10,40; durata: nove anni) e, in base a questo, d’aver proposto al SUAP ed al Servizio edilizia privata l’istanza d’autorizzazione per l’installazione di tal impianto, corredata dalla documentazione di rito;

– sul relativo progetto sono intervenuti i pareri favorevoli dell’ARPA Marche (13 maggio 2013) e dell’ASUR Area vasta 2 – Ancona (26 marzo 2014), nonché l’autorizzazione di RFI s.p.a. del 13 gennaio 2014, ed esso è stato depositato l’11 giugno successivo presso l’Ufficio del Genio civile di Ancona, onde detta Società ha comunicato al Comune di Ancona la data del 17 novembre 2014 per l’inizio dei lavori per tal impianto, visto che il titolo autorizzativo s’era già formato per silentium;

– tuttavia, il Comune, il quale già il 27 luglio 2014 aveva chiesto a detta Società di soprassedere alla realizzazione di tal impianto in attesa della predisposizione d’un nuovo piano comunale di telefonia mobile (che lo avrebbe allocato altrove), con nota prot. n. 134479 del 16 dicembre 2014 ha ribadito tal richiesta, affermando che «… in mancanza, nostro malgrado, ci vedremo costretti ad adottare ogni provvedimento possibile per impedire comunque la prosecuzione dei lavori…»;

– inoltre, con la nota prot. n. 135241 del giorno successivo, il Comune ha reso noto che «… come era prevedibile, l’installazione dell’antenna sta provocando allarme sociale per paventate problematiche di sicurezza e di impatto ambientale…», per cui ha chiesto l’immediata sospensione dei relativi lavori;

– infine, con nota prot. n. 44398 del 16 aprile 2015, il Comune di Ancona ha comunicato, visto l’art. 10 del disciplinare di concessione, a detta Società l’avvio del procedimento di decadenza ex art. 87, c. 10 del Dlg 1° agosto 2003 n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche – CCE) del titolo autorizzativo formatosi per silenzio-assenso, a causa dell’omessa realizzazione dell’opera entro il termine di formazione di quest’ultimo;

Rilevato altresì che:

– contro la nota n. 44398/2015 detta Società è allora insorta avanti al TAR Marche, con il ricorso n. 411/2015 RG, deducendo il mancato decorso del termine di decadenza (il dies a quo essendo quello dell’attestazione di deposito del progetto all’Ufficio del GC: 11 giugno 2014), la mancata possibilità di fruire d’un termine completo ed ininterrotto a causa dei tre interventi sospensivi del Comune, l’assenza di qualunque violazione dell’art. 10 del citato disciplinare, nonché il difetto d’istruttoria e lo sviamento di potere in cui è incorso la P.A.;

– con l’atto per motivi aggiunti depositato il 29 ottobre 2015, detta Società s’è gravata pure avverso la nota comunale n. 117765 del precedente 29 settembre (con cui è stata definitivamente dichiarata la decadenza dal predetto titolo), ribadendo in sostanza le censure di cui al gravame introduttivo;

– con sentenza n. 651 del 15 novembre 2016, l’adito TAR ha respinto la pretesa attorea, poiché, non essendo intervenuto alcun formale provvedimento di diniego da parte del Comune, la ricorrente ben avrebbe potuto procedere nei lavori senza indugio ed entro il termine ex art. 87, c. 10 CCE (ad essa noto quale operatore qualificato del settore), non essendovi impedimenti oggettivi;

– appella quindi detta Società, col ricorso in epigrafe, deducendo l’erroneità della sentenza in base a sei articolati gruppi di censure, cui replica il Comune intimato, concludendone per l’inammissibilità o il rigetto, ove ritenute non lesive le note comunali che l’appellante reputa facta principis dirimenti per il decorso del termine ex art. 87, c. 10;

Considerato in diritto che:

– chiamato il ricorso in epigrafe all’udienza camerale del 19 gennaio 2017 per la trattazione della domanda cautelare, il Collegio riscontra la sussistenza dei presupposti ex art. 60 c.p.a. affinché esso sia deciso in forma semplificata, dandone previa comunicazione alle parti, che vi aderiscono (il Comune di Ancona, anzi, aveva già chiesto tal decisione nelle sue conclusioni);

– in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità delle deduzioni difensive del Comune laddove si affermano questioni sul sostanziale disinteresse dell’appellante alla realizzazione dell’impianto SRB de quo, o sul contenuto del canone o sulla durata della concessione dell’area d’impianto, in quanto trattasi di vicende estranee ad entrambi i provvedimenti impugnati in primo grado e tali, in pratica, da mostrarsi integrazioni postume della motivazione di questi ultimi;

– neppure convince l’assunto del Comune, già espresso nella memoria del 16 novembre 2015 avanti al TAR, per cui l’odierna appellante non ha mai impugnato in quella sede le note soprassessorie del Sindaco di Ancona, ancorché esse avrebbero influito sul ritardo nella esecuzione dell’opera, mentre, ove se ne predichi l’assenza di carattere autoritativo e la natura di mero invito, detta Società non le avrebbe potuto ritenere un motivo per non realizzare tempestivamente 1’impianto SRB;

– invero, non s’avvede il Comune, per un verso ed a confutazione dell’asserita contraddizione nel comportamento dell’appellante, del reale oggetto del contendere il quale è non la lesività in sé, o se immediata o differita, di tali atti soprassessori, ma la decadenza ex art. 87, c. 10 CCE, nel cui atto del 29 settembre 2015 di essi non si parla, ma nel cui contesto essi emergono quali sintomi evidenti di sviamento di potere e di malafede (art. 1375 c.c.) nell’esecuzione del duplice rapporto sostanziale tra le parti, concessorio (dell’area di impianto) ed autorizzativo (per la costruzione e la gestione dell’impianto SRB);

– nel merito, l’appello è fondato e va accolto, anzitutto perché la decadenza ex art. 87, c. 10 implica l’inutile decorso del termine di dodici mesi dalla formazione del silenzio-assenso sull’istanza per la realizzazione dell’impianto SRB, ma tal termine, in base ad un’interpretazione sistematica del c. 9 precedente, non decorre dalla domanda come tale, né certo dall’emanazione dei pareri (ARPA ed ASUR) occorrenti all’effettivo funzionamento dell’impianto per ragioni ambientali e sanitarie (arg. ex Cons. St., VI, 24 settembre 2010 n. 7128);

– esso è iniziato a decorrere piuttosto dal 90° giorno successivo al tempo in cui il progetto di detto impianto SRB è risultato perfetto perché munito di quanto occorra per permettere la costruzione di quest’ultimo, ossia, nel caso in esame, dal 10 settembre 2014, avuto riguardo all’attestazione del deposito del progetto presso l’Ufficio GC di Ancona (11 giugno 2014), sicché, quando il Comune ha comunicato all’appellante l’avvio del procedimento di decadenza (16 aprile 2015), non s’erano consumati i dodici mesi indicati dal ripetuto art. 87, c. 10, né v’erano serie probabilità che tal evento si sarebbe verificato;

– ma, pure ad ammettere lo scenario descritto dal Comune -cioè, anche a ritenere dies a quo del termine ex art. 87, c. 10 la data di rilascio dell’autorizzazione di RFI s.p.a. (13 gennaio 2014)-, non per ciò solo l’appellante sarebbe incappata nella decadenza in relazione al momento in cui essa ha reso noto alla P.A. la data d’inizio dei lavori d’installazione dell’impianto SRB (17 novembre 2014), in quanto la decadenza stessa non è ascrivibile alla mera inerzia di detta Società, mentre la consumazione dei dodici mesi deriva dai tre interventi interruttivi che, nell’arco del 2014, sono intervenuti per volontà della P.A. stessa, impedendo di fatto i lavori de quibus;

– ora, è jus receptum (cfr., per tutti, Cons. St., III, 19 marzo 2014 n. 1361) che il titolo ex art. 87 del Dlg 259/2003 assorbe in sé, sostituisce e sintetizza, all’esito del procedimento colà previsto, anche la valutazione urbanistico-edilizia per la realizzazione degli impianti per telecomunicazioni;

– pertanto, pur nella sua specialità di settore, tale titolo soggiace ai principi, ove non diversamente regolati, che presiedono alla gestione del permesso di costruire, tra cui pure le norme sulla relativa decadenza di cui all’art. 15, c. 2 del DPR 6 giugno 2001 n. 380 e, in particolare, sulla proroga dei termini per iniziare i lavori o concludere l’opera, proroga la quale può esser accordata «…, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti, estranei alla volontà del titolare…»;

– quindi, se è vera, come per i casi ex art. 15, c. 2 del DPR 380/2001(arg. ex Cons. St., IV, 11 aprile 2014 n. 1747), la natura dichiarativa e vincolata anche della decadenza ex art. 38, c. 10 CCE -che presuppone l’accertamento di un effetto conseguente ex lege al presupposto indicato dalla norma (arg. ex Cons. St., IV, 22 ottobre 2015 n. 4823)-, tal risultato non è ineluttabile se sopravvengano, come nel caso in esame e pendente il termine perentorio, fatti estranei alla volontà del soggetto attuatore, quali sono, tra gli altri, i facta principis, ossia quelle cause d’impossibilità oggettiva ad adempiere agli obblighi scaturenti dal titolo edilizio tanto per ordini espressi della P.A., quanto per comminatorie di sanzioni o di conseguenze negative extra ordinem sul titolo autorizzativo senza al contempo assumere statuizioni in autotutela sullo stesso;

– a tal riguardo, è opinio communis nella casistica della malafede nell’esecuzione dei contratti, ai sensi del citato art. 1375 c.c., la vicenda in cui l’esercizio di una facoltà, ancorché formalmente corretto, ove esso contrasti con lo scopo effettivamente perseguito dalle parti, vìola il principio di buona fede, così come è sintomo di sviamento di potere da parte della P.A., che pure abbia emanato un provvedimento favorevole al privato, usare l'”invito” soprassessorio, ma che prelude a più gravi conseguenze, per eludere l’efficacia della statuizione rilasciata ed ottenerne di fatto la rimozione;

– è esattamente quel che è accaduto nei rapporti tra le parti con le note del Sindaco di Ancona, tutte rivolte a “convincere” l’appellante a non attuare il rapporto autorizzativo, ma di fatto costringendola ad abbandonare il progetto per ottenerne, in assenza di validi presupposti per il legittimo esercizio dell’autotutela, la rimozione o la delocalizzazione, fintanto che è scaduto il termine ex art. 87, c. 10 CCE per poter finalmente dichiarare la decadenza;

– in particolare, dapprima (27 luglio 2014) il Comune ha chiesto di sospendere i lavori in vista di una possibile modifica del piano comunale di telefonia mobile ex art. 8, c. 6 della l. 22 febbraio 2001 n. 36, così riferendosi ad un atto generale ancora in fieri, che a stretto diritto non prevede misure di salvaguardia e che, comunque, non potrebbe provvedere che per il futuro e non certo per i titoli già legittimamente rilasciati o, a tutto concedere, nei limiti di cui all’art. 15, c. 4 del ripetuto DPR 380/2001;

– poi (16 dicembre 2014) il Comune ha ribadito la pressante richiesta di sospensione, affermando che «… in mancanza, nostro malgrado, ci vedremo costretti ad adottare ogni provvedimento possibile per impedire comunque la prosecuzione dei lavori…», ma tal comminatoria non solo si riferisce a misure non identificabili nell’ordinamento positivo, ma soprattutto provoca confusione e dubbi di comportamenti nel soggetto attuatore, il quale invece confida e deve poter confidare nella legittimità del titolo e nella stabilità del relativo rapporto;

– infine (17 dicembre 2014) il Comune ha reso noto che «… come era prevedibile, l’installazione dell’antenna sta provocando allarme sociale per paventate problematiche di sicurezza e di impatto ambientale…», ma la sua pretesa d’immediata sospensione dei relativi lavori, in assenza di dati che giustificassero oggettivamente tal allarme, costituisce un impedimento al legittimo esercizio delle facoltà discendenti dal titolo autorizzativo;

– tal impedimento, tuttavia, promana non da un legittimo esercizio di poteri cautelari o di autotutela, bensì da un soggetto pubblico diverso da quelli cui spetta la funzione primaria di vigilanza e controllo della salute e dell’ambiente dalle emissioni elettromagnetiche (peraltro sulla scorta di regole di radioprotezione molto stringenti), per argomenti sui quali tali autorità s’erano pronunciate a favore del progetto attoreo e senza che esso governi correttamente i predetti fenomeni di ansia collettiva;

– per contro, il Comune avrebbe dovuto regolare tali vicende con prudenza e ragionevolezza, non assecondando atteggiamenti allarmistici ed ascientifici, compressivi delle posizioni altrui, onde tutt’e tre le note son servite a far perder tempo all’appellante e, anche ad accedere alla tesi di detta P.A. sul punto, a non far emergere quei pretesi intenti dilatori del soggetto attuatore che essa ha inteso evidenziare nei suoi scritti difensivi;

– da ciò discende la sostanziale scusabilità del ritardo dell’appellante, che essa invano aveva tentato di far constare al Comune nelle sue deduzioni ex art. 10 della l. 7 agosto 1990 n. 241, a fronte della comunicazione d’avvio del procedimento di decadenza, nonché l’assenza di responsabilità per ogni preteso inadempimento del disciplinare di concessione;

– sulla scorta di tali dati l’appello va quindi accolto e le spese del doppio grado di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, fermo restando che le questioni testé vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c. e che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati ritenuti dal Collegio non rilevanti ai fini della decisione e, comunque, inidonei a supportare una conclusione di segno diverso.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

sez. VI, definitivamente pronunciando sull’appello (ricorso n. 9574/2016 RG in epigrafe), l’accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado.

Condanna il Comune di Ancona al pagamento, a favore della Società appellante, delle spese del doppio grado di giudizio, che sono nel complesso liquidate in € 5.000,00 (Euro cinquemila/00), oltre IVA, CPA e CU come per legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 19 gennaio 2017, con l’intervento dei sigg. Magistrati:

Luciano Barra Caracciolo – Presidente

Carlo Deodato – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere, Estensore

Oreste Mario Caputo – Consigliere

Dario Simeoli – Consigliere

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